Giornata mondiale del rene

kidney-rene-300x240     È stata celebrata l’8 marzo scorso ma non se n’è parlato molto. Del resto si tratta di un giorno dove prevalgono di gran lunga le celebrazioni della giornata internazionale della donna. Ma anche i reni sono importanti. L’evento in Italia è stato promosso dalla Società Italiana di Nefrologia e la celebrazione ha voluto fornire conoscenze e sensibilizzare l’opinione pubblica sulle malattie renali. L’organo può essere danneggiato seriamente da ipertensione e diabete che possono portare alla dialisi, se entrambi i reni smettono di funzionare. Studenti e studentesse degli ultimi anni di scuola secondaria dovrebbero sapere abbastanza bene cosa sono e come funzionano i nefroni. A grandi linee, si può scrivere che sono le unità strutturali e funzionali dei reni, due organi posti nella parte posteriore della cavità addominale, grandi quanto un pugno. I reni hanno il compito di selezionare ed eliminare le sostanze di rifiuto dal sangue, riassorbendo l’acqua necessaria al nostro organismo. Ciascuno di essi è composto da una fitta rete di capillari sanguigni e da circa 80 km di tubuli. Nella struttura del rene si distinguono due regioni: la corticale e la midollare. Ogni rene contiene circa un milione di nefroni, nella cui parte iniziale si trova la capsula di Bowman, una struttura a forma di coppa che racchiude il glomerulo, un fitto ammasso sferico di capillari, l’unità filtrante. Segue un lungo (rispetto al diametro) e contorto tubulo suddiviso in tre parti: tubulo prossimale, ansa di Henle e tubulo distale, che provvedono prima alla riduzione della quantità di filtrato (se ne formano circa 180 litri nell’arco delle 24 ore) e poi alla formazione dell’urina. Capsula di Bowman e glomerulo si trovano nella zona corticale, una parte del tubulo con l’ansa di Henle invece affondano nella zona midollare per poi ritornare in quella corticale. Mentre nel glomerulo avviene la filtrazione del sangue, lungo il tubulo si ha il riassorbimento, soprattutto di acqua e soluti importanti, seguito e/o accompagnato dalla secrezione di sostanze tossiche, ioni in eccesso e residui di farmaci che portano alla formazione dell’urina. Quest’ultima è convogliata (escrezione) dal dotto collettore nella pelvi renale e, attraverso l’uretere di ciascun rene, viene immagazzinata nella vescica e infine eliminata per mezzo dell’uretra.

Oggi a Torino, all’ospedale Le Molinette c’è stato un importante trapianto di rene, ben riuscito, tra madre e figlio. La compatibilità è stata tale che non richiederà neanche l’assunzione di farmaci antirigetto. Il figlio ventinovenne, in passato aveva già ricevuto dalla madre il trapianto di midollo.

Per approfondimenti sulle strutture e sui processi citati, vedi il libro di testo o manuali di anatomia e fisiologia.

Anche i video

http://youtu.be/sNIHkphLeu8

http://youtu.be/ga6KJyick70

o il testo: http://it.wikipedia.org/wiki/Rene

La culla degli ominidi

regione-ominidi-Etiopia-264x300     Il luogo dove gli ominidi hanno avuto origine, si sono evoluti e hanno vissuto più a lungo, circa sei milioni di anni, è l’Africa orientale, soprattutto l’Etiopia. Qui, a nord della linea dei grandi laghi Malawi, Tanganika, Vittoria, Kivu, Edoardo, Alberto, Turkana, si sono concentrate le ricerche di fossili di ominidi negli ultimi decenni. Una di queste ricerche, i cui risultati sono stati comunicati nel 2009, ha portato al recupero nella Valle dell’Awash del più antico scheletro fossile di ominide: Ardi, appartenente al genere Ardipithecus ramidus.

La fossilizzazione in ambiente terrestre, dove prevale l’erosione, è un processo rarissimo ma evidentemente in questa regione della Terra si sono verificate le condizioni necessarie per farlo avvenire: la presenza delle strutture scheletriche, la rapida copertura del corpo ad opera dei sedimenti e l’ambiente che ha favorito la sostituzione della materia organica con sostanze minerali e la successiva conservazione. Anche il genere Homo ha avuto origine qui, lungo la grande Rift Valley caratterizzata da vulcani, terremoti e laghi. I sedimenti lacustri sono senza dubbio quelli più favorevoli alla conservazione dei resti di organismi morti ma, il caso di Pompei ce lo insegna, anche i prodotti delle eruzioni vulcaniche, ceneri, pomici, lapilli, sono adatti a questo scopo.

Ardi ha un’età di circa 4,4 milioni di anni ed è lo scheletro di un adulto femmina, come lo è la più famosa Lucy, che però ha circa 3,3 milioni di anni. Nella stessa regione è stato recuperato anche un cranio umano completo: Herto, con un’età compresa tra i 160.000 e i 155.000 anni. Si tratta dei resti del più antico Homo sapiens, molto simile a noi mentre la distanza evolutiva e temporale da Ardi è notevole. Il ritrovamento di Ardi ha permesso ai paleontologi di immaginare l’evoluzione umana in tre stadi: l’ Ardipithecus, parzialmente bipede, adattato a vivere in un ambiente forestale; l’Australopithecus, del tutto bipede, adattato a vivere bene anche fuori dalla foresta; l’ Homo, che al bipedismo aggiunge un cervello grande, denti e mascella ridotti, l’uso di strumenti, la diffusione su un areale sempre più vasto e in ambienti diversi.

Tutte le parti ossee recuperate di Ardi consentono ai paleontologi di pensare ad un primate molto primitivo che, secondo alcuni, farebbe parte della stessa linea evolutiva che ha portato all’ Australopithecus. Secondo altri, questo è molto improbabile ed è un azzardo affermarlo data l’esiguità dei resti fossili e l’arco temporale enorme di oltre 4 milioni di anni.

L’affascinante ricerca delle origini umane continua e purtroppo non avrà mai certezze assolute.