IL MUFLONE: COMBATTIMENTI SERRATI

Dante Iagrossi. Secondo una leggenda sarda, un pastore quasi sempre isolato dalla comunità vicina, conduceva il suo gregge al pascolo di prima mattina. Un giorno, salendo in montagna, visto un muflone, gli puntò il fucile contro, ma quello gli confessò di essere lo spirito di suo nonno. Allora il pastore, impaurito, corse subito alla sua baracca, dove si era acceso un incendio, che fece in tempo a bloccare. Quindi il muflone gli permise di salvare la sua abitazione.

Caratteristiche generali

Il muflone europeo (Ovis gmelini musimon), mammifero artiodattilo, ungulato, della famiglia dei Cervidi, discende da quello asiatico. Vive in particolare in Sardegna, Corsica, Cipro, e in altre isole minori, ma dal 1700 è stato introdotto anche in Europa, poi in Cile ed Usa. Il pelo si inscurisce d’inverno, ma è bianco sul muso, parte interna delle orecchie, attorno agli occhi, sotto e dietro. I maschi si distinguono dalle femmine, di colore marroncino, per due grosse corna ricurve, fisse su base ossea, ambiti trofei di caccia. Tre le varietà: oltre alla sarda, anche quella della Corsica e di Cipro.

Habitat

Si trova specialmente in zone collinari e rocciose, in cui si rifugia quando è in pericolo. Comunque si po’ spingere anche in foreste di conifere e latifoglie, fino ad altezze di circa 1500 metri.

Struttura sociale

Mentre le femmine con i loro piccoli vivono in grossi gruppi, i maschi, in genere coetanei, vivono in altri, separati da loro e più ristretti. Invece quelli più vecchi preferiscono stare soli. Non sono territoriali, non avendo ghiandole odorifere adeguate per contrassegnare confini. A volte ci possono però essere lotte per una certa zona o per l’accoppiamento.

Alimentazione

Animali da pascolo, oltre che di erbe, si nutrono anche di tanti altri vegetali e varie ghiande, anzi possono brucare persino piante abbastanza dure, evitate da altri animali.

Comportamento

Piuttosto diffidente verso chi potrebbe disturbarlo, appare più pacifico nelle zone più tranquille. Più corridore che arrampicatore, si accorge di potenziali pericoli grazie all’udito, l’olfatto e la vista molto fini.

Corteggiamento e riproduzione

Nel mese d’ottobre, o anche dopo, in zone più fredde, i maschi si avvicinano ai branchi femminili, attratti dal loro profumo. Entrano in competizione per attirarle. Con cozzate frontali di corna, o con vigorose spallate. Nel primo caso essi, dopo una breve rincorsa, si saltano addosso con forte impatto, persino sonoro, udibile anche da lontano. Nel secondo, invece, meno violento, essi si spingono l’un l’altro, con corna incrociate. Da notare però che si tratta di comportamenti ritualizzati, senza grosse ferite, per stabilire solo chi è il più forte, senza la soppressione del perdente. Tra marzo ed aprile, le femmine lasciano il gruppo e, dopo circa 5 mesi di gestazione, partoriscono isolate uno o due piccoli, già capaci di muoversi, allattati inizialmente ogni 15 minuti, per sei mesi. La maturità sessuale si ha a circa un anno e mezzo di età. Poi d’estate femmine e piccoli si riuniscono in una quarantina. I maschi vivono per 12 anni circa, le femmine circa 15.

Situazione e problematiche attuali

I mufloni, in base alla convenzione europea di Berna (1982), sono specie protetta, ma in Italia ciò si attua realmente solo nell’Asinara, con territorio inaccessibile ai cacciatori, e nella riserva privata di Capo Figari, isola Figarolo, con adeguati controlli. A volte però ci sono iniziative non positive se considerate a lungo termine. Nell’isola del Giglio, ad es., negli anni ’50 furono introdotti 7 mufloni, che però nel tempo sono cresciuti molto in numero, arrivando a circa 150. La conseguenza è stata grave: in una piccola isola, con flora e fauna protette, una riduzione cospicua del patrimonio boschivo, in particolare dei lecci, ma anche di giovani arbusti, che quindi non si potevano più riprodurre. La soluzione drastica è stata l’abbattimento di 35 capi, nonostante le proteste animaliste, e il trasferimento di 52 in altre zone.

In Sardegna la popolazione attuale è abbastanza numerosa, con oltre 2.000 esemplari, dovuta anche ad introduzioni, che però potrebbero creare una certa competitività con i camosci. Dante Iagrossi (foto da Pixabay).
Fonti: Wikipedia, Ente gestione Aree protette (Alpi marittime), Ambiente.regione.emilia-romagna.

A colpi di collo

Dante Iagrossi. Introduzione

Con le loro zampe slanciate e i loro colli lunghissimi, svettano nettamente dagli arbusti radi delle savane: non sfigurerebbero affatto nei dipinti delle donne di Modigliani!

Le giraffe compaiono in tutti i libri di Scienze, come simboli evidenti e indiscussi dell’evoluzione darwiniana, perfettamente selezionate ed adattate alla presa di foglie sugli alberi, anche quelli più alti. Eppure negli ultimi tempi, qualche studioso ha avanzato l’ipotesi che quei colli smisurati, grazie ai potenti muscoli di cui sono dotati, possano servire anche a sferrare colpi poderosi tra maschi che competono tra loro per la femmina: purtroppo alcuni di questi duelli, particolarmente cruenti, finiscono con la morte di uno dei contendenti.

Socialità e longevità

Finora non era stata abbastanza riconosciuta la loro vita sociale, ma adesso, grazie a studi numerosi e dettagliati, si è assodato che le giraffe si possono associare in piccoli gruppi, che di solito vanno dai tre ai nove individui, di tipo matriarcale. In questi ci sono femmine adulte imparentate tra loro e madri con figli. Queste associazioni possono durare per una quindicina di anni, e più, con 3 possibili generazioni sovrapposte, dove le giraffe più anziane che aiutano le più giovani ad allevare i loro piccoli. Tra l’altro, si è evidenziato in esse un certo coinvolgimento emotivo, inquieto e doloroso, quando muoiono questi figli altrui. Forse è proprio la più anziana a stare al vertice della gerarchia sociale.

Le giraffe hanno una vita media abbastanza lunga, fino ai 30 anni, ma sono feconde fino ai 20, determinando in genere un 30% circa di femmine sterili, che si prestano efficacemente all’aiuto delle nuove mamme: in questo modo il successo riproduttivo del gruppo è intensificato.

Il numero massimo di individui in una società, finora trovato, è di 44 individui, divisi per sesso, o gruppi misti di maschi e femmine. Ci possono essere branchi di soli maschi adulti non imparentati, ma si possono riunire in grandi gruppi con femmine. Le gerarchie di società vengono stabilite dai risultati dei combattimenti, anche violenti e letali, con utilizzo di collo e testa, dotata di due spesse antenne.

Comunicazioni

Durante il corteggiamento, i maschi emettono particolari suoni, come colpi di tosse, mentre le femmine chiamano i loro piccoli con specie di muggiti, che emettono richiami come miagolii. Ci possono essere comunicazioni a lunghe distanze con infrasuoni.

Gestazione e parto

La gestazione è molto lunga, di circa 15 mesi, con un solo piccolo, (o al massimo due), che fatta uscire la testa e le zampe anteriori, cade a terra, spezzando il cordone ombelicale. Poi viene pulito ed aiutato a stare in piedi, già alto 1,80 m e in grado di correre dopo poche ore.

Situazione attuale

Nonostante la protezione offerta da alcuni parchi nazionali, le giraffe sono a rischio di estinzione per l’instabilità politica e le guerre in molti stati africani e per il bracconaggio incontrollato: in trent’anni sono diminuiti del 40 %, arrivando a circa 68.000 libere. Dante Iagrossi (foto da Pixabay).

Madri leader e nonni saggi

Dante Iagrossi. Introduzione. Gli elefanti, che sono i mammiferi attuali terrestri più grandi (con stazze che in Africa superano i tre metri di altezza e le 5 tonnellate di peso), formano società non numerose, ma molto coese, caratterizzate da evidente altruismo, educazione accurata dei piccoli e rispetto degli anziani. Il numero medio degli individui, tutti imparentati, varia dagli 8 ai 12, riducendosi ad un solo nucleo familiare per quelli africani di foresta.

Compiti femminili

La matriarca, la femmina più anziana, detiene il comando del gruppo, accudendo figlie e cuccioli, ma con l’aiuto di altre femmine. Invece i maschi adulti vivono al di fuori del gruppo. La leader ricopre ruoli di grande responsabilità. Innanzitutto guida la famiglia alla ricerca di cibo ed acqua, per buona parte della giornata, anche di notte, per circa 18 ore. Aiuta le giovani a partorire, evitando anche i vari pericoli quotidiani ai più piccoli. Alla sua morte, mentre il suo posto è acquisito dalla più anziana, i suoi familiari si mostrano piuttosto affranti, soffermandosi presso il suo corpo; ognuno la tocca, annusandola. Tornando poi al posto in cui è morta, gli altri si fermano e sollevano il terreno con la proboscide.

Collaborazione collettiva

Tutta la famiglia partecipa alla vita di gruppo, curando piccoli e malati. I neonati possono succhiare il latte da qualsiasi madre, e anche i giovani aiutano le femmine nell’allevamento. Se un animale cade per una ferita, alcuni cercano di riportarlo in piedi, in modo che i suoi polmoni non vengano schiacciati dal suo stesso peso.

Sotto la guida dei nonni.

Contrariamente a quanto si pensava, i giovani maschi non sempre fanno vita solitaria. Durante i loro spostamenti, preferiscono accompagnarsi con i più anziani, che danno loro più sicurezza ed informazioni utili per la ricerca di cibo (dove e come trovarlo). Inoltre i nonni contribuiscono in modo determinante ad attenuare l’aggressività dei giovani tra loro.

Riunioni di famiglia

Generalmente ogni gruppo familiare si trova in contatto con altri nuclei di parenti, manifestando una particolare gioia quando si incontrano. Le riunioni avvengono soprattutto nelle migrazioni, arrivando persino ad assembramenti di circa un migliaio di elementi. A causa dei cambiamenti climatici, si sono verificate lunghissimi spostamenti di centinaia di chilometri, in Africa e Cina: per la scarsità di cibo ed acqua, gli elefanti migrano in altri posti, attraversando vaste zone alberate e divorando campi coltivati, con la costernazione dei proprietari. Contro di loro sono state alzate barriere e scavati muri, oltre all’offerta di tonnellate di banane, ananas e mais, ma queste misure non sono state risolutive.

Conclusioni

Le tre specie di elefanti (africano di savana e foresta, asiatico) rischiano l’estinzione, non solo per l’aggravarsi dei cambiamenti climatici, con gli ulteriori aumenti di temperature, per cui il tasso di mortalità è arrivato al 10,5%, ma anche per l’aumento degli insediamenti umani, di aree coltivate e conseguente riduzione dei loro habitat. Incide molto anche il bracconaggio per il commercio di avorio, assai redditizio, con molte uccisioni. Dante Iagrossi (foto da Pixabay). 

ANIMALI IN GIOCO

di Dante Iagrossi. Per tutti i bambini, in generale, il gioco è assai importante. Per vari scopi: scoprire le proprie capacità e le inefficienze, per esplorare ambienti di vita ed adottare in essi particolari comportamenti utili, iniziare a conoscere gli altri. In altre parole, per crescere, imparare e maturare.

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Per quanto concerne il mondo animale, gli animali non seguiti dai genitori devono necessariamente saltare questo periodo ludico, perché subito messi davanti alle necessità basilari di trovarsi il cibo e difendersi da nemici.

Per gli altri, l’apprendistato ludico si esplica in un periodo più o meno lungo, non limitato alla fase giovanile, assumendo varie sfaccettature: motoria, predativa, con uso di oggetti diversi, sociale. Con un certo dispendio di tempi ed energia. In ogni caso, il gioco rappresenta una sorta di ginnastica inconsapevole per lo sviluppo del corpo.

Innanzitutto, come suppose per primo l’antropologo Bateson, nel gioco si crea una specie di “finta” comune. Le azioni sono cioè in gran parte mimate. Infatti, si osservano tigrotti che in apparenza si mordono, ma senza farsi male. Insomma i morsi, le unghiate sono “a salve”.

I cuccioli di leoni simulano la caccia, alternando i ruoli di predatori e prede, fino a far finta di mordersi.

Anche le zebre fanno così e si prendono anche a piccoli calci, in modo da essere pronte e addestrate poi a difendersi seriamente dai leoni.

Le madri dei mammiferi si rivelano assai pazienti, ma anche a volte severe, nell’addestramento dei piccoli. Le gatte mamme attirata l’attenzione dei figli con certi suoni, dopo averli aggrediti presentano loro topi morti o morenti , per prepararli a conoscere e catturare le prede vive; quelle di stambecco addirittura scalciano i cuccioli più timidi, per indurli a reagire.

Talvolta il gioco permette di provare e quindi adottare veri e propri comportamenti “salva-vita”. Ad es., i leoni di mare, in situazioni di tranquillità, imparano a cavalcare le onde, abilità che sarà loro vitale per sfuggire agli squali.

Ci sono anche casi in cui il gioco assume insospettabili valenze sociali. In un parco africano (Etosha, Etiopia), si è verificato che i giochi innocenti dei cuccioli di due famiglie di elefanti, antagoniste per l’accesso all’acqua di rare pozze nel deserto, hanno rallentato le tensioni, favorendo una migliore convivenza.

In un altro parco africano, un turista si è posto rannicchiato , come per dimostrarsi pacifico, di fronte ad una temibile famiglia di grossi gorilla. I cuccioli si sono allora avvicinati a lui, toccandogli i capelli, senza particolari reazioni. Il capofamiglia, dapprima allertato dalla presenza di un estraneo, lo ha poi accettato, sia pure in modo piuttosto guardingo.

Si notano anche precise differenze tra giochi di maschi e di femmine. Ad es., in genere i cuccioli di cervo muto amano giochi motori, evidentemente per potenziare le zampe in casi di fuga. Ma solo i maschi si prendono a testate per prepararsi alle cruente battaglie nella stagione riproduttiva.

Infine a volte il gioco sembra avere scopi esclusivamente di divertimento e piacere, come quando i cani (e non solo) “giocano” a pallone, o gatti che si trastullano con gomitoli di lana. Ma anche in questi casi, forse, la finalità potrebbe essere quella di fronteggiare un nuovo, inaspettato nemico, venuto ad “invadere” il proprio territorio.

Indubbiamente tra tutti si distinguono gli scherzi impertinenti delle scimmie non solo in alcuni zoo, ma anche all’aperto. Uno tra i tantissimi esempi. Una scimmia vedendo un ragazzo bere da una bottiglia di plastica gli dà un colpo di sotto, per cui l’acqua esce e lo bagna. Dante Iagrossi.

GUFI, SIGNORI DELLA NOTTE

di Dante Iagrossi

Secondo un’antica leggenda, Dio, dopo aver creato gli animali, si pentì di aver fatto il gufo piuttosto strano, con occhi grossi e vita notturna. Allora, al contrario delle apparenze, lo volle rendere simbolo di buona sorte per le persone che lo tenevano vicino, allontanando streghe e gnomi dispettosi.

Invece, altre credenze popolari gettano una cattiva fama sul gufo e altre creature simili, considerate di cattivo augurio, mentre invece svolgono utili funzioni nei loro ambienti di vita. Si tratta dei rapaci notturni, dell’Ordine, formato da circa 200 specie, degli Strigiformi, cioè “a forma di strega” (forse per gli occhi ampi e piuttosto inquietanti), che compaiono su rami di alberi soprattutto di notte.

Gufo reale

La caratteristica fondamentale è senz’altro la vista molto acuta che consente loro la cattura di piccoli animali appena intravisti persino nell’oscurità. Essa si basa su alcuni requisiti importanti:

La notevole distanza tra cristallino e retina, che consente la formazione di immagini maggiori, rispetto a noi.

La retina possiede un numero enorme di cellule visive, 10.000 per millimetro quadro, contro le 2000 nostre, per cui la loro acutezza visiva è 5 volte la nostra.

La porpora retinica, proteina rossa, offre una particolare sensibilità alla luce anche per sue minime quantità.

La larga apertura della pupilla permette inoltre una maggiore raccolta di luce.

Assiolo

Gli occhi disposti frontalmente anche se con un’apertura angolare di soli 180°, consentono una doppia messa messa a fuoco incrociata in avanti.

Con i suoi 75 cm di lunghezza, il gufo reale è il più grande, con due caratteristici ciuffi contraibili di penne sopra gli occhi. I colori delle piume, dense e soffici, possono essere giallo ruggine con macchie scure, oppure fulvo rossicci alla gola, con striature nere sul ventre. Il becco è piccolo e ricurvo, le zampe dotate di 4 unghie ricurve e dito esterno.

Civetta

Ai lati della testa ci sono due ampi fori uditivi con bordi avvicinabili l’uno all’altro da cui un fine udito che consente di avvertire il minimo fruscio tra piante. Il volume del cervello non è molto grande, ma presenta i lobi ottici assai sviluppati. L’assiolo è simile al gufo reale, con cornetti, ma più piccolo, di circa 20 cm.

La Civetta, dai colori bruno-grigi, toni rossi e bianchi, e i Barbagianni, giallo fulvo, sono senza ciuffetti.

Barbagianni

Il gufo e gli altri Strigiformi sono molto utili perché si nutrono di insetti nocivi, ma anche di topi, piccoli serpenti e volpi; le civette ed assioli si cibano invece di prede più piccole, insetti ed altri invertebrati. Questi animali forniscono ai ricercatori una serie importante di dati sulla presenza di altri non facilmente osservabili, come talpe, toporagni, ghiri attraverso le parti appallottolate, borre, non digeribili e rigurgitate come peli, penne ed ossa. Crediti fotografici: milleanimali.com/ rivistanatura.com/ elicrisio.it/ it.wikipedia.org. Dante Iagrossi, Caiazzo.

PANDA E KOALA, SIMBOLI DI UNA NATURA FERITA

di Dante Iagrossi

Panda che mangia foglie di bambù

Ci sono due bellissimi animali che, riprodotti in pelouche, compaiono spesso nelle camere dei bambini, teneri e simpatici a tutti, eppure a serio rischio di estinzione nei prossimi anni. Il panda gigante, anche se di appena 100 grammi alla nascita, è un orso piuttosto grande, lungo fino ad un metro e mezzo e pesante anche 200 kg. Mentre in natura arriva al massimo a 15 anni di età, in cattività la sua vita media raddoppia.

Pur disponendo di dentatura completa e di una parte di intestino come quella dei carnivori, si nutre solo raramente di piccoli mammiferi, anzi è divenuto in gran parte vegetariano, mangiando quasi sempre foglie di bambù. Essendo queste di scarso valore nutritivo, è costretto a consumarne grandi quantità, anche per 16 ore al giorno, fino ad una quarantina di chilogrammi. In questo è aiutato dal sesto dito nelle zampe anteriori, che permette di afferrare bene le canne. Il suo nome forse deriva dal nepalese “ponya”, che significa appunto “mangiatore di bambù”.

Per un breve periodo nel quinto anno, che varia da una a tre settimane, sono capaci di riprodursi: l’accoppiamento avviene in primavera e dopo una gravidanza di circa 5 mesi, nasce in genere un solo cucciolo. Piccolissimo, molto leggero, cieco e senza pelliccia resta con la madre per un anno e mezzo, imparando da lei a procurarsi il cibo e a sfuggire ai predatori. Quando fa molto freddo, non vanno in letargo, ma scendono a valle. I panda giganti liberi sono ridotti a circa 1600 e si trovano ormai solo nelle zone montuose, dai 1200 ai 3100 metri di altezza, della Cina Sud occidentale, mentre prima vivevano anche in tutto il Sud, Est cinese ed anche in Myanmar e Vietnam settentrionale.

Panda rosso

I motivi fondamentali della crescente estinzione dei panda sono dovuti alla notevole urbanizzazione di una nazione popolatissima (1 miliardo e seicento milione di abitanti), che causa un rilevante disboscamento delle foreste di bambù. Inoltre incide molto anche il basso tasso di natalità, molto spesso con un solo cucciolo per volta. Comunque sono stati creati centri di allevamenti e di recupero, che hanno portato ad una popolazione totale di 3000 esemplari. Si pensa di aiutare questi animali, sia predisponendo corridoi di foreste di collegamento, aumentandone così il territorio di vita, sia coltivando in grandi quantità varie specie di bambù, di cui si possano nutrire per tutto l’anno. Non sono direttamente pericolosi per noi, ma conviene sempre non avvicinarsi troppo a loro, per motivi di sicurezza, essendo dotati di grande forza fisica e capacità di morsi molto potenti. Per legge, i cuccioli sia liberi che in cattività sono proprietà del governo cinese, che li può cedere ad altri Stati, anche per lunghi periodi, ma a prezzi molto alti.

Koala

Il koala sembra un orsacchiotto, ma è un piccolo marsupiale, cioè appartiene allo stesso Ordine dei Canguri, gli altri animali simbolo dell’Australia. Il loro nome in lingua locale significa “colui che non beve mai”, poiché non li si vede quasi mai prendere direttamente acqua, assumendo i liquidi unicamente dalle foglie di eucalipto. Di questi esistono circa 250 specie, alcune delle quali piene di sostanze velenose per noi. Il corpo ovale e senza coda arriva a 85 cm di lunghezza, con peso massimo di 15 kg. La pelliccia morbida e folta biancastra, grigia, presenta macchie lungo i fianchi. I maschi si distinguono dalle femmine per la presenza di una striscia più scura al petto con ghiandole da cui esce un liquido usato per marcare gli alberi del loro territorio. Vivono in media circa 20 anni, e cominciano a riprodursi a 4. Dopo l’accoppiamento, tra dicembre e marzo, le femmine partoriscono al massimo due piccoli, avendo solo due capezzoli nel marsupio, in cui essi entrano appena usciti dal grembo. Del tutto inetti, lunghi appena 2 cm, di soli 5 grammi. Restano a succhiare latte materno nel marsupio per 6 mesi, dopo ne escono, ma restano per altrettanti mesi aggrappati alla schiena materna. Si nutrono soltanto di foglie e germogli di eucalipti, almeno mezzo chilo al giorno.

Koala, madre e cucciolo

Come i bambù per i panda, anche le foglie di eucalipto sono povere di proteine e grassi, ma contenenti alte quantità di fenoli e terpeni tossici per varie specie animali. Il loro fegato è in grado di disattivare questi veleni, l’intestino ne estrare tutti i nutrienti, quindi devono mangiarne spesso. Comunque passano però molto tempo a dormire, per ridurre il più possibile lo spreco di energie.

In Australia la legge proibisce di tenerli in casa e d’altra parte il loro addomesticamento è quasi impossibile. Vivono nelle foreste lungo la costiera orientale. In seguito al surriscaldamento globale, sono divenuti più frequenti gli incendi per le alte temperature che hanno distrutto molti ettari di foreste, provocando la morte di ben 480.000 animali, tra i quali 8.000 koala. Inoltre sono stati colpiti e decimati da una grave epidemia di Clamidia e soltanto una parte del loro habitat è protetta. In passato, tra il 1890 e il 1927, si è verificato un vero sterminio, poiché 8 milioni sono stati uccisi per la pelliccia e portati in Europa.

Adesso la salvaguardia dei koala è affidata soprattutto alla sensibilità ed alle azioni positive dei volontari, che ne hanno salvati molti dagli incendi, molto impauriti, con pelliccia bruciacchiata e disidradati, pronti a bere avidamente dalle bottiglie di acqua offerte. Inoltre sarebbero necessarie anche altre aree protette per un loro adeguato ripopolamento controllato.

Il canguro invece non corre per il momento serie minacce di estinzione, essendo favorito dalla possibilità di fuggire con grandi salti delle loro lunghe zampe posteriori e da una dieta più varia anche vegetariana. La lunga coda serve a spingersi e bilanciarsi e come appoggio da seduti. Tra le circa 60 specie diverse, con dimensioni varie, emergono quelli giganti rossi o grigi, con un altezza massima di un metro e sessanta; esistono anche alcune specie arboricole, capaci di saltare tra i rampi anche da 18 metri di altezza. In ogni caso è evidente il marsupio delle femmine, caldo e confortevole tasca in cui i piccolissimi appena nati si possono sviluppare per 6 mesi, ma dopo l’uscita vengono allattati per un altro anno, prima di acquistare autonomia.

Non conviene avvicinarsi troppo a questi animali, perché pur pacifici, potrebbero avere reazioni violente, con calci tanto potenti da risultare persino letali. (Crediti fotografici: ilfoglio.it/ rivistanatura.it britannica.com / ilmattino.com) Dante Iagrossi, Caiazzo

LE MEDUSE: FASCINO E PERICOLI

di Dante Iagrossi

Flessuose ed eleganti, le meduse sono di certo tra gli organismi più belli delle acque marine (e salmastre). Gelatinose, trasparenti, i loro colori variano dal rosa al viola, dal bianco al blu ed arancione, a seconda del cibo ingerito. Alcune sono persino fluorescenti. Se ne conoscono finora circa duecento specie diverse, ma con molte altre da scoprire, tante stupefacenti variazioni sul tema principale del corpo ad ombrello, dotato sul bordo inferiore di molti tentacoli urticanti e bocca centrale. La simmetria è radiale in quattro parti: 4 tentacoli orali (e vari urticanti) e 4 serie di organi riproduttivi.

Meduse

Questa è la struttura fondamentale, rimasta sostanzialmente uguale, da circa 600 milioni di anni, epoca a cui risalgono i loro primi resti fossili. Le dimensioni sono molteplici, dai pochi cm ai 2,5 m di diametro della Criniera di Leone, con lunghezza complessiva tentacolare di circa 35 m, e con pesi che arrivano a ben 250 kg. Presentano tre strati distinti: epidermide (esterno), mesoglea (gelatinoso, intermedio), gastrodermide (interno con cavità digerente, celenteron). La composizione è del 98% di acqua.

Rispetto alle Spugne, le loro cellule si presentano organizzate in diversi tipi di tessuti, epiteliale, muscolare e nervoso, ma senza formare organi veri. Un anello di fibre muscolari , controllate da fibre nervose, lungo il bordo del mantello, contraendosi e accorciandosi in movimenti pulsanti, espellono l’acqua fuori dal corpo e lo spingono in avanti, in genere verso l’alto. Non hanno occhi, ma organi sensoriali molto piccoli posti ad intervalli regolari sull’orlo dell’ombrello, con cui percepiscono la luce, la profondità. Si nutrono anche di meduse di altre specie, di crostacei, pesci piccoli, ma a volte possono anche proteggere sotto il loro mantello varie larve e pesci in stadi giovanili.

Nel 2010 si è verificato in Sardegna un unico caso di morte, ma dovuto alla Caravella Portoghese, che non è in realtà una medusa, ma un animale simile, un sifonoforo, costituito dal raggruppamento di molti polipi cnidari.

Pelagia noctiluca

Belle, ma pericolose, almeno alcune di quelle tropicali, di cui le australiane con veleno anche mortale. I tentacoli posseggono piccole cellule, nematocisti, con una specie di coperchio che copre una sorta di freccia, dotata di spine, azionata da un “grilletto” appena toccato. Il liquido iniettato contiene tre proteine con effetto generale anestetico, allergenico e paralizzante, a volte tossico. Invece le meduse del Mediterraneo, tra cui la Pelagia noctiluca, sono innocue, nonostante le temibili punture, piuttosto dolorose, con spiacevoli chiazze rossastre lasciate nelle zone colpite. Altre: Physalia physalis, Chrysoara Hysoscella, ecc.

Il loro ruolo ecologico è molto importante e variegato: oltre ad essere preda di molti pesci ed organismi superiori, agiscono da filtro e con i loro movimenti rimescolano le acque del mare, spostando nutrienti ed Ossigeno in zone più profonde. Le correnti marine ne sono quindi influenzate, con qualche conseguenza climatica. Negli ultimi tempi, si registra un certo aumento del numero di meduse nel Mediterraneo, a causa dello sfruttamento eccessivo, della pesca intensiva e del riscaldamento globale. Sono perciò diminuiti alcuni loro predatori. Principali nemici: cetacei, pesce luna (il più grande pesce osseo), pesce palla e tartarughe. Nel contempo sono anche aumentate le specie tropicali. Purtroppo molti altri organismi sono morti per soffocamento e ingestione di plastica, forse alcuni di essi possono scambiare per meduse gli stessi sacchetti. D’altra parte, contrariamente a quanto si credeva, anche le meduse possono ingerire plastica non biodegradabile.

Ciclo vitale delle meduse

La riproduzione è in parte sessuale con: deposizione delle uova di femmina in mare, liberazione degli spermatozoi da parte del maschio, formazione di planula sul fondo e sua trasformazione in polipo. In parte è asessuale con suddivisione di quest’ultimo in efire, giovani meduse, che poi si staccano e si muovono nelle acque.

Uno dei maggiori esperti mondiali in meduse è il Professor Ferdinando Boero, docente di Zoologia presso l’Università di Napoli, che ha scoperto e catalogato nuove specie di meduse. In particolare, ne ha intitolata una, Phialella zappai, al mitico Frank Zappa, estroso e innovativo musicista e cantante di origini italiane, che a sua volta gli ha dedicato un bel pezzo: “Lonesome Cowboy Nando”. Boero qualche anno fa ha promosso un innovativo progetto sulle Meduse, “Occhio alla medusa”, coinvolgendo molti ragazzi ed adulti in una sorta di monitoraggio sulla presenza di meduse nel Mediterraneo, in cui, oltre a quelle già note, sono state segnalate persino specie tropicali, mai trovate prima.

Turritopsis nutricola

Infine lo stesso ricercatore, già negli anni 80, con studenti e colleghi, si è dedicato allo studio della famosa Turritopsis nutricula, soprannominata “immortale”, che forse è l’unico organismo capace, in condizioni sfavorevoli, di invertire il suo normale ciclo vitale, ritornando allo stadio iniziale di polipo per poi ricominciare daccapo, per un numero indefinito di volte. Questo sarebbe forse teoricamente possibile in isolamento, ma non certo in mare, dove i predatori ne permettono solo un’esistenza normale e limitata. Pensare a qualche possibile utilizzo umano o di poter rubare il segreto dell’immortalità, è assai azzardato, poiché le meduse sono animali molto più semplici di noi. Una esistenza più lunga e sana si può ottenere solo con adeguati stili di vita, in ambienti non inquinati, e con dieta appropriata… E pensare che qualche persona di una certa età ha chiesto a Boero una pomata miracolosa per ritornare giovane, a base di medusa! Crediti immagini (in ordine): PianetaMamma.it; Atlantis Gozo; profpaolino.word.press.com; KontroKultura.it;

Interessante intervista televisiva (RAI3, Geo-Magazine) sulle meduse al prof. Ferdinando BOERO:

Prof. Ferdinando Boero (Associato ISMAR-CNR) a Geo-Magazine (RAI3)

Dante Iagrossi, Caiazzo