L’importanza dei vaccini

Crediti immagine: Torino – la Repubblica

Suscitano una certa preoccupazione le notizie di migliaia di sanitari in ogni Regione e 2-3 milioni di over 60 che non si sono sottoposti a vaccinazione contro il covid-19, nonostante ne abbiano avuto la possibilità. Eppure le vaccinazioni contro altre malattie provocate da virus e batteri nell’ultimo secolo hanno salvato la vita a milioni di persone.

Vi propongo la situazione di alcune malattie infettive e il loro andamento negli Stati Uniti, prima e dopo l’introduzione dei relativi vaccini. Sugli altri Stati, compresi quelli europei non ci sono dati. Quelli degli Stati Uniti sono stati ricavati da: U.S. Centers for disease control and prevention; Organizzazione Mondiale della Sanità; Immunisation Action Coalition e riportati dal National Geografic di novembre 2017.

Morbillo: Tra il 1930 e il 1964 (anno dell’introduzione del vaccino) ogni anno si registravano tra 500.000 e un milione di casi. Dopo, tra il 1990 e il 2000, i casi di morbillo si sono quasi azzerati. Solo nel 2014, in una comunità Amish, dove da anni non si eseguivano vaccinazioni, c’è stata un’epidemia di morbillo che ha colpito quasi 400 persone. Epidemia azzerata dall’anno successivo, con vaccinazioni dell’intera comunità.

Rosolia: Fino al 1969 (introduzione del vaccino), negli USA si registravano mediamente una decina di migliaia di casi all’anno. Dopo le vaccinazioni c’è stata una progressiva diminuzione fino alla scomparsa della malattia nel 2000.

Parotide: Il vaccino fu introdotto nel 1967, quando i casi di malattia ogni anno erano circa 50.000. Si sono ridotti progressivamente fino ad arrivare ad alcune migliaia, concentrati nei college universitari dove gli studenti vivono a stretto contatto.

Difterite: Da circa 80.000 casi stimati nel 1930, dopo l’introduzione delle vaccinazioni nel 1947, i casi sono diminuiti fino alla scomparsa della malattia nel 1980.

Varicella: Ci sono dati dal 1970 circa 100.000 casi all’anno. Il vaccino venne introdotto nel 1980 e dagli anni successivi i casi si sono ridotti ad alcune migliaia.

Pertosse: Dai 200.000 casi circa del 1930, le vaccinazioni introdotte nel 1948 hanno ridotto i casi a pochissime migliaia nel 1980. Poi inaspettatamente (forse per la minore efficacia dei vaccini e/o alla riduzione delle vaccinazioni) c’è stato un aumento fino ad alcune decine di migliaia di casi.

Poliomielite: Le vaccinazioni vennero introdotte nel 1956 e da allora (60.000 casi annui, in media) nel corso di una decina d’anni la poliomielite è stata debellata. Non solo negli Stati Uniti. In tutto il mondo nel 2016 sono stati registrati solo 37 casi di poliomielite. Grazie alle vaccinazioni di massa dei bambini, rispetto al 1988 c’è stata una diminuzione dei casi del 99%.

Per meglio comprendere quanto siano stati importanti i vaccini per ridurre l’incidenza di queste malattie infettive, ciascuno può cercare in rete le conseguenze che queste provocano, sia in termini di decessi che di invalidità permanenti. La difterite ad esempio, provocava fino a 15.000 morti all’anno, adesso è rara. La poliomielite provoca paralisi spesso irreversibili e dolorose degli arti, prima di portare alla morte nel 40% dei casi.

Senza considerare malattie ormai scomparse come il vaiolo, la prima malattia combattuta con il vaccino, che provocava centinaia di migliaia di morti all’anno nel mondo.

Eppure i no vax si basano e si lasciano condizionare nelle loro scelte dai rari casi avversi associati ad ogni farmaco, vaccini compresi, senza considerare gli enormi benefici delle vaccinazioni di massa.

Sul sito Infovac della Confederazione svizzera si legge che: “Le vaccinazioni evitano malattie potenzialmente gravi e salvano delle vite. Esse hanno permesso di limitare la diffusione di alcune malattie che erano frequenti in Svizzera, come il tetano, la poliomielite, la difterite, la pertosse, il morbillo, la rosolia, gli orecchioni, l’epatite B e alcune forme gravi di meningite. Purtroppo, i virus e batteri che generano queste malattie sono ancora presenti nel nostro paese. I vaccini restano dunque indispensabili per proteggere non soltanto le persone che li ricevono, ma anche la loro famiglia e la loro cerchia di amici.”

I valori arrotondati si riferiscono a medie annuali. Fonte dei dati: U.S. Centers for disease control and prevention; Organizzazione Mondiale della Sanità e Immunisation Action Coalition. Riportati dal National Geografic di novembre 2017.

Programma Artemis: accordo fra USA e Italia

Poche settimane fa, il sottosegretario Riccardo Fraccaro della Presidenza del Consiglio dei Ministri, a Palazzo Chigi, e l’amministratore delegato della NASA Jim Bridenstine, in collegamento internet hanno firmato un accordo di collaborazione sul programma Artemis per l’esplorazione della Luna. Si tratta del primo accordo degli USA per questo progetto con un Paese europeo.

La cooperazione tende a riportare l’uomo sulla Luna e, in prospettiva, si vogliono porre le basi per l’invio di una sonda con equipaggio umano su Marte. L’accordo rafforza una collaborazione già importante in passato e si vuole predisporre una base operativa sulla Luna per successive esplorazioni spaziali. Grande soddisfazione del governo italiano, dell’Agenzia Spaziale Italiana e delle aziende del settore aerospaziale, prima fra tutte Leonardo, guidata dall’amministratore delegato Alessandro Profumo. Per le industrie italiane del settore significa investimenti di circa un miliardo di euro e lavoro specializzato per ingegneri, fisici e chimici. L’impegno italiano sarà concentrato soprattutto nello sviluppo e nella costruzione di moduli abitativi lunari e telecomunicazioni. Per il sottosegretario Fraccaro, la firma dell’accordo, “è un riconoscimento ulteriore del ruolo del nostro Paese all’interno della missione Artemis, che porterà la prima donna sulla Luna e ha l’obiettivo di stabilire una presenza continua e autosufficiente sulla superficie lunare”. Approfondimenti sul programma Artemis. Video di MEDIA INAF. Crediti: https://www.nasa.gov/specials/artemis/

Trump ritira l’adesione degli USA all’accordo di Parigi sul clima

     La decisione di ieri (almeno l’annuncio ufficiale c’è stato solo ieri) del Presidente USA è stata presa contro ogni buon senso e contro i seguenti obiettivi concordati a Parigi: “la risposta globale alla minaccia dei cambiamenti climatici, nel contesto dello sviluppo sostenibile e degli sforzi volti a sradicare la povertà, anche tramite:

(a) il mantenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto di 2 °C rispetto ai livelli pre-industriali, e proseguire l’azione volta a limitare l’aumento di temperatura a 1,5° C rispetto ai livelli pre-industriali, riconoscendo che ciò potrebbe ridurre in modo significativo i rischi e gli effetti dei cambiamenti climatici;

(b) l’aumentare la capacità di adattamento agli effetti negativi dei cambiamenti climatici e

promuovere lo sviluppo resiliente al clima e a basse emissioni di gas ad effetto serra, di modo che non minacci la produzione alimentare;

(c) il rendere i flussi finanziari coerenti con un percorso che conduca a uno sviluppo a basse emissioni di gas ad effetto serra e resiliente al clima.” Sono i punti principali dell’art. 2 del testo dell’accordo di Parigi abbandonato dagli USA del presidente Trump.

     C’erano già molti dubbi (come quelli di James Hansen, padre dell’allerta sui cambiamenti climatici) sulla capacità complessiva degli Stati di rispettare gli impegni sottoscritti in Francia nel 2015, sulla possibilità di limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5 °C e sulla possibilità di salvare i Paesi più vulnerabili e a rischio per il riscaldamento climatico, come le “piatte” isole del Pacifico. Col ritiro degli USA, che per decenni sono stati i maggiori inquinatori del Pianeta, gli obiettivi sono ancora più difficili da raggiungere. Soprattutto se, come annunciato dal Presidente USA, si riprende l’estrazione e il consumo di carbone su vasta scala per ottenere energia. Aumentano le preoccupazioni, i dubbi, le perplessità sull’efficacia e la forza di tutti gli altri Stati per far invertire la tendenza di quest’aumento di temperatura che mette a rischio le più grandi riserve d’acqua dolce del Pianeta.

     Di sicuro si stanno aprendo nuovi scenari geopolitici mondiali, con gli USA isolati contro tutti o quasi: l’ultima polemica riguarda il capo del governo inglese Theresa May che, pur esprimendo delusione per la decisione USA, non ha firmato la lettera predisposta dai governi di Francia, Germani e Italia a sostegno e conferma degli accordi di Parigi.

     Quali sono stati i motivi delle scelta del presidente Trump? Riaffermare la sovranità americana (?); Smettere di distribuire ricchezza dagli Stati Uniti agli altri Paesi; Gli USA non hanno bisogno dell’accordo. Commenti negativi alla decisione di Trump si registrano da tutti i continenti e la Cina, il maggior produttore attuale di gas serra, si mette a capo dei sostenitori dell’accordo di Parigi.

Ma Trump deve registrare anche l’opposizione alla sua decisione di alcuni grandi Stati, come la California, e città come New York.

Video: L’Annuncio di Trump del ritiro dagli accordi sul clima sottotitolato in italiano. Testo completo dell’Accordo di Parigi.

La dichiarazione di ieri 1° giugno dei Presidenti Emmanuel Macron, Angela Merkel e Paolo Gentiloni.

We, the Heads of State and of Government of France, Germany and Italy, take note with regret of the decision by the United States of America to withdraw from the universal agreement on climate change.
The Paris Agreement remains a cornerstone in the cooperation between our countries, for effectively and timely tackling climate change and for implementing the 2030 Agenda sustainable development goals.
We deem the momentum generated in Paris in December 2015 irreversible and we firmly believe that the Paris Agreement cannot be renegotiated, since it is a vital instrument for our planet, societies and economies.
We are convinced that the implementation of the Paris Agreement offers substantial economic opportunities for prosperity and growth in our countries and on a global scale.
We therefore reaffirm our strongest commitment to swiftly implement the Paris Agreement, including its climate finance goals and we encourage all our partners to speed up their action to combat climate change.
We will step up efforts to support developing countries, in particular the poorest and most vulnerable, in achieving their mitigation and adaptation goals.

Paolo Gentiloni, Emmanuel Macron, Angela Merkel.”

Il codice sul volo di Leonardo è negli USA

codice-volo-uccelli-leonardo-da-vinci-217x300      Si tratta del famoso codice sul volo degli uccelli, un manoscritto formato da diciotto fogli conservato alla Biblioteca Nazionale di Torino. Venne scritto da Leonardo da Vinci nel 1505 e, oltre a rappresentare la prima analisi scientifica del volo degli uccelli con precisi appunti e relativi disegni, descrive idee e presenta schemi per la realizzazione di macchine che possano permettere il volo umano.

Su richiesta della redazione del TG3 Leonardo, fatta due anni fa al direttore del Jet Propulsion Laboratory della NASA (Pasadena) in visita a Torino, il codice sul volo è stato digitalizzato e inserito in un chip che il Rover Curiosity nel 2012 ha portato con sé su Marte. In quell’occasione furono Anche attivate le procedure per un trasferimento del codice negli Stati Uniti. È stato scelto il più grande museo al mondo dedicato al volo e allo spazio: il National Air and Space Museum di Washington, il museo più visitato d’America. I più importanti mezzi d’informazione statunitensi ne stanno parlando da settimane e l’iniziativa è presentata ai cittadini come la possibilità che capita una sola volta nella vita. È prevedibile un enorme successo di pubblico e un grosso affare commerciale per il museo.

codicevolo-daVinci-216x300     L’esposizione durerà 40 giorni: da domani 13 settembre al prossimo 22 ottobre e rientra nelle iniziative dell’Anno della Cultura Italiana negli Stati Uniti. Il codice sarà sistemato e visibile in una cassa appositamente progettata e adeguatamente protetta, posta nella galleria dei fratelli Wright, la più visitata del museo. Il codice potrà essere sfogliato da numerose postazioni interattive.

Considerato il successo economico e organizzativo di certi musei americani, in Italia abbiamo molto da imparare sulla capacità di sfruttare economicamente e in sicurezza i prodotti della nostra arte, della storia, della scienza e della tecnologia.

L’invio e la mostra negli USA sono stati possibili grazie all’impegno del Ministero degli Affari Esteri, di quello dei Beni e delle Attività Culturali, delle Ambasciate dei du Paesi e alcune Fondazioni sensibili ai progetti scientifici, artistici e culturali in generale.

 

OIL: di disastro in disastro

oil-BP-300x198     Solo poco tempo fa abbiamo sentito, letto e scritto di un “piccolo” versamento di idrocarburi nel fiume Lambro, in Lombardia, dove ancora si cerca di raccogliere una parte degli inquinanti. Nel frattempo, l’uomo non è certo rimasto con le mani in mano! Anzi in una piattaforma marina nel golfo del Messico, non si sa come, c’è stato un incendio. La piattaforma è affondata e dal pozzo sottomarino Deepwater Horizon che è alla sua base, qualche settimana fa (era il 21 aprile) è iniziata la fuoriuscita di un enorme quantitativo di petrolio: circa 5000 barili al giorno. La piattaforma si trovava a 80 km dalla costa e estraeva 8000 barili di greggio al giorno. Ricordiamo che un barile corrisponde a circa 160 litri. Ormai è una catastrofe di dimensioni gigantesche. La compagnia petrolifera BP (British Petroleum), inizialmente ha scaricato le colpe su altri (la compagnia svizzera Transocean), poi ha dichiarato che si accollerà tutte le spese necessarie al ripristino delle condizioni ambientali iniziali e al pagamento dei danni economici per le regioni costiere interessate. Questo anche perché la posizione di Obama è stata dura: la BP è responsabile e pagherà. La marea nera ha raggiunto le coste della Louisiana e la foce del Mississippi, dove è stato decretato lo stato di emergenza e sono stati mobilitati migliaia di militari, a breve potrebbe arrivare sulle coste della Florida e il problema viene seguito da vicino sia dalle autorità degli Stati costieri sia dal presidente Obama. Intanto i tecnici, dopo aver scartato varie altre ipotesi cercano di realizzare una cupola di contenimento in cemento armato e acciaio che possa bloccare o quantomeno arginare la fuoriuscita di petrolio dal fondale, a circa 1500 metri sotto il livello dell’acqua. I risultati di quest’intervento non sono affatto certi e comunque richiederà molto tempo. Per un incidente di una simile gravità bisogna tornare al 1989, al disastro della petroliera Exxon Valdez che versò in mare 260.000 barili di petrolio. Una conseguenza importante questa catastrofe l’ha avuta: sono state bloccate ulteriori trivellazioni in mare, sia lungo le coste atlantiche che nel Pacifico, lungo la costa californiana. In varie parti del mondo sono iniziate le verifiche sullo stato delle piattaforme petrolifere in funzione, per individuare e risolvere eventuali problemi ed evitare altre catastrofi. Chi vuole, sulla rete troverà molti video che documentano l’incendio e la diffusione in superficie della macchia oleosa, ormai lunga circa 200 km e larga circa 100 km. Naturalmente i danni sui fondali sono altrettanto gravi ma non sono visibili né documentati.