ANFIBI IN PERICOLO

di Dante Iagrossi

Negli anni passati, a primavera si vedevano le acque limpide di fossati e piccoli stagni brulicare di girini guizzanti, spettacolo meraviglioso di vita, simbolo del risveglio della natura, oggi purtroppo divenuto più raro. Sono gli anfibi, soprattutto rane, rospi, salamandre e tritoni, animali a “doppia vita”, che prima appaiono soltanto in acqua, poi anche sulla terra, conservando però il legame con l’acqua, per la riproduzione e per evitare il disseccamento della pelle nuda.

Tra le varie specie strane, l’Axolots non segue le fasi ordinarie della metamorfosi (uovo, girino e adulto), ma rimane sempre allo stato larvale, pur potendosi riprodurre, e resta sempre in acqua, come il Proteo. Inoltre la Cecilia sembra un verme, senza zampe, che si sposta con movimenti ondulatori.

Le rane hanno escogitato diversi modi per la deposizione delle loro uova: in ruscelli, pozze d’acqua occasionali o piccole piscine circolari, sottoterra, in nidi fatti di bolle d’aria; addirittura, per avere un controllo immediato, alcune specie le custodiscono sul loro dorso, dentro sacche marsupiali, o tenendole strette come bende su zampe. Fino a poco tempo fa, un paio di specie (dette a “gestazione gastrica” conservavano le uova nello stomaco, espellendo poi i piccoli dalla bocca; oggi purtroppo risultano estinte, anche se si spera di trovarne ancora in certi posti isolati.

Purtroppo delle oltre 6500 specie note di anfibi, almeno un terzo rischia l’estinzione, anzi tra le classi di vertebrati quella degli anfibi è proprio la più in pericolo. Finora sono infatti circa 90 le specie già estinte, mentre 500 sono diminuite parecchio nell’ultimo cinquantennio. Le cause sono molteplici, dovute soprattutto ad azioni umane sconsiderate:

  1. immissione di specie estranee
  2. cambiamenti climatici: il surriscalmento globale provoca un generale aumento di aridità a fronte della diminuzione di piogge
  3. distruzione di zone umide, molto più frequente della diminuzione del manto forestale
  4. degrado ambientale, per gli scarichi liquidi e solidi nei corsi e bacini d’acqua.
Rana di Darwin (estinta)

Infine negli ultimi tempi si è avuta la diffusione di un fungo patogeno asiatico, dovuta al commercio di specie esotiche, il Batrachiochus chytrium, che provoca una grave malattia, la chitridiomicosi, con una crescente e letale degradazione della cheratina nella pelle. In particolare, non si trovano più le rane d’oro del Panama (Atelopus zeteki), di cui si vendono molte statuette-souvenir, simbolo di fortuna in quel Paese, anche se molto velenose: il veleno di una sola rana potrebbe uccidere circa 1000 topi di media grandezza. Nella zona dove prima vivevano, è attivo il Centro di Conservazione degli Anfibi di El Valle (EVACC), che contiene molte vasche d’acqua, disposte a varie altezze, con varie specie a rischio, come le lemuri, le ladrone, le marsupiali, quelle dal casco e altre d’oro. Si è cercato di ricreare i loro ambienti il più possibile, con tubicini di acqua corrente.

L’importanza ecologica di rane e rospi è notevole, perché questi anfibi da adulti si nutrono di insetti nocivi alle nostre coltivazioni, tanto che sono stati definiti “insetticidi naturali”. Quindi la loro diminuzione provoca l’aumento delle popolazioni di insetti nocivi e la necessità di un maggior impiego di pesticidi, il che comporta un certo aumento di inquinamento.

Rana d’oro del Panama

Per fortuna alcune associazioni ambientaliste, tra cui il WWF, si stanno impegnando in vari modi per fermare questa tendenza pericolosa per l’ambiente e per la nostra stessa salute.

Innanzitutto si cerca di proteggere da scarichi, e persino di ripristinare, le piccole zone umide adatte alla nascita e allo sviluppo degli anfibi. Poi in caso di strade, si controlla il loro passaggio, fermando il traffico: questo succede nel periodo di migrazione dalla zone di letargo a quelle con acque per riprodursi. Infine si controlla la presenza in acqua del gambero rosso, vorace divoratore di uova e girini. Anche noi possiamo segnalare alle autorità locali casi analoghi nelle nostre campagne e altre zone per cercare di salvare le popolazioni di anfibi nel nostro territorio. Crediti per le immagini: scuolarai.it (1 e 2) / alamy.it /rainews.it.

Breve video sulle estinzioni di animali:

Dante Iagrossi, Caiazzo

L’UCCELLO ESTINTO E L’ALBERO RICOMPARSO

di Dante Iagrossi

Mammut feroci, pinguini giganti, tigri con denti enormi, elefanti pelosi… Sono solo alcuni dei tanti animali del passato che si sono estinti, sia prima che dopo l’arrivo dell’uomo sulla Terra. Scomparsi, o per gravi calamità naturali, come glaciazioni improvvise o altri eventi climatici estremi, o per interventi negativi umani, diretti, come la caccia eccessiva, e indiretti, come l’inquinamento e il deterioramento dei loro ambienti di vita. Purtroppo questa tendenza pericolosa continua ancora oggi e molte altre specie viventi, sia vegetali che animali, vanno scomparendo.

Esemplare di Dodo

Ad esempio da circa tre secoli e mezzo non c’è più il Dodo, uno strano pennuto tipo piccione, pesante, non più capace di volare, piuttosto lento e goffo, (in portoghese il suo nome significa “sempliciotto”), spesso affamato, che si trovava soltanto nelle isole Mauritius, al largo del Madagascar. Aveva un singolare becco ricurvo ad uncino, che gli permetteva di aprire le noci di cocco, belle penne molto ricercate e zampe gialle. Oltre a quello comune, c’era pure il bianco, nella sola isola di Réunion.

Purtroppo i Portoghesi nel ‘600, oltre a cacciare questi docili animali, penalizzati anche dalla mancanza di volo e dai nidi fatti a terra, introdussero maiali, cani e topi, che ne divennero predatori. L’estinzione del Dodo si colloca nella seconda parte del 1600. Questi animali in precedenza avevano vissuto senza grossi problemi nel loro ambiente naturale, dove si alternava una stagione secca ad una umida, in cui essi facevano riserva di grassi. Si nutrivano in particolare dei frutti di un albero tipico di quelle isole, la Calvaria major, i cui semi racchiusi da un involucro durissimo, nel passaggio attraverso i loro organi digerenti, si ammorbidivano e, portati più lontano dalle feci, potevano facilmente germogliare. Quindi si era stabilita una vera relazione di simbiosi tra Dodo e Calvaria. Allora, quando si notò che gli esemplari di Calvaria erano tutti molto antichi, risalenti al 1700, se ne dedusse che ciò fosse legato all’estinzione dell’uccello, dello stesso periodo.

Calvaria major, foglie e semi

Il provvedimento fu di far fare lo stesso “lavoro” dei Dodo ai piccioni moderni, in modo che i semi vecchi, una volta ammorbiditi, potessero permettere poi lo sviluppo di alberi nuovi. Per il ritorno dei Dodo, non è però ancora detta l’ultima parola. Infatti alcuni ricercatori, utlizzando le nuove tecniche di ingegneria genetica, vorrebbero tentarne la “de-estinzione”. Non è affatto facile: con la tecnica del CRISPR del genoma, bisognerebbe raccogliere frammenti di DNA dell’uccello dai pochi resti disponibili, ricomporli e poi introdurli in punti precisi del DNA dei nuclei nelle uova di una specie affine di oggi, come il piccione, dopo averne estratto le parti corrispondenti. In questo modo si potrebbero riavere alcune caratteristiche peculiari del dodo andate perse. Tale procedura si potrebbe fare per i mammut e persino per l’uomo di Neanderthal, mentre è già iniziata per una particolare rana, la Rheobatractus silus, che risulta estinta di recente in Australia negli anni ‘80 del secolo scorso: aveva la straordinaria capacità di far sviluppare le uova, prima ingerite, nel proprio stomaco fino allo stadio adulto. Purtoppo il tentativo di riproduzione si è fermato allo stadio di gastrulazione. Molti oppongono remore di tipo morale e di ordine anche pratico: ormai gli ecosistemi sono cambiati e ci sarebbero grosse difficoltà di riadattamento, quindi sarebbero pratiche inutili e fini a se stesse. Secondo altri invece, permetterebbero lo studio interessante di animali che non ci sono più.

Ancora una volta è da deprecare l’impatto devastante dell’uomo, portatore solo in apparenza di civiltà, ma in realtà, a volte causa di rottura di equilibri ecologici assestati nel tempo, con conseguenti danni irreversibili sulla biodiversità. Crediti immagini: it.Wikipedia.org/, postsritzum.it .

Simpatico video animato, con interventi del prof. Telmo Pievani:

Dante Iagrossi, Caiazzo

Biodiversità e Darwin day 2018 e 2019

extinction     Per richiamare l’attenzione sul prossimo Darwin day che si celebrerà dopodomani 12 febbraio 2019, segnalo anche gli eventi che hanno caratterizzato quello dello scorso inverno, presso il Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino. Infatti a conclusione della mostra “ESTINZIONI biodiversità dei vertebrati in allarme rosso” e per celebrare il Darwin day del 14 febbraio 2018, venne programmato un seguitissimo evento di letture e musica.
Furono selezionati brani di testi di vari autori scientifici e letti con accompagnamento musicale. Agli studenti consiglio la raccolta completa delle letture (1,1 MB, circa 50 pagine pdf), che può essere scaricata dalla scheda “Collezioni” del sito del Museo dove è consultabile l’elenco dei brani letti con i rispettivi lettori.
Qui, a scopo didattico, propongo un breve testo tratto da: Il significato dell’esistenza umana, di Edward O. Wilson, 2015, Codice Editore.
“Proviamo a pensare alla biodiversità della Terra, alla varietà della vita esistente sul nostro pianeta, come a un dilemma circondato da un paradosso, vale a dire dalla seguente contraddizione: quanto più numerose sono le specie che l’umanità spinge all’estinzione, tanto più lo sono quelle che gli scienziati vanno scoprendo. Nondimeno, come i conquistadores che fondevano l’oro degli Inca, essi ammettono che prima o poi il grande tesoro si esaurirà, e che ciò accadrà presto. Da questa consapevolezza nasce il dilemma: fermare la distruzione per il bene delle generazioni future, oppure, al contrario, continuare ad alterare il pianeta perseguendo le nostre esigenze immediate? Nel secondo caso il pianeta Terra farà il suo ingresso – sconsiderato e irreversibile – in una nuova era della sua storia, che alcuni chiamano Antropocene: un’era della nostra specie soltanto, tutta incentrata su di essa, in cui le altre forme di vita saranno relegate a ruoli sussidiari. Io preferisco chiamare questo futuro miserabile Eremocene: l'”era della solitudine”. Gli scienziati suddividono la biodiversità (si badi bene, tutto il resto della vita) in tre livelli. All’apice troviamo gli ecosistemi, per esempio prati, laghi e barriere coralline; più sotto vi sono le specie che costituiscono ciascun ecosistema; alla base, infine, vi sono i geni che prescrivono i tratti distintivi di ciascuna specie.
Il numero di specie è una comoda misura della biodiversità. Nel 1758, quando mise mano alla classificazione tassonomica formale tuttora in uso, Carl Linnaeus riconobbe, in tutto il mondo, circa ventimila specie. Linnaeus pensava che, insieme ai suoi allievi e ai suoi assistenti, sarebbe stato in grado di registrare la flora e la la fauna mondiali nella loro interezza, o quasi. Nel 2009, secondo l’Australian Biological Resources Study, quel numero era salito a 1,9 milioni e nel 2013 è probabilmente arrivato a due milioni. Eppure ci troviamo ancora a una delle tappe iniziali nel viaggio linneano. Il numero reale delle specie presenti in natura non è conosciuto nemmeno con un’approssimazione al più vicino ordine di grandezza. Quando aggiungiamo al computo invertebrati, funghi e microrganismi ancora sconosciuti, le stime variano enormemente, da cinque a cento milioni di specie.
La Terra, per farla breve, è un pianeta poco conosciuto; il ritmo con cui viene mappata la biodiversità, poi, è tuttora lento, … “. Crediti: Museo di Scienze Naturali di Torino.
Darwin_day_2019     Il Darwin Day è una celebrazione in onore di Charles Darwin (1809-1882) che si tiene in tutto il mondo nell’anniversario della nascita del grande naturalista inglese, avvenuta il 12 febbraio 1809. Per conoscere i principali eventi italiani del Darwin day 2019, dedicato alle meraviglie dell’evoluzione, segnalo il sito: https://www.uaar.it/uaar/darwin-day/ .
Crediti immagine Darwin day: https://www.agoravox.it/ Crediti immagine extinction: http://discovermagazine.com/ .

Catastrofi naturali ed estinzioni di massa

     La mostra “Estinzioni. Storie di catasfrofi e altre opportunità”, del Museo della Scienza (Muse) di Trento, consente una riflessione sulla ricerca scientifica riferita ai grandi temi ambientali dell’attualità e sulle grandi catastrofi che si sono verificate nella storia del nostro pianeta. In particolare sono stati considerati cinque nuclei tematici sulle grandi estinzioni degli ultimi 500 milioni di anni, accertate dalle ricerche paleontologiche su diverse aree della Terra: a) concetto di fossili e reperti fossili esposti, con le principali biodiversità del passato; b) caratteristiche di cinque grandi estinzioni; c) focus su mammut, tigri dai denti a sciabola, bisonti delle steppe; d) vicende evolutive del genere “Homo”; e) L’Antropocene, l’era dell’Homo sapiens.

     Nello schema “Mass extinsion” a sinistra, sono rappresentate sette grandi estinsioni:

1. Cambriano-Ordoviciano, avvenuta circa 480 milioni di anni fa.

2. Ordoviciano-Siluriano, di 440 milioni di anni fa, causa probabile: imponenti glaciazioni. Nell’immagine (crediti: Understanding Evolution ), un esempio di fossili di trilobiti (philum degli Artropodi), organismi marini diffusissimi in questo periodo, di varie dimensioni: alcuni piccolissimi, altri grandi e corazzati.

3. Devoniano -Carbonifero, circa 360 milioni di anni fa, con la scomparsa dell’80% almeno delle specie. Causa probabile: impatto di numerosi asteroidi (?) nell’arco di qualche milione di anni.

4. Permiano- Triassico, risalente a 250 milioni di anni fa, considerata la più catasfrofica della storia della Terra, con la scomparsa del 96% delle specie marine allora viventi.

5. Triassico-Giurassico, di 200 milioni di anni fa, a causa dell’aumento di 5 °C della temperatura media, per motivi sconosciuti.

6. Cretaceo-Terziario, di 65 milioni di anni fa. La più conosciuta dal grande pubblico, che portò all’estinzione dei grandi dinosauri, provocata dalla concomitanza di un grande asteroide che ha colpito l’area dell’attuale Golfo del Messico – Penisola dello Yucatan e da innumerevoli grandi eruzioni vulcaniche in diverse zone del pianeta. Segnalo che una linea dei piccoli dinosauri vive ancora oggi: è quella che ha portato agli uccelli (vedi: I discendenti dei dinosauri ci fanno compagnia, Ere geologiche e principali forme di vita).

7. Olocene, quella che sta attraversando oggi la Terra e che secondo alcuni sarebbe causata dalle attività umane, tanto che il periodo attuale viene anche definito “Antropocene”.

     Ma cosa sono le grandi estinsioni di massa? Sono periodi di tempo geologicamente abbastanza brevi durante i quali c’è uno stravolgimento degli ecosistemi e degli ambienti, con scomparsa di un grande numero di specie viventi e la comparsa di nuove specie che diventano a loro volta dominanti sul pianeta. È opinione comune che le grandi estinzioni siano state prodotte quasi sempre da una concomitanza di cause.

     La mostra di Trento raccoglie reperti fossili di vertebrati estinti, originali e conservati in alcuni grandi musei italiani: Trento, Torino, Roma, Firenze, Ferrara, Treviso, Voghera, Padova, Verona. Le storie dei reperti esposti e dei gruppi di ricerca che li hanno ottenuti permettono di comprendere quanto sia affascinante la paleontologia, la storia della vita sulla Terra e le vicende che hanno portato all’estinzione di alcune specie famose che, poi, hanno lasciato il posto ad altre più adatte al nuovo ambiente che di volta in volta si formava.

Il Muse, all’avanguardia nella divulgazzione scientifica, ha arricchito la mostra con spazi interattivi, animazioni e video che coinvolgono anche i visitatori “inesperti” e meno appassionati.

La mostra sarà visitabile fino al 26 giungo 2017. Chi vuole saperne di più, info: www.muse.it .

Per approfondimenti, video: Catastrofi nella storia del Sistema solare (Focus); Storia del pianeta Terra.

Crediti schema Mass extinction: https://commons.wikimedia.org/wiki/