Monitoraggio delle foreste

     Presso l’Università del Maryland (Washington DC, USA) è stato sviluppato e implementato il Progetto Global Watch Foresta, un sistema per tenere d’occhio in tempo quasi reale le foreste del mondo. Il sistema è aperto alla collaborazione di attivisti delle varie parti del pianeta. Iscrivendosi al sito http://www.globalforestwatch.org/ (è possibile selezionare una delle varie lingue), ma anche senza iscrizione, si possono segnalare cambiamenti della copertura forestale di una determinata zona oppure si possono ricevere i dati (open data) sulla copertura forestale delle aree di proprio interesse presenti nel sistema.

     Ad esempio, selezionando un Paese è possibile una visualizzazione da satellite (Landsat) della sua perdita di copertura arborea. Per una visione più accurata si può intervenire sullo zoom e con un diverso colore (indaco) si possono individuare gli aumenti della copertura forestale riferiti agli ultimi anni.

     Ma Global Watch Foresta è anche molto altro. Permette di monitorare l’uso del suolo, la conservazione delle aree protette, visionare le storie degli utenti caricate in rete, … Altre sezioni consentono di rimanere informato per mezzo di blog, newsletter e pubblicazioni, oppure di mettersi in gioco contribuendo con una app o migliorando/aggiornando i dati.

     Chi è interessato alle statistiche ad esempio può scaricare quelle relative alla copertura forestale, dove si trovano quelle dell’Italia suddivise per Regione e per anno dal 2000 al 2014. Ad esempio la copertura arborea del suolo relativa al 2000, ci mostra gli estremi del Trentino con una copertura del 55% e quello della Puglia con una copertura del 8%.

     Non meno importanti sono le sezioni relative agli incendi e al clima, sempre suddivise per Paese. I vari dati si possono scaricare o visualizzare liberamente e ciascuno può contribuire ad aggiornarli. I nuovi dati inseriti, dopo controlli incrociati che sfruttano anche i satelliti Landsat, si aggiungeranno al data base di Global Watch Foresta.

     L’idea di utilizzare le immagini da satellite integrate con le informazioni fornite dalle popolazioni che si trovano sul posto, oltre a migliorare il servizio di monitoraggio e mantenerlo aggiornato, è certamente ottima anche sul piano educativo e per la prevenzione dei grandi illeciti ambientali.

Crediti: http://www.globalforestwatch.org/

Sentinelle dell’ambiente in orbita intorno alla Terra

sentinel-1     Il progetto europeo Copernicus prevede la costruzione e l’invio in orbita di una serie di satelliti dedicati al monitoraggio dell’intera superficie terrestre: atmosfera, mari, suolo, cambiamenti climatici, gestione delle emergenze, sicurezza. Il progetto complessivo si basa su un investimento di circa cinque miliardi di euro da parte dell’Unione Europea, con la partecipazione scientifica, tecnologica e finanziaria dell’Agenzia Spaziale Europea.

Il primo di otto satelliti della serie, Sentinel-1A, è stato inviato in orbita dalla base di Kourou, nella Guyana Francese lo scorso 3 aprile. Si prevede un ritorno economico, occupazionale e ambientale significativo per tutti i Paesi coinvolti nel progetto, con applicazioni industriali nei settori oggetto del monitoraggio.

Sentinel-1_lancio-178x300     I Sentinel sono dotati di radar in grado di scandagliare i vari ambienti della superficie del pianeta: movimento di navi, aerei, autoveicoli; ma anche ritiro dei ghiacciai, inquinamento petrolifero dei mari, situazioni di potenziale rischio idrogeologico, con mappe sempre più dettagliate del territorio. Mentre i Sentinel-1 si occupano del monitoraggio radar continuo della superficie del pianeta, i Sentinel-2 con la loro orbita polare forniranno immagini di acque, suolo, vegetazione e zone costiere.  I satelliti Sentinel-3 permetteranno misurazioni di vari parametri, soprattutto delle acque. Sentinel-4 e 5 si occuperanno del continuo monitoraggio dell’atmosfera, delle variazioni di temperatura e dei cambiamenti climatici in atto.

Tutti questi satelliti saranno controllati a loro volta da alcuni centri europei, come il centro ESA di Darmstadt in Germania. Per l’Italia è in prima fila per questo compito e per la raccolta dei dati, il centro ASI-Telespazio di Matera, con la collaborazione dell’Università della Basilicata.  Filmato del lancio di Sentinel-1A con il vettore Soyuz.

Per saperne di più: ESA Copernicus. ESA Kids.

 

Una, dieci, tante lune

Io-Europa-Ganimede-Callisto-300x300       I pianeti di tipo terrestre del Sistema solare hanno molte differenze rispetto a quelli di tipo gioviano. Una di queste è il numero di satelliti che presentano. Quelli di tipo terrestre non ne hanno o ne hanno pochi: Mercurio e Venere sono privi di satelliti, la Terra ne ha uno e Marte ne ha due. Sulla nostra Luna ho già scritto: L’origine della Luna è un mistero; Neil Armstrong e il grande balzo; Le eclissi; Amata Luna; 40° anniversario dello sbarco sulla Luna.

Quali sono le altre principali lune del Sistema solare? Partendo da quelle più vicine a noi, abbiamo quelle di Marte: Deimos e Phobos (terrore e paura, i nomi dei due attendenti del dio della guerra greco). La loro orbita, come quella della nostra Luna, è inclinata di alcuni gradi rispetto all’eclittica del pianeta. Entrambi i satelliti furono scoperti da Asaph Hall (1829-1907) nel 1877 e assomigliano a grossi asteroidi (Deimos ha un diametro di 12 km, Phobos di soli 10 km), probabilmente “catturati” dall’attrazione gravitazionale di Marte.

Procedendo verso l’esterno del Sistema solare, si incontra la fascia degli asteroidi e poi il gigante Giove, primo dei pianeti “gassosi”. Questi ha molte lune, oltre 40, le più grandi delle quali: Io, Europa, Ganimede e Callisto sono dette lune galileiane. Galileo quando le scoprì col suo “cannone occhiale” le chiamò “pianeti medicei” in omaggio al suo mecenate. I primi due hanno un diametro medio di circa 3.500 km mentre Ganimede e Callisto arrivano a circa 5.000 km. In particolare Ganimede è la luna più grande del Sistema solare: 5260 km. Tra le altre lune di maggiori dimensioni ricordo Amaltea, Himalia, Tebe, Adrastea, Elara, Pasifae, Metis, Sinope, Carme.

Titano_satellite-297x300     Andando oltre si arriva allo spettacolare “signore degli anelli”, Saturno, intorno al quale sono stati individuati almeno 30 satelliti. Quello di maggiori dimensioni è Titano: 5.120 km di diametro medio. Titano possiede un’atmosfera abbastanza densa. Le maggiori informazioni sulle lune e sui pianeti gioviani e le loro immagini ci sono state fornite dalla sonda Cassini e soprattutto dalle sonde Voyager ormai arrivate fuori dal Sistema solare. Gli altri principali satelliti di Saturno sono: Rea, Giapeto, Dione,Teti, Encelado, Mimas, Iperione, Febe,Giano.

Con Urano la distanza dal Sole raddoppia rispetto a quella di Saturno, perciò gli ultimi due pianeti vengono anche definiti “di ghiaccio”. Venne scoperto da Friedrich Wilhelm Herschel (1738-1822) nel 1781. Oltre alle basse temperature, mediamente inferiori a –200 °C, a causa della scarsissima irradiazione solare, Urano è caratterizzato dall’avere l’asse di rotazione praticamente orizzontale rispetto al piano della sua orbita. Anche lui, come gli altri tre pianeti gioviani è provvisto di anelli e possiede almeno una ventina di lune, la maggior parte delle quali sono state scoperte solo a partire dal 1986 con la sonda Voyager 2. Le più grandi, Titania e Oberon, furono individuate dallo stesso Herschel nel 1787. Altre due, Ariel e Umbriel, furono scoperte quasi un secolo dopo. L’altra grande luna, Miranda venne scoperta nel 1948. Una particolarità riguarda i nomi delle lune di Urano: derivano non dalla mitologia classica ma da nomi dei personaggi delle opere di Shakespeare.

Dell’ultimo pianeta, Nettuno, si conoscono circa 8 lune, le più grandi di esse sono Tritone, Nereide e Proteo. Tritone ha un diametro di circa 2.700 km e tra le altre sue particolarità c’è quella di essere il corpo celeste più freddo del Sistema solare: -235 °C.

Nelle immagini: Io, Europa, Ganimede e Callisto. Referenze: www.allposters.com . Titano; referenze: http://nssdc.gsfc.nasa.gov .

 

VEGA, vettore spaziale italiano

     Lo spazio prossimale alla Terra è sempre più carico di satelliti e spazzatura. Tanto che l’orbita dei rifiuti spaziali di maggiori dimensioni è tenuta sotto controllo dalle varie Agenzie Spaziali. Sono diversi i Paesi che lanciano strumenti tecnologici in orbita. In totale nei 50 anni di esplorazioni spaziali sono stati lanciati circa 6000 satelliti artificiali, tutti figli dello Sputnik. Di questi, circa 800 (il 13%) sono tuttora operativi, il resto è spazzatura da tenere sotto controllo per evitare collisioni con materiali del costo di decine o centinaia di milioni di euro. I satelliti non più operativi, per non intralciare gli altri, dovrebbero essere spinti su orbite inutilizzate o fatti precipitare sull’oceano Pacifico. Almeno è quello che è stato stabilito dal Comitato dell’ONU per l’uso pacifico dello spazio. Molti di quelli funzionanti sono satelliti militari, ma tanti altri sono per usi civili: per le telecomuncazioni, le attività economiche, per il meteo, per i rilevamenti ambientali, geologici, minerari ecc.

     Ultimamente ai vettori che lanciano satelliti se n’è aggiunto uno dell’ESA (Agenzia Spaziale Europea) costruito quasi interamente in Italia: VEGA. Ha un diametro di soli 3 metri ed è alto 30 metri, con una massa di 137 tonnellate. È in grado di portare in orbita satelliti di medie o piccole dimensioni, al massimo di 1,5 tonnellate. Un’utilitaria dello spazio costata circa 500 milioni di euro ma considerata un buon investimento, in grado di portare guadagni e nuova ricerca. Per il 65% si tratta di investimenti italiani, della società Avio Spa con sede a Rivalta Torinese, tramite la Elv (European Launch Vehicle) una società di costruzioni aerospaziali di Colleferro (RM).

Oggi 13 febbraio 2012, VEGA è partito per il suo volo di qualifica portando in orbita due satelliti più altri sette microsatelliti e collocandoli perfettamente nella posizione prestabilita. Un grande successo per la ricerca e l’industria aerospaziale italiana. Il programma e vettore VEGA è stato fatto proprio dall’Agenzia Spaziale Europea e il lancio è avvenuto poche ore fa dalla Guyana Francese. Per vincere la forza di gravità, il vettore ha una spinta propulsiva costituita da 3 stadi a combustibile solido e da un quarto stadio a combustibile liquido che si attiva per rilasciare il carico nelle orbite previste. VEGA garantisce alle industrie europee il lancio di piccoli satelliti ad un costo più basso e in tempi indipendenti rispetto ai grandi lanciatori statunitensi e russi.

Ma quali sono le principali zone di orbite utilizzate dai satelliti? C’è un’orbita bassa, fino a 2000 km che ospita la metà dei satelliti funzionanti, compresi tutti quelli per le osservazioni scientifiche e militari e la Stazione Spaziale Internazionale. È la zona più affollata in cui ci sono i maggiori rischi di collisioni. Una zona di orbite intermedie, tra i 20.000 e i 25.000 km, comprende satelliti per i sistemi di navigazione come il GPS. La zona di orbite più esterne è quella geostazionaria, a 36.000 km, in cui il periodo di rivoluzione dei satelliti coincide con quello di rotazione della Terra. Un satellite che si trova su quest’orbita, si mantiene sempre sulla stessa regione del nostro Pianeta. È occupata prevalentemente da satelliti per la meteorologia e le telecomunicazioni.

Il video (da non perdere!) del lancio di VEGA, con la voce e il commento di Silvia Rosa Brusin e diverse animazioni:

http://youtu.be/zC6hPk4cd1I 

Per ulteriori approfondimenti:

http://www.asi.it/it/agenzia/societa_partecipate/elv

http://it.wikipedia.org/wiki/Avio_(azienda)

http://it.wikipedia.org/wiki/Vega_(lanciatore)

http://it.wikipedia.org/wiki/Orbita_geostazionaria

www.asi.it/it/attivita/trasporto_spaziale/vega 

Nell’immagine (dell’Agenzia Spaziale Italiana) il lanciatore VEGA.

 

Intervista all’astronauta Paolo Nespoli sulla Stazione Spaziale Internazionale

ISSLa Stazione Spaziale Internazionale viaggia a circa 7,7 km al secondo (27.000 km/h) ad un’altezza di circa 380 km (può variare di qualche decina di km a seconda delle condizioni) rispetto alla superficie terrestre. Si tratta della terza conferenza-intervista, è del 26/01/2011, da quando è arrivato sulla Stazione. Il collegamento è caratterizzato da un piccolo ritardo tra domande e risposte perché il segnale che collega il centro di controllo della Terra con la IIS passa attraverso 3 o 4 satelliti geostazionari prima di arrivare a destinazione.

La ISS è un avamposto umano nello spazio dove si alternano astronauti di diversi Paesi. Nella composizione attuale (sette moduli pressurizzati, due moduli russi Zarja e Zvezda, tre moduli USA Destiny, Unity Module e Harmony, il modulo europeo Columbus e la sezione giapponese Jem.), può ospitare fino a sei persone contemporaneamente. La durata di un’orbita intorno al nostro pianeta è di circa un’ora e mezza. L’energia necessaria per la vivibilità degli ambienti e il funzionamento delle attrezzature, dei laboratori e dei sistemi di controllo proviene dal Sole. I pannelli della Stazione convertono energia solare in energia elettrica.

Uno degli obiettivi fondamentali della ISS è quello di realizzare esperimenti in condizioni (situazione di microgravità) difficilmente riproducibili sulla Terra. I settori interessati a queste ricerche sono molti: medicina, biologia, fisica, scienza dei materiali, astronomia, meteorologia, ecc.

Siamo solo a 400 km dalla Terra e per l’uomo è un impegno molto gravoso. Impegno fisico che pochi possono permettersi, impegno economico e tecnologico. Questo ci fa capire quanto sia difficile andare su qualche altro pianeta. Il primo comunque, non si sa quando, sarà sicuramente il più vicino e abbordabile: Marte. Andare oltre invece, allo stato attuale delle tecnologie, non sarà possibile se non tra molte generazioni.

Intanto a marzo 2011 verrà lanciato il satellite Edusat, finanziato dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e con contributi scientifici e di idee dell’università “La Sapienza” di Roma e sei Istituti superiori. Continua così la tradizione spaziale italiana iniziata negli anni ’60 del secolo scorso con il Progetto “San Marco”, ideato e fortemente voluto e diretto dal prof. Luigi Broglio (1911-2001). Il “San Marco 1” venne lanciato nel 1964 da una base statunitense con un vettore americano e fece dell’Italia il terzo Paese al mondo a lanciare un satellite, dopo URSS e USA.  Per il video-intervista:

http://www.youtube.com/watch?v=AnmICg4dQyc&feature=player_embedded

Vuoi sapere dove si trova attualmente la ISS o altri satelliti? Sapere con esattezza le tue coordinate (latitudine, longitudine) geografiche, indirizzo IP del tuo collegamento alla Rete?  Vai su:  http://www.n2yo.com 

Spazzatura spaziale e collisioni in orbita


Ad oltre 200 km di altezza, sulle nostre teste gira in orbita un’enorme quantità di spazzatura spaziale. Il limite è di 200 km perché al di sotto, la densità dell’atmosfera ridurrebbe di molto la vita dei satelliti. Invece il limite superiore è di circa 2000 km, oltre il quale l’assenza delle fasce di Van Allen esporrebbe i satelliti a radiazioni che pregiudicherebbero il funzionamento degli strumenti. Il problema naturalmente è iniziato con l’era spaziale, alla fine degli anni ’50 del secolo scorso, con il lancio del primo satellite artificiale: lo Sputnik (1957). I detriti (pezzi di satelliti, sonde, pannelli solari, …) di centinaia di satelliti si sono accumulati con il passare degli anni. Tra la spazzatura si trovano non solo i satelliti ma anche i vari stadi dei razzi utilizzati per metterli in orbita. Quando i satelliti diventano inutilizzabili e incontrollabili capita che si scontrino e si sparpaglino in migliaia di frammenti. Quando non ci sono collisioni fra satelliti comunque alla rottamazione ci pensano i detriti già in orbita o le meteore. Il numero di frammenti cresce continuamente, continuano a scontrarsi, diventano sempre più piccoli e più numerosi. Restano sempre lì in orbita mettendo a rischio sia la sicurezza degli altri satelliti, sia quella degli astronauti e in parte, per i detriti di maggiori dimensioni, anche la nostra che abbiamo i piedi per terra. Finora sono stati censiti 1800 frammenti di spazzatura spaziale più grandi. Ad essi bisogna aggiungere almeno 500 detriti prodotti dall’ultimo scontro. Infatti per la prima volta un satellite funzionante, uno dei 66 dei satelliti Iridium,  statunitense, si è scontrato con un satellite in disuso dell’ex Unione Sovietica. L’impatto è avvenuto sul cielo della Siberia agli inizi del 2009, a circa 790 km di altezza. I primi a rischiare naturalmente sono gli astronauti della Stazione Spaziale Internazionale. Ogni volta che c’è il rischio di impatto, nei centri di calcolo e comando a Terra, si fanno calcoli e si prevedono orbite per  verificare se è necessario accendere i razzi della Stazione e modificare l’orbita quel tanto che basta per evitare i frammenti-spazzatura. Manovre di questo tipo, secondo notizie di stampa, sono state già fatte 8 volte. Sono a rischio d’impatto anche molti degli altri 900 satelliti attivi in orbito intorno alla Terra.

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