UN GRANDE PUZZLE MOBILE

Dante Iagrossi. Secondo A. L. Wegener, più di duecento milioni d’anni fa, i continenti attuali erano raggruppati in un unico blocco, la Pangea, circondato da un solo oceano, la Pantalassa. La sua ipotesi, la deriva dei continenti, sviluppata dal 1912 al 1929, era suffragata da varie osservazioni: in primo luogo, la singolare forma della parte orientale del Sud America che si “incastra” bene con la costa occidentale africana, (e lo stesso si può dire di Antartide ed India rispetto all’Africa orientale, o dell’Eurasia rispetto al Nord America). Inoltre anche il ritrovamento di fossili di stessi animali e vegetali e rocce uguali ai due lati dell’Oceano Atlantico faceva pensare che una volta fossero unite. Poi, circa 180 milioni di anni fa, la Pangea potrebbe essersi divisa in due super continenti: Laurasia e Gondwana, separati da un oceano. In seguito, ci furono ulteriori frammentazioni, fino alla situazione attuale. Più tardi, nel 1960, Harry Hess intuì che l’espansione dei fondi oceanici giustificava il meccanismo della deriva dei continenti. In altre parole, non si spostano solo i continenti ma le intere zolle di cui essi fanno parte. Invece Wegener non era riuscito a fornire motivi convincenti dello spostamento, che attribuiva erroneamente in parte alla forza centrifuga del moto rotatorio terrestre, che faceva allontanare le masse dai poli verso l’equatore ed anche all’attrito prodotto dalle maree terrestri che, rallentando la rotazione, sollevano la costa dal substrato.

La crosta, strato superficiale della crosta terrestre, si presenta ora formata da una ventina di placche, che continuano a muoversi, anche se in modo assai lento e, intanto, si formano montagne, fosse, si generano eruzioni vulcaniche e frequenti terremoti. Le placche non sono ferme, ma in moto continuo, anche se non percepibile direttamente, come zattere sul mare, poggiando sull’astenosfera sottoposta ai moti convettivi causati dal calore emanato dal nucleo.

Ci sono tre principali modalità di movimento:

a) Divergenza (allontanamento), per la fuoriuscita di magma dall’astenosfera, che genera espansione dei fondali oceanici (ad una velocità da 1 a 20 cm circa all’anno) o la formazione di fosse tettoniche, come quella tra zolla africana ed arabica.

b) Convergenza (avvicinamento), che può causare montagne per placche continentali (Himalaya, Alpi, Appennini, Balcani e Pirenei), o archi insulari vulcanici, per lo sprofondamento di zolle oceaniche, una sotto l’altra, col magma risalente. Se si tratta dello scontro tra placca oceanica e continentale, per lo sprofondamento della prima, si formano fosse e catene montuose.

c) Movimento trascorrente (scorrimento), con formazione di terremoti anche di alta intensità (faglia di Sant’Andrea in California).

Ma quale sarà il futuro dei continenti? Mantenendo lo stesso verso e la stessa velocità di spostamento attuale, i continenti si dovrebbero riavvicinare nel corso di circa 300 milioni di anni, con la fusione dell’America del Nord e del Sud, la loro migrazione verso settentrione, causando un urto con l’Europa e l’Asia, nella zona del Polo Nord. Per quanto riguarda l’Australia, anch’essa in tempi geologici continuerà nel suo movimento verso il Nord, assieme all’India. In questo modo, si dovrebbe formare un nuovo super continente, soprannominato “Amasia”. Allora sarà possibile in pochi minuti passare dall’Italia alla Croazia o alla Tunisia, senza dover attraversare il Mar Adriatico o il Canale di Sicilia… e tutt’intorno un gigantesco oceano! Dante Iagrossi. (foto: “Il Messaggero”).

Turchia: tra terremoti e faglie

anatolica01-281x300     Il recente, devastante terremoto nella regione orientale della Turchia, nella zona del lago di Van verso il confine con l’Iran, insieme ai numerosi altri sismi che si verificano sulla Terra ogni anno, ci ricorda che il nostro pianeta è attivo e ben lontano dalla stabilità. Le zone geografiche stabili dal punto di vista sismico e vulcanico sono ben poche. In Italia, ad esempio, si limitano alla Pianura Padana, al Salento e alla Sardegna. Le notizie d’agenzia riferiscono che i morti, a causa del terremoto di ieri, in Turchia sono alcune centinaia. Purtroppo è probabile che il numero dei decessi aumenti fino a qualche migliaia.

Dal punto di vista didattico questo sisma ci consente di ricordare due principali deformazione delle rocce: le pieghe e le faglie.

Le pieghe sono deformazioni plastiche che si manifestano soprattutto dove le rocce presentano una struttura stratificata, ad esempio nelle rocce sedimentarie. Non approfondiamo il discorso sulle pieghe perché non sono in relazione diretta con i terremoti.

Le faglie invece sono vere e proprie fratture della crosta. Sono deformazioni rigide delle rocce che si formano quando le forze tettoniche in gioco superano il limite di elasticità delle rocce stesse. Quando si forma una faglia, lungo la frattura ci sono scorrimenti e movimenti dei due blocchi ai lati della frattura. Le faglie possono essere raggruppate in tre grandi tipologie: faglie normali o dirette quando sono causate da forze distensive che generano un piano di faglia inclinato con l’abbassamento di un blocco rispetto a quello del lato opposto della faglia. Quando le forze che agiscono sulle rocce sono compressive, si può formare un piano di faglia, sempre inclinato, he tende però a spostare un blocco roccioso verso l’alto fino a sormontare parzialmente l’altro opposto: sono le faglie inverse. Un terzo tipo di faglie invece è caratterizzato da un piano di faglia pressoché verticale rispetto alla superficie terrestre, quindi l’inclinazione è di circa 90°. Si tratta delle faglie trascorrenti, nelle quali i due blocchi rocciosi scorrono lateralmente l’uno rispetto all’altro. La faglia nord-Anatolica, corresponsabile di questo e di numerosi altri gravi sismi della Turchia è proprio di tipo trascorrente.  Ma la faglia trascorrente più famosa del nostro pianeta è senz’altro quella di San Andreas in California, ben visibile per lunghi tratti sulla superficie. Le faglie generate dalle forze tettoniche in genere non sono isolate ma riunite in sistemi di faglie, con numerose altre faglie minori ed è quello che accade sia in Turchia che in California. Naturalmente le faglie non rimangono attive per sempre, in tempi geologici, ma rispetto ai tempi umani è come se fossero permanenti. Sappiamo però che esistono anche migliaia di faglie inattive. Il numero più elevato di sistemi di faglie si riscontra  sui fondali oceanici, lungo e lateralmente alle grandi dorsali oceaniche. Lungo queste dorsali, le faglie determinano una serie di fosse delimitate da pareti quasi verticali con blocchi delimitati da varie fagli e disposti quasi “a gradinata”. Ritornando alla faglia trascorrente nord-Anatolica, la sua formazione risale a circa 15 milioni di anni fa, al Miocene, ed è lunga oltre 1000 km. Separa la placca euroasiatica dalla più “piccola” placca anatolica ed è disposta in modo quasi parallelo alle coste  del Mar Nero. Verso est, la nord-Anatolica si congiunge con un’altra grande faglia trascorrente: la Est-Anatolica (probabilmente anch’essa, se non la principale responsabile di questo sisma) che, a sua volta si congiunge verso sud con la faglia trascorrente del Mar Morto, in Palestina. In tal modo la placca anatolica è collegata a quella araba. I terremoti e le deformazioni che interessano la Turchia, sono generati in gran parte da queste due grandi faglie, a nord e ad est, con i loro sistemi secondari.

L’immagine è stata tratta da http://ppecile.blogspot.com/2010/03/la-turchia-si-trova-in-mezzo-allo.html e poi ridimensionata.

Nazca – Sudamerica: uno scontro titanico

nazca-sudamerica     La prima è una placca interamente oceanica che è ricoperta dalla parte sud orientale dell’oceano Pacifico. La seconda è una placca di maggiori dimensioni per metà circa continentale e per l’altra metà oceanica, infatti occupa tutto il Sudamerica e una parte dell’oceano Atlantico fino alla dorsale medio-atlantica. Il margine tra queste due placche è distruttivo o convergente o di compressione perché la placca di Nazca, più densa è in subduzione (inabissamento) lenta ma inesorabile sotto quella Sudamericana. Proprio questi scontri e la conseguente subduzione, che avviene con un piano di immersione (piano di Benioff) che forma un angolo di circa 45° con quello della superficie, sono i responsabili della formazione della Cordigliera delle Ande e dei frequenti terremoti e numerosi vulcani presenti in quell’area geografica. La teoria della tettonica delle placche fu formulata negli anni 60 del 1900, per merito di vari studiosi (ad esempio Harry Hammond Hess (1906-1969) con la sua teoria dell’accrescimento dei fondali oceanici) che ripresero e completarono la teoria della deriva dei continenti proposta nel 1915 da Alfred Wegener (1880-1930).

Il devastante terremoto, magnitudo 8,8 della scala Richter,  che ha colpito la costa cilena nei giorni scorsi rientra in questo fenomeno che perdura con “normalità” da milioni di anni. Si tratta del settimo più forte scuotimento nella storia sismica del pianeta. I danni e i lutti causati dal terremoto sono stati aggravati dallo tsunami che è stato prodotto dalla scossa principale nel Pacifico e che si è abbattuto sulla costa senza che la popolazione venisse adeguatamente informata e messa in allarme, per colpa, sembra, della Marina cilena. L’ipocentro, per fortuna della popolazione, è stato nell’oceano Pacifico a 35 km di profondità e a circa 113 km dalla costa e questo ha in parte attenuato i danni (se così si può dire) nelle zone abitate. Le scosse secondarie continuano tuttora, a centinaia e continueranno per mesi. Per quanto riguarda l’energia sprigionata, si parla di un valore 15.000 o 20.000 volte maggiore di quella che si è avuta con il terremoto dell’Aquila perché ad ogni aumento di 1 grado di magnitudo corrisponde un aumento di energia di circa 32 volte. Del resto Nazca e Sudamerica si avvicinano ad una velocità di circa 7 cm l’anno, in grado di accumulare una notevole quantità di energia in poco tempo. Per il nostro pianeta questa è la zona dei record, già nel 1960 c’è stato il più forte terremoto mai registrato: 9,5 della scala Richter. Anche il sisma che ha colpito Haiti circa un mese fa con centinaia di migliaia di morti rientra in questi sconvolgimenti tettonici ma non ha alcun collegamento diretto con quello del Cile. Oltre alla scala Richter, per i terremoti si utilizza anche la scala Mercalli, cosa le differenzia?

La scala Richter misura la magnitudo, con valori che vanno da zero a poco più di 9 anche se non esiste un limite superiore, che è direttamente proporzionale all’energia liberata dal sisma. Si tratta di un scala logaritmica, in simboli M = log10 (A/A0). M indica la magnitudo, A0 è un’ampiezza standard, A è l’ampiezza massima delle onde sismiche registrate.

La scala Mercalli, Cancani, Sieberg invece misura l’intensità di un terremoto, è una scala empirica e descrittiva. Comprende 12 gradi e ad ognuno di essi corrisponde una descrizione delle conseguenze del sisma sulle persone e sulle cose. Il valore dell’intensità si ricava solo a posteriori, osservando e valutando gli effetti che il terremoto ha prodotto.