Terremoto e tsunami in Giappone

tsunami-Giappone-300x225     In occasione del sisma che nel 2010 ha colpito il Cile e di quello più modesto del 2009 dell’Aquila, abbiamo già detto cos’è un terremoto, quali sono le sue cause e come si misurano la sua magnitudo e l’intensità. Abbiamo fatto anche riferimento alla Teoria della tettonica a placche.

Cosa dire di quest’ultimo devastante terremoto (8,9 gradi Ricther) che ha colpito il Giappone? Le prime cose che attirano l’attenzione sono: 1) l’abitudine e la preparazione di quel Paese alle catastrofi naturali; 2) la cintura di fuoco circumpacifica è stata spesso soggetta a eventi catastrofici di elevata magnitudo e continuerà ad esserlo; 3) quando un sisma interessa una zona costiera, i danni più temibili sono quelli di un possibile tsunami; 4) c’è stato il coinvolgimento di una centrale nucleare.

1.      Fin dal secondo dopoguerra, la ricostruzione del Giappone è stata fatta considerando i criteri antisismici. Questi criteri si sono evoluti e sono stati aggiornati nei decenni successivi, perciò le costruzioni in cemento armato hanno retto anche a questo sisma, il settimo in ordine di magnitudo del pianeta, da quando sono iniziate le misurazioni. Il comportamento della popolazione è stato esemplare: rassegnazione all’evento contro il quale l’uomo non può fare assolutamente nulla di diretto, atteggiamenti ordinati e rivolti a superare l’emergenza e guardare al futuro. Durante le scosse, ci sono state certamente paure, preoccupazioni e agitazioni, da ciò che abbiamo potuto osservare dalle riprese delle telecamere, ma non si sono avute manifestazioni di panico e confusione. Purtroppo i morti accertati sono circa duemila ma si pensa che possano essere almeno diecimila.

2.      La cintura circumpacifica, nella sua zona occidentale, asiatica, è caratterizzata da margini di placca distruttivi, con la zolla pacifica incuneata sotto la placca asiatica continentale meno densa. Questa subduzione del margine di placca oceanica più densa avviene secondo un piano obliquo detto piano di Benioff, con un angolo di immersione di 45°, e genera sistemi di archi insulari (Filippine, Giappone, …) e sistemi di fosse oceaniche (Tonga, Marianne, Curili, …). Lo spostamento di questo margine di placca in consunzione è di circa una decina di cm all’anno e porta allo sprofondamento della placca pacifica che fonde  e si trasforma in magma a bassa densità che tende a risalire generando fenomeni vulcanici, in prevalenza sottomarini anche se noi veniamo a conoscenza solo di quelle manifestazioni che avvengono in superficie. La parte meridionale della placca pacifica, contigua a quella antartica, e quella orientale confinante con la placca di Nazca e quella Americana, sono caratterizzate da margini prevalentemente in accrescimento, misti a faglie trasformi.

3.      I danni alle cose e i morti provocati dal sisma sono stati pochi se confrontati a quelli causati dallo tsunami che ne è seguito e ha raggiunto la costa dopo pochi minuti. Il maremoto che nella sua manifestazione più violenta è detto tsunami è stato sempre la paura maggiore per le popolazioni rivierasche. Quando l’ipocentro si manifesta sotto l’oceano, le onde sismiche si trasmettono alle acque che, essendo incomprimibili, trasmettono l’energia ricevuta sotto forma di onde che, dotate di lunghezza e velocità molto elevate, a mano a mano che si avvicinano alla costa, per l’attrito con il fondo piegano in avanti la loro cresta e si frangono trasportando così non solo energia ma anche materia: acqua! In questo caso le onde, alte circa dieci metri, si sono spostate sulla terraferma pianeggiante per molti chilometri distruggendo e trasportando detriti di ogni sorta. Come se non bastasse poi, per gran parte di quest’acqua c’è stata la risacca.

Sui danni alla centrale nucleare si può dire poco: in genere le autorità in ogni Paese tendono sempre a minimizzare questo tipo di danni. Gradualmente poi si scopre e si comunica alla popolazione e alle autorità politiche e scientifiche, anche di altri Stati, quanto effettivamente è successo. La quantificazione dei danni sulla popolazione esposta alle emissioni di radioattività richiederà tempi ancora più lunghi. Oggi sappiamo che c’è stata un’esplosione al reattore n. 1 della centrale nucleare di Fukushima, probabilmente a causa dell’accumulo di vapore negli ambienti, sprigionato dalle condutture danneggiate dal sisma. I reattori si sono fermati automaticamente nel momento del terremoto. Alcune centrali possono avere fino a quattro autonomi sistemi di sicurezza, ma in questo caso i danni alle tubature hanno determinato problemi di raffreddamento dei reattori. L’incidente di ieri è stato classificato, dall’Agenzia di sicurezza nucleare giapponese, di livello 4 su una scala di 7. Secondo gli ultimi dati delle agenzie di stampa, alcuni residenti nella zona della centrale, esaminati a campione, risultano contaminati dalle radiazioni. Ulteriori notizie si sapranno nelle prossime ore e nei prossimi giorni. Sicuramente quest’incidente, in una delle 25 centrali nucleari considerate più sicure al mondo, alimenterà anche in Italia il dibattito sulla sicurezza e sull’opportunità di procedere nei piani governativi di installazione di questo tipo di centrali. Anche in considerazione del fatto che molte Regioni si sono dichiarate indisponibili ad accoglierle.

La foto che mostra l’avanzata dello tsunami sulla terraferma è ricavata dall’indirizzo:  http://www.cdt.ch/files/images/f_783f8734365f479959f69554b95e5625.jpg

Video sullo tsunami:  http://www.youtube.com/embed/gazsfbA4F3g

Video sull’esplosione della centrale di Fukushima:   http://www.youtube.com/embed/nR3RJwq4WUU

Nazca – Sudamerica: uno scontro titanico

nazca-sudamerica     La prima è una placca interamente oceanica che è ricoperta dalla parte sud orientale dell’oceano Pacifico. La seconda è una placca di maggiori dimensioni per metà circa continentale e per l’altra metà oceanica, infatti occupa tutto il Sudamerica e una parte dell’oceano Atlantico fino alla dorsale medio-atlantica. Il margine tra queste due placche è distruttivo o convergente o di compressione perché la placca di Nazca, più densa è in subduzione (inabissamento) lenta ma inesorabile sotto quella Sudamericana. Proprio questi scontri e la conseguente subduzione, che avviene con un piano di immersione (piano di Benioff) che forma un angolo di circa 45° con quello della superficie, sono i responsabili della formazione della Cordigliera delle Ande e dei frequenti terremoti e numerosi vulcani presenti in quell’area geografica. La teoria della tettonica delle placche fu formulata negli anni 60 del 1900, per merito di vari studiosi (ad esempio Harry Hammond Hess (1906-1969) con la sua teoria dell’accrescimento dei fondali oceanici) che ripresero e completarono la teoria della deriva dei continenti proposta nel 1915 da Alfred Wegener (1880-1930).

Il devastante terremoto, magnitudo 8,8 della scala Richter,  che ha colpito la costa cilena nei giorni scorsi rientra in questo fenomeno che perdura con “normalità” da milioni di anni. Si tratta del settimo più forte scuotimento nella storia sismica del pianeta. I danni e i lutti causati dal terremoto sono stati aggravati dallo tsunami che è stato prodotto dalla scossa principale nel Pacifico e che si è abbattuto sulla costa senza che la popolazione venisse adeguatamente informata e messa in allarme, per colpa, sembra, della Marina cilena. L’ipocentro, per fortuna della popolazione, è stato nell’oceano Pacifico a 35 km di profondità e a circa 113 km dalla costa e questo ha in parte attenuato i danni (se così si può dire) nelle zone abitate. Le scosse secondarie continuano tuttora, a centinaia e continueranno per mesi. Per quanto riguarda l’energia sprigionata, si parla di un valore 15.000 o 20.000 volte maggiore di quella che si è avuta con il terremoto dell’Aquila perché ad ogni aumento di 1 grado di magnitudo corrisponde un aumento di energia di circa 32 volte. Del resto Nazca e Sudamerica si avvicinano ad una velocità di circa 7 cm l’anno, in grado di accumulare una notevole quantità di energia in poco tempo. Per il nostro pianeta questa è la zona dei record, già nel 1960 c’è stato il più forte terremoto mai registrato: 9,5 della scala Richter. Anche il sisma che ha colpito Haiti circa un mese fa con centinaia di migliaia di morti rientra in questi sconvolgimenti tettonici ma non ha alcun collegamento diretto con quello del Cile. Oltre alla scala Richter, per i terremoti si utilizza anche la scala Mercalli, cosa le differenzia?

La scala Richter misura la magnitudo, con valori che vanno da zero a poco più di 9 anche se non esiste un limite superiore, che è direttamente proporzionale all’energia liberata dal sisma. Si tratta di un scala logaritmica, in simboli M = log10 (A/A0). M indica la magnitudo, A0 è un’ampiezza standard, A è l’ampiezza massima delle onde sismiche registrate.

La scala Mercalli, Cancani, Sieberg invece misura l’intensità di un terremoto, è una scala empirica e descrittiva. Comprende 12 gradi e ad ognuno di essi corrisponde una descrizione delle conseguenze del sisma sulle persone e sulle cose. Il valore dell’intensità si ricava solo a posteriori, osservando e valutando gli effetti che il terremoto ha prodotto.

Il terremoto del 6 aprile in Abruzzo


 

Morti, feriti, sfollati, attività domestiche, artigianali e industriali distrutte o rovinate: è questo lo scenario del terremoto in Abruzzo. La situazione della prima emergenza oggi appare quasi superata ma adesso inizia la gestione ordinaria del dopo terremoto, di una sistemazione meno precaria degli sfollati, della ricostruzione delle abitazioni civili, degli uffici pubblici, del patrimonio culturale e artistico-religioso. Gli scavi dei primi giorni sono stati continui, senza soste, con turni fra i soccorritori come deve essere, a mano e con piccoli mezzi e strumenti, senza ruspe e escavatori, solo con autogru per sollevare dove era necessario i pezzi di solaio e di colonne più pesanti. Senza creare ulteriori danni alle eventuali persone sommerse. A L’Aquila e nei paesini e frazioni più distanti. Numerose sono state le persone estratte vive dagli edifici crollati. La stima è di oltre 5000 soccorritori, provenienti da varie parti d’Italia, uomini e donne della protezione civile che hanno lavorato senza sosta.

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