Nature e i 10 protagonisti della Scienza del 2020

Anche quest’anno la prestigiosa rivista “Nature” ha pubblicato una lista dei dieci personaggi della Scienza che, secondo il giudizio della sua redazione, hanno caratterizzato questo disastroso 2020 che si è concluso, anche se viene precisato che le imprese scientifiche sono sempre il risultato di lavori di gruppo.

L’anno è stato funestato a livello mondiale dalla pandemia del covid-19 e, di conseguenza, anche i personaggi più in vista nel settore scientifico sono quelli che si sono occupati di contrastare e arginare questo grave problema non ancora risolto.

Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore della World Health Organization (Who, Organizzazione Mondiale della Sanità). Nonostante le critiche, a volte feroci, che gli sono state rivolte dal presidente Trump e da daltri personaggi, secondo la rivista si è trovato a gestire la più grave crisi sanitaria mondiale degli ultimi cento anni e lo ha fatto insistendo sulla prevenzione della diffusione per tutti i Paesi e sulla necessità di prevedere farmaci e vaccini anche per gli Stati più poveri.

Verena Mohaupt, coordinatrice del Multidisciplinar drifting Observatory for the Study of Arctic Climate (Mosaic), dal 2019 studia sul campo gli effetti del cambiamento climatico sull’ecosistema polare. Siamo in un settore scientifico completamente diverso ma caratterizzato da mutamenti che potrebbero influire sul Pianeta e sulla popolazione mondiale per secoli, se non si interviene per contrastare le cause dei cambiamenti climatici. Ha lavorato per mesi insieme ai pochi colleghi tra i ghiacci del mar glaciale artico, in condizioni di difficoltà estreme, raccogliendo dati che confermano le gravi conseguenze del surriscaldamento globale.

– Gonzalo Moratorio, virologo uruguayano dell’Università di Montevideo. Ha progettato un test per l’individuazione del coronavirus covid-19 e ha predisposto un programma per tracciare la diffusione della pandemia in Uruguay e isolare i positivi. Con risultati eccellenti: solo 87 morti, su una popolazione di circa 3 milioni e mezzo di abitanti. In Italia siamo a circa 68.000 morti su una popolazione di 60 milioni.

– Adi Utarini, esperta di sanità pubblica dell’università di Gadjah Mada University, in Indonesia. Si è occupata della lotta alla malattia dengue che nel mondo ogni anno colpisce circa 400 milioni di persone con 25 mila morti. Ha messo in atto sperimentazioni e strategie in grado di sconfiggere la malattia, motivando e coinvolgendo la popolazione che ha accettato la sperimentazione.

– Kathrin Jansen, direttrice del dipartimento vaccini di Pfizer. È la responsabile, l’ideatrice, insieme al suo gruppo, del primo vaccino a Rna della storia e del primo vaccino contro il Covid approvato dagli enti di controllo statunitensi, britannici ed europei. Sicuramente a breve ne saranno approvati altri, che non hanno bisogno di essere conservati a -70 °C. Ma il vaccino della Pfizer è innovativo sotto tutti i punti di vista e, oltre a combattere il covid-10, può aprire strade per vaccini contro altre patologie. Senza considerare i tempi di preparazione, sperimentazione e produzione, molto più brevi rispetto agli altri vaccini del passato. La Pfizer inoltre, ha prodotto alcuni anni fa anche il vaccino antipneumococcio più venduto al mondo.

– Zhang Yongzhen, il virologo cinese che per primo ha individuato la sequenza del genoma del virus covid-19 e l’ha pubblicata l’11 gennaio 2020. Nonostante il divieto del governo cinese di pubblicare informazioni su quella nuova epidemia. I suoi lavori e le successive strategie di individuazione dei positivi e del loro isolamento hanno contribuito ad arginare la diffusione della pandemia in una Stato di circa 1,5 miliardi di persone.

– Chanda Prescod-Weinstein, è una ricercatrice che si occupa di astrofisica, in particolare è impegnata (sempre insieme al suo gruppo di ricerca) nella comprensione della struttura della materia oscura dell’Universo. Ha anche dato il via ad una diffusa campagna online per chiedere alle Istituzioni dei Vari Paesi di affrontare il problema del razzismo nella Scienza e nella Società.

– Li Lanjuan, l’epidemiologa cinese che ha consigliato al governo di chiudere del tutto la città di Wuhan (11 milioni di abitanti), il primo grande focolaio dell’epidemia da covid-19. Chiusura durata 76 giorni che è stata estesa a tutta la provincia (100 milioni di abitanti). Una mossa vincente che ha consentito di controllare e bloccare la diffusione del virus, anche se è stato necessario militarizzare le città. Ricordiamo poi che in quella provincia sono stati in grado di costruire ospedali attrezzati per migliaia di malati in 10 giorni! La studiosa è diventata uno dei simboli nazionali della lotta alla pandemia.

– Jacinda Ardern, primo ministro neozelandese. Favorita anche dall’isolamento geografico della Nuova Zelanda e dalla scarsa densità di popolazione, la Ardern annunciò, motivò brillantemente e propose rigorose misure di isolamento per i cittadini e soprattutto per tutti coloro che arrivavano dall’estero. Una strategia risultata vincente nel contrasto alla diffusione del covid-19: solo 25 morti per covid, su circa 5 milioni di abitanti.

– Anthony Fauci, una celebrità anche in Italia. Capo del National Institute of Allergy and Infectious Disease (Naid) degli Stati Uniti, ha fornito la sua consulenza a sei Presidenti del più potente Paese del mondo. Per l’opinione pubblica statunitense e mondiale è lo specialista del contrasto ai virus e ai microrganismi in generale. Ma soprattutto colui che comunica al pubblico la situazione pandemica degli Stati Uniti e del mondo senza nasconderla, colui che ha contrastato le incaute e sciocche dichiarazioni del suo Presidente Trump, sull’inesistenza del virus prima, e poi sull’inefficacia delle mascherine e sulla lotta a base di disinfettanti vari da iniettare per via endovenosa! Un baluardo della Democrazia e della Scienza contro il negazionismo più pericoloso (perché portato avanti da un potente capo di Stato), preso ad esempio anche da alcuni altri governanti oltre che da una parte della popolazione statunitense e del resto del mondo. Crediti: Nature; Wired; wikipedia (immagini).

Nobel per la Medicina 2020 agli scopritori del virus dell’epatite C

Il Premio Nobel per la Medicina e la Fisiologia 2020 è stato assegnato oggi, congiuntamente a tre studiosi, ai virologi americani Harvey J. Alter  e Charles M. Rice e al britannico Michael Houghton “per la scoperta del virus dell’Epatite C”. Nelle motivazioni si legge che questo virus costituisce “un problema mondiale enorme che causa cirrosi e cancro al fegato”. Inoltre “Grazie alla loro scoperta, sono ora disponibili esami del sangue altamente sensibili per il virus e questi hanno essenzialmente eliminato l’epatite post-trasfusione in molte parti del mondo, migliorando notevolmente la salute globale. La loro scoperta ha anche permesso il rapido sviluppo di farmaci antivirali diretti contro l’epatite C”. L’annuncio è stato dato dal Karolinska Institutet di Stoccolma in Svezia, in diretta via Internet e social network.

Harvey J. Alter, con le sue ricerche sull’epatite C, associata alle trasfusioni di sangue, fin dal 1989 dimostrò che la causa comune dell’epatite cronica era un virus diverso da quelli dell’epatite A e B.

Charles M.Rice fornì le prove definitive dell’esistenza di questo virus e dalla sua azione che, anche da solo, provocava l’epatite C.

Michael Houghton utilizzò una nuova strategia per isolare quel virus e il suo genoma e lo battezzò virus dell’epatite C.

Si stima che questo virus nel mondo colpisca almeno 70 milioni di persone ed è stato la causa milioni di morti.

Questo riconoscimento assume un significato particolare proprio in questo periodo di pandemia causata dal virus Sars Cov 2.

I tre studiosi riceveranno una medaglia d’oro e un premio in denaro di 10 milioni di corone svedesi (circa 950 mila euro), oltre ad una notorietà che li accompagnerà per tutta la loro vita.

Crediti: Karolinska Institutet di Stoccolma: https://ki.se/en

Lettera aperta di 100.000 medici italiani

Medici-terapia-intensiva     Una settimana fa, 100.000 medici italiani hanno inviato una lettera aperta al Ministro della Salute Roberto Speranza. Una lettera di allarme e richiesta di supporto, di indicazioni sanitarie e di appelli. Ad oggi sono circa 150 i medici morti a causa del covid-19, senza considerare gli altri operatori sanitari. 

«Siamo un gruppo di circa 100.000 medici, di tutte le specialità e di tutti i servizi territoriali e ospedalieri sparsi per tutta Italia, nato in occasione di questa epidemia, che da quasi 2 mesi ormai, sta scambiando informazioni sull’insorgenza della malattia causata dal Coronavirus, sul come contenerla, sul come fare, a chi rivolgersi, come orientare la terapia, come e quando trattarla. Siamo pressoché giunti alle stesse conclusioni: i pazienti vanno trattati il più presto possibile sul territorio, prima che si instauri la malattia vera e propria, ossia la polmonite interstiziale bilaterale, che quasi sempre porta il paziente in Rianimazione.

Dagli scambi intercorsi e dalla letteratura mondiale, si è arrivati a capire probabilmente la patogenesi di questa polmonite, con una cascata infiammatoria scatenata dal virus attraverso l’iperstimolazione di citochine, che diventano tossiche per l’organismo e che aggrediscono tutti i tessuti anche vascolari, provocando fenomeni trombotici e vasculite dei diversi distretti corporei, che a loro volta sono responsabili del quadro variegato di sintomi descritti. I vari appelli finora promossi da vari Organismi e Organizzazioni sindacali, che noi abbiamo condiviso appieno, sono stati rivolti a chiedere i tamponi per il personale sanitario, a chiedere i dispositivi di sicurezza per tutti gli operatori, che spesso hanno sacrificato la loro vita, pur di dare una risposta ai pazienti, non si sono tirati indietro, nessuno. Proprio per non vanificare l’abnegazione di medici e personale sanitario, oltre ai dispositivi di Protezione e ai tamponi, chiediamo di rafforzare il Territorio, vero punto debole del Servizio Sanitario Nazionale, con la possibilità per squadre speciali, nel decreto ministeriale del 10 Marzo, definite Usca, unità speciale di continuità assistenziale.

Le unità dovrebbero essere attivate immediatamente in tutte le Regioni, in maniera omogenea, senza eccessiva burocrazia, avvalendosi dell’esperienza di noi tutti nel trattare precocemente i pazienti, anche con terapie off label, alcune delle quali peraltro già autorizzate dall’ Aifa. Siamo giunti alla conclusione che il trattamento precoce può fermare il decorso dell’infezione verso la malattia conclamata e quindi arginare, fino a sconfiggere l’epidemia. Il riconoscimento dei primi sintomi , anche con tamponi negativi (come abbiamo avuto modo di constatare nel 30% dei casi) è di pura pertinenza clinica, e pertanto chiediamo di mettere a frutto le nostre esperienze cliniche, senza ostacoli burocratici nel prescrivere farmaci, tamponi, Rx e/o TC, ecografia polmonare anche a domicilio, emogasanalisi, tutte cose che vanno a supportare la Clinica, ma che non la sostituiscono. Lo chiediamo, indipendentemente dagli schieramenti politici e da posizioni sindacali, lo chiediamo come medici che desiderano ed esigono di svolgere il proprio ruolo attivamente e al meglio, dando un contributo alla collettività nell’interesse di tutti. Lo chiediamo perché tutti gli sforzi fatti finora col distanziamento sociale, non vadano perduti, paventando una seconda ondata di ricoveri d’urgenza dei pazienti tenuti in sorveglianza attiva per 10-15 giorni, ma che non sono stati visitati e valutati clinicamente e che ancora sono in attesa di tamponi. La mappatura di questi pazienti, asintomatici o paucisintomatici, e di tutti i familiari dei casi conclamati è oltremodo indispensabile per non incorrere in un circolo vizioso, con ondate di ritorno dei contagi appena finirà il ” lock down”» 

Premio Nobel per la Medicina 2019

Nobel Medicina 2019     Qualche giorno fa, l’Accademia delle Scienze di Svezia ha assegnato il Premio Nobel 2019 per la Medicina e la Fisiologia. Sono stati premiati William Kaelin, Peter Ratcliffe e Gregg Semenza, per i loro studi sul metabolismo cellulare, in particolare “per la scoperta di come le cellule percepiscono e si adattano alla disponibilità di ossigeno”.
L’ossigeno, uno degli elementi fondamentali per la vita, è necessario ai mitocondri (organuli responsabili della produzione di energia nelle cellule) per la respirazione cellulare, ricordata più volte in questo blog e sintetizzata dalla generica reazione chimica C6H12O6 + 6O2 → 6CO2 + 6H2O + ENERGIA (ATP).
In base alla quantità di ossigeno a disposizione e alle necessità energetiche, le cellule regolano questo ed altri processi metabolici con la trasformazione dei nutrienti in energia immediatamente disponibile.
Già nel lontano 1938, Corneille Heymans ricevette il premio Nobel per la medicina per aver scoperto che nel collo, nelle arterie carotidi, esistono delle strutture specializzate (corpi caritodei) responsabili della rilevazione del livello di ossigeno presente nel sangue e inviato al cervello. In base alla quantità di ossigeno circolante, il cervello regola il ritmo della respirazione. Ad esempio, in presenza di un’intensa attività fisica che richiede il consumo di molto ossigeno, il ritmo respiratorio aumenta considerevolmente, come ben sappiamo.
Gli studiosi premiati quest’anno hanno permesso di capire come reagiscono le cellule in carenza di ossigeno (ipossia). In questo modo hanno determinato tratti di DNA che reagiscono ai livelli di ossigeno presenti nelle cellule e, in carenza di O2, attivano la produzione dell’ormone eritropoietina e un insieme di altre risposte cellulari.
In presenza di infezioni o tumori che bloccano l’affluenza di ossigeno ad una determinata parte di un tessuto, le cellule sono in grado di rispondere anche con l’angiogenesi, la formazione di nuovi vasi sanguigni per sopperire alla carenza di ossigeno dovuta all’ostruzione delle vie di trasporto.
Nel 1992, i premiati scoprirono un complesso di proteine denominato Hif, (hypoxia-inducible factor) che si attivano in carenza di ossigeno e intervengono nel metabolismo cellulare. Ma il processo è risultato molto complesso e comporta l’intervento di specifici geni nei processi metabolici, perciò gli studi premiati quest’anno sono anche la base per ulteriori ricerche, anche per lo sviluppo di nuovi farmaci antitumorali.
Vedi anche: Mitocondri, c’è ancora da scoprire; Organuli che forniscono energia alla cellula.

Il giuramento di Ippocrate

     Il recente episodio di cronaca nera che ha riguardato alcuni dipendenti dell’Ospedale di Saronno, un medico e un’infermiera, ma dalle indagini sembra che altri fossero a conoscenza di ciò che accadeva nel reparto di pronto soccorso durante alcuni turni di lavoro, mi induce a proporre ai lettori la versione moderna del giuramento di Ippocrate (460 – 377 a. C.). Si tratta di un giuramento che viene prestato dai medici-chirurghi e odontoiatri prima di iniziare la professione e si pensa risalga al IV secolo a. C. nell’antica Grecia.

     Un giuramento che, dalle intercettazioni pubblicate, sembra sia stato trasgredito molte volte in più parti, insieme alle leggi. I gravi episodi di cronaca riguardanti la sanità, che ormai si presentano tutti gli anni, stanno creando sconcerto nella popolazione adulta ma anche negli studenti delle scuole secondarie che solitamente non seguono assiduamente giornali, telegiornali e radiogiornali e che mi hanno chiesto di discuterne durante l’ora di Biologia.

     Ho chiarito che per adesso si parla solo di ipotesi di reato e che bisognerà attendere i vari gradi di giudizio (quanti anni?) per sapere in che misura e con quanti pazienti eventualmente è stata trasgredita la legge e, con essa, il giuramento di Ippocrate. Problemi simili, gravi negligenze o decisione consapevole di arrecare danno o morte ad altre persone, si riscontrano anche in altre categorie di lavoratori, perciò non è proprio il caso di colpevolizzare la categoria dei medici o quella degli infermieri. Però il fatto che altre persone fossero a conoscenza dei gravi episodi di malasanità e che hanno taciuto, o che l’indagine interna all’Ospedale attivata su segnalazione di altri dipendenti non ha riscontrato nulla di strano in questi decessi e nei farmaci somministrati, crea sconforto e sfiducia. Dobbiamo però essere anche fiduciosi: alcuni di quelli che hanno notato o avuto sospetti hanno segnalato gli episodi!

La versione moderna del Giuramento di Ippocrate è la seguente:

Consapevole dell’importanza e della solennità dell’atto che compio e dell’impegno che assumo, giuro:

– di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento;

– di perseguire come scopi esclusivi la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell’Uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale;

– di non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di un paziente;

– di attenermi nella mia attività ai principi etici della solidarietà umana, contro i quali, nel rispetto della vita e della persona, non utilizzerò mai le mie conoscenze;

– di prestare la mia opera con diligenza, perizia e prudenza secondo scienza e coscienza e osservando le norme deontologiche che regolano l’esercizio della medicina e quelle giuridiche che non risultino in contrasto con gli scopi della mia professione;

– di affidare la mia reputazione esclusivamente alla mia capacità professionale e alle mie doti morali;

– di evitare, anche al di fuori dell’esercizio professionale, ogni atto e comportamento che possano ledere il prestigio e la dignità della categoria;

– di rispettare i colleghi anche in caso di contrasto di opinioni;

– di curare tutti i miei pazienti con eguale scrupolo e impegno indipendentemente dai sentimenti che essi mi ispirano e prescindendo da ogni differenza di razza, religione, nazionalità, condizione sociale e ideologia politica;

– di prestare assistenza d’urgenza a qualsiasi infermo che ne abbisogni e di mettermi, in caso di pubblica calamità, a disposizione dell’Autorità competente;

– di rispettare e facilitare in ogni caso il diritto del malato alla libera scelta del suo medico, tenuto conto che il rapporto tra medico e paziente è fondato sulla fiducia e in ogni caso sul reciproco rispetto;

– di astenermi dall’ accanimento diagnostico e terapeutico;

– di osservare il segreto su tutto ciò che mi è confidato, che vedo o che ho veduto, inteso o intuito nell’esercizio della mia professione o in ragione del mio stato.”

Crediti immagine: Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri della provincia di Catania .

Video-dibattito su Ippocrate di RAI-Scuola, col mitico Luciano Onder.

 

Premio Nobel per la Medicina 2014

bussola-300x300     Il Nobel per la medicina di quest’anno ha premiato gli studi sulle cellule cerebrali responsabili dell’orientamento, in grado di farci comprendere dove ci troviamo in ogni momento e la direzione che dobbiamo seguire per una certa destinazione.

I premiati sono tre ricercatori:  John O’Keefe (1939) che ha ricevuto metà premio, e i coniugi May-Britt Moser (1963) ed Edvard Moser (1962) che hanno ricevuto l’altra metà. Il primo è uno statunitense che si è trasferito in Inghilterra, gli altri due sono norvegesi. Le loro scoperte si sono accumulate nel tempo, dall’inizio degli anni ’70 al 2005. Per le ricerche sull’orientamento sono state decisive le sperimentazioni sugli animali: le prime cellule cerebrali, che si attivano nelle situazioni di orientamento spaziale, furono osservate da John O’Keefe in un’area del cervello (l’ippocampo) di una cavia e si attivavano ogni qual volta essa cambiava direzione durante il suo percorso. Furono definite “cellule di posizionamento” perché si riteneva che consentissero alla cavia di crearsi una mappa mentale della posizione di spazio in cui si trovava.

ippocampo-300x224     I decenni successivi hanno permesso di approfondire la conoscenza di queste speciali cellule nervose, anche grazie allo sviluppo di sistemi di diagnostica per immagini (ad esempio la risonanza magnetica). In particolare i due coniugi scoprirono le cosiddette “cellule a griglia” in grado di creare le coordinate che ci fanno capire dove ci troviamo e qual è il percorso necessario (non necessariamente quello più breve) per andare in un determinato luogo.

Quest’insieme di cellule cerebrali permette all’intero cervello di imparare e memorizzare la posizione dei luoghi che di volta in volta frequentiamo e la loro disposizione, con le possibilità di movimento che offrono.

Il danneggiamento delle aree cerebrali interessate da questo tipo di cellule, a causa di un trauma o di malattie neurologiche come l’Alzheimer, determina l’incapacità di orientarsi e di capire dove la persona si trova.

Su “Le Scienze”, un articolo di O’Keefe del 2012 su “I segreti della memoria spaziale”, e uno di Moser dello stesso anno “I dieci sensi del cervello per sapere dove siamo”.

Credit immagini: hr.anu.edu.au  (bussola) e www.wikinoticia.com (ippocampo).

 

 

Fondazione Umberto Veronesi per il Progresso delle Scienze

glob_rossi-228x300      La fondazione ha celebrato il decimo anniversario lo scorso 20 marzo e ha attribuito oltre 100 borse di ricerca, anche negli scorsi anni dal 2003. La fondazione Umberto Veronesi ha lo “scopo di sostenere la ricerca scientifica, attraverso l’erogazione di borse di ricerca per medici e ricercatori e il sostegno a progetti di altissimo profilo. Ne sono promotori scienziati (tra i quali ben 11 premi Nobel che ne costituiscono il Comitato d’onore) il cui operato è riconosciuto a livello internazionale”.

In questo periodo dell’anno ciascuno può contribuire a questa o ad altre associazioni o istituti di ricerca scientifica col 5‰. Oppure può scegliere qualcuno degli altri enti di ricerca, comprese le università, che necessitano di un contributo.

Qui puoi consultare l’elenco dei vincitori dei progetti di ricerca 2013 della Fondazione Veronesi, area oncologica, cardiologica e delle neuroscienze, con i relativi istituti di appartenenza e i titoli dei progetti.

Per saperne di più: http://www.fondazioneveronesi.it/

Per consultare la guida alla prevenzione: http://www.fondazioneveronesi.it/guida-alla-prevenzione/

Nell’immagine, globuli rossi al microscopio elettronico.

Rita Levi Montalcini: una vita densa e lunga dedicata alla ricerca

     Se n’è andata ieri, all’età di 103 anni. Rita Levi Montalcini (Torino, 1909; Roma, 2012) era l’ultima di quel formidabile trio che negli anni ’30 del secolo scorso frequentò la Facoltà di Medicina e Chirurgia di Torino, denominata la “fabbrica dei Nobel”, dove dominava la personalità del professor Giuseppe Levi. Gli altri due sono stati: Salvador Edward Luria (Torino, 1912; Lexington, 1991), premio Nobel per la medicina e la fisiologia nel 1969 per i suoi studi sul meccanismo di replicazione e sulla struttura genetica di batteri e virus; Renato Dulbecco (Catanzaro, 1914; La Jolla, 2012), premio Nobel per la Medicina e la fisiologia nel 1975 per le sue scoperte di forme virali cancerogene, è stato anche uno dei promotori del progetto di ricerca sul genoma umano.

     Rita Levi Montalcini ottenne il suo premio Nobel per la Medicina e la fisiologia nel 1986, insieme a Stanley Cohen, per le ricerche sui meccanismi che regolano la crescita delle cellule, in particolare quelle nervose. Fondamentale fu la scoperta del “fattore NGF” o “fattore di accrescimento nervoso”, una sostanza proteica che stimola lo sviluppo delle cellule nervose indirizzandole verso le cellule bersaglio. Di Rita Levi ho già pubblicato un post con una sua lettera sul ruolo della scienza: “La Scienza non è un assoluto”, mentre di Renato Dulbecco ho trascritto un brano della sua autobiografia, di quando arriva a Torino per studiare e si presenta alle lezioni di Giuseppe Levi. Dalla stessa autobiografia, riporto un breve brano che descrive uno degli incontri con Rita Levi e il modo in cui entrambi si avvicinarono alla ricerca scientifica.

     “Ogni anno Levi (Giuseppe) accettava alcuni studenti del secondo corso come interni nell’Istituto di Anatomia, dove facevano ricerca. Era il sancta sanctorum. La possibilità di diventare interno mi attrasse immediatamente, perché le ricerche non erano di anatomia, ma di biologia, e sentivo dire che Levi era ben conosciuto come biologo e citologo, più che come anatomista. Così mi presentai candidato. Venni accettato perché ero stato tra i migliori del primo anno. Come interno entravo in un mondo nuovo, dove lo spirito della ricerca dominava ogni altra considerazione, agendo da legame tra pochi individui che si staccavano dalla massa e formavano un collegio, nel senso antico della parola. … Tra gli interni c’era Rita Levi, che era del mio stesso anno. Eravamo stati immatricolati insieme, così la conoscevo già, e dopo la nostra ammissione all’internato diventammo buoni amici. …”

     Nel 1992, Rita Levi-montalcini ha creato la “Fondazione Rita Levi-Montalcini Onlus” per favorire l’orientamento allo studio delle nuove generazioni.

Per saperne di più: http://it.wikipedia.org/wiki/Rita_Levi-Montalcini

http://www.ritalevimontalcini.org/

http://it.wikipedia.org/wiki/Renato_Dulbecco

http://it.wikipedia.org/wiki/Salvador_Luria

 

Renato Dulbecco, 98 anni, addio

Dulbecco000     Da oggi non c’è più. È stato un riferimento per tanti appassionati di scienza. Da quando è stato creato questo blog, una sua frase significativa sul fumo è stata riportata nella colonna di destra.  È stato anche un torinese: ha abitato e studiato all’Università di Torino ed è stato compagno di corso di Rita Levi Montalcini. Entrambi allievi di Giuseppe Levi. Il mio piccolo, modesto omaggio a questo Grande della scienza consiste nel riportare qualche brano della sua autobiografia riferito alla scelta della facoltà e all’arrivo a Torino.

“.. Finito il liceo nel 1930, dovetti prendere due importanti decisioni: a che facoltà iscrivermi e in quale università. Mio padre aveva studiato a Torino e così si decise che avrei fatto anch’io. Tutti i miei compagni andavano a Genova, e sarei rimasto solo, ma non mi dispiaceva, mi sembrava più avventuroso trovarmi in un ambiente del tutto sconosciuto. ..

Così andai a Torino a studiare medicina. Alloggiavo in un pensionato cattolico da cui potevo facilmente arrivare all’Università in tram. Era un casone grande a quattro piani, rettangolare come tutti gli edifici torinesi del tempo, con un grande cortile nel mezzo, ricoperto di ciottoli grigi. L’intonaco era giallastro e certamente erano anni che non veniva dipinto. Ogni piano aveva un lungo balcone col pavimento di pietra e la balaustra di ferro che girava tutt’intorno. Entrando dal portone avevo sempre un’impressione di freddo perché il Sole quasi non arrivava a illuminare il cortile.

Il terribile frastuono era interrotto dall’arrivo del professore, Giuseppe Levi, che batteva furiosamente l’estremità di una lunga canna sul pavimento di legno per ottenere silenzio.

Giuseppe Levi era la personalità dominante nella scuola di medicina. Visto dai banchi alti dell’aula dove io, come matricola, sedevo, sembrava un domatore di leoni più o meno addomesticati. Era alto, eretto, portava un lungo camice grigio che quasi gli arrivava alle scarpe, teneva i capelli grigio-rossiccio tagliati a spazzola, e gli occhi penetranti dietro le spesse lenti sfidavano tutti. Le sue lezioni erano le più frequentate della facoltà, non perché vi si imparasse molto. L’anatomia si imparava studiando sui libri o facendo le dissezioni sui freddi tavoli di marmo bianco o le esercitazioni di anatomia microscopica nel vasto laboratorio al pianterreno. ..”