Ritiro dei ghiacciai

Tra le conseguenze più immediate ed evidenti del riscaldamento globale della Terra c’è la fusione dei ghiacci e la regressione dei ghiacciai. I ghiacciai sono accumuli di ghiaccio perenne, cioè che si mantiene in tutte le stagioni dell’anno e può essere composto da strati vecchi di migliaia di anni. Il ghiaccio si forma per compattazione della neve che si accumula eliminando gran parte dell’aria in essa presente: nella neve l’aria è il 90% in volume, nel ghiaccio questo volume scende al 20% circa. In questo modo il ghiaccio assume l’aspetto di una massa compatta e densa (comunque la sua densità è circa 917 kg/m3, mentre la densità dell’acqua dolce è 1000 kg/m3).

Per comodità e motivi didattici i ghiacciai sono classificati in continentali e montani. I ghiacciai continentali sono localizzati nelle zone polari e ad elevate latitudini: in Antartide, Groenlandia, Canada e Islanda. Sono la maggior parte dei ghiacciai del Pianeta ed hanno una caratteristica forma a lente, con la parte centrale, detta bacino collettore, che alimenta il ghiacciaio e le parti periferiche, dette bacino ablatore, dove prevale la fusione del ghiaccio.

I ghiacciai montani hanno una caratteristica forma a lingua e, sotto la spinta della forza di gravità, si muovono verso valle trasportando detriti rocciosi (morene) e formando un fronte glaciale dove prevale la fusione (bacino ablatore). La zona di accumulo del ghiaccio (bacino collettore) si trova a quota più elevata e alimenta il ghiacciaio con le precipitazioni nevose.

Quasi tutti i ghiacciai sono monitorati, misurati e osservati, alcuni da oltre un secolo. Tranne qualche eccezione, quasi tutti sono in fase di forte regressione, sia come dimensioni sia come spessore. Oltre alle misurazioni al suolo, anche le immagini satellitari confermano questo fatto. Ad esempio ci sono immagini satellitari (satelliti Landsat della NASA) di alcuni ghiacciai del Tibet, definito “il terzo polo” per il gran numero di ghiacciai e la più grande riserva d’acqua dolce al di fuori delle regioni polari, che dimostrano questo inquietante fenomeno. La prima immagine in alto risale al 1987 e la seconda al 2021: in questo intervallo di tempo (34 anni) è evidente la regressione dei ghiacciai o la loro scomparsa e un modesto aumento dell’estensione a causa dell’afflusso di acqua proveniente dalla fusione dei ghiacci. Crediti immagini: (earthobservat ory/NASA, Internazionale n. 1433). Per approfondire: https://it.wikipedia.org/wiki/Ritiro_dei_ghiacciai ; https://www.focus.it/temi/fusione-dei-ghiacci . Lo scorso autunno anche Greenpeace Italia e il Comitato Glaciologico Italiano (CGI) hanno pubblicato il rapportoGiganti in ritirata: gli effetti della crisi climatica sui ghiacciai italiani” e hanno lanciato un allarme sullo stato di salute di queste importanti riserve d’acqua dolce e sentinelle della crisi climatica.

La nostra casa comune

La Santa Sede, in particolare il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, e l’Istituto per l’Ambiente di Stoccolma, hanno elaborato congiuntamente e pubblicato una guida per prendersi cura del nostro pianeta Terra. Il libretto (9 MB) in pdf si può scaricare a questo link: La nostra casa comune | SEI .

Il volumetto si ispira alla seconda enciclica di Papa Francesco, “Laudato si’, sulla cura della casa comune”, che rintraccia le radici della nostra crisi ecologica nel consumo eccessivo e negli attuali modelli di sviluppo economico. Fa riferimento al fatto che sul nostro pianeta tutto è collegato e che anche il clima è un bene comune, di tutti e per tutti e che la crisi climatica è una grave minaccia per la nostra sicurezza e per la natura. Non mancano i riferimenti all’economia dei combustibili fossili, considerata causa principale del riscaldamento globale. Si richiedono cambiamenti radicali, anche se non possono che essere graduali:

Con un’azione drastica per eliminare rapidamente le emissioni di gas serra, possiamo limitare l’aumento della temperatura e prevenire le conseguenze più pericolose. Nel 2015, quasi 200 Paesi hanno firmato un accordo a Parigi per bloccare l’aumento della temperatura a 1,5 gradi Celsius, ma non si è agito abbastanza velocemente. Il prossimo decennio sarà decisivo.

È necessario niente di meno che un cambiamento completo nelle nostre economie e società. Dobbiamo: a) fermare la deforestazione; b) cambiare il modo in cui consumiamo il cibo e coltiviamo la terra; c) produrre energia senza combustibili fossili con una conversione completa all’energia pulita”.

Di notevole importanza sono i riferimenti alla biodiversità, fondamento della sopravvivenza e del progresso umano, nonché all’acqua potabile sicura, come diritto umano essenziale, fondamentale e universale. Un altro tema centrale della pubblicazione è l’aria, con la sua composizione e l’inquinamento che uccide più di quattro milioni di persone ogni anno, senza dimenticare che l’inquinamento domestico è causa di innumerevoli malattie tra le popolazioni più povere. Molto importanti anche i riferimenti al cibo, all’agricoltura intensiva che ha rimodellato il pianeta ed ha un impatto ambientale e sociale devastante e diffuso su gran parte della Terra. La pubblicazione continua con riferimenti al modello consumistico e alle azioni necessarie da mettere in atto noi tutti per iniziare a superare l’attuale crisi ambientale e le conseguenze devastanti, anche per modelli economici sbagliati, su una parte considerevole della popolazione mondiale. Vedi: Stockholm Environment Institute: bridging science and policy (sei.org) .

I giorni della merla

Sono definiti giorni della merla gli ultimi tre giorni di gennaio: 29, 30 e 31. Secondo tradizione e racconti popolari, dovrebbero essere i giorni più freddi dell’anno, ma quest’anno (2024) secondo le previsioni meteo, in Italia non sarà così. Sull’Italia in quest’ultima settimana di gennaio c’è un anticiclone che porta bel tempo e temperature decisamente superiori alle medie del periodo. Il ristagno dell’aria in Valle Padana è accompagnato però da un peggioramento dell’inquinamento, con nebbie e gelate mattutine.

Sui giorni della merla ci sono diverse leggende. La più antica risale alle culture greca e latina: la merla sarebbe stata una messaggera di Persefone (Proserpina presso i romani, era una dea degli inferi e regina dell’oltretomba) che annunciava a sua madre Demetra (o Cerere presso i romani, divinità materna della Terra, della fertilità, dei raccolti e della nascita) l’arrivo della primavera. Gli uccelli in generale erano considerati come messaggeri degli Dei.

Secondo un’altra leggenda, questi tre giorni e il freddo che li accompagna sarebbero dovuti alle ire di Gennaio. Infatti una volta la merla aveva il piumaggio bianco candido e Gennaio che aveva 28 giorni anziché 31, dispettoso, scatenava freddo e pioggia contro il suo candore. Perciò la merla per non patire il freddo decise di fare provviste per quei giorni e, fino al 28 stare riparata in un suo vecchi nido coperto. Quando uscì, Gennaio, indispettito, decise di prolungare la sua durata di altri tre giorni, 29, 30 e 31, chiedendoli a febbraio al quale ne rimasero 28! Di fronte alle intemperie: neve, piogge, vento e freddo gelido di questi giorni, la merla cercò riparo al caldo di un comignolo per tutti e tre i giorni, ma quando ne uscì, il suo piumaggio aveva cambiato colore: per la fuliggine e della cenere era diventato grigio scuro o nero!

Secondo un proverbio, se i giorni della merla saranno freddi, allora la primavera sarà bella; se sono caldi, la primavera arriverà in ritardo perché l’inverno sarà ancora lungo. Quest’anno perciò la primavera dovrebbe arrivare in ritardo. Vedremo.

C’è anche una filastrocca per bambini (e non solo) su questi giorni: “La pozzanghera è ghiacciata, la grondaia si è gelata! Indossiam sciarpe e cappelli, bei maglioni e gran mantelli, paraorecchie e poi giacconi, canottiere, calzettoni! Ma ‘sto freddo non va via: gela tutto, mamma mia!”

Il lago Tanganica e la sua protezione ambientale

Il Tanganica è uno dei grandi laghi dell’Africa orientale, uno dei laghi situati lungo la grande Rift Valley. È il secondo lago più profondo del mondo, con i suoi 1470 metri, dopo il lago Baikal situato in Siberia (Russia). Il Tanganika si trova al confine tra quattro Stati africani: Tanzania, Repubblica Democratica del Congo, Burundi e Zambia. Paesi che sono riusciti ad accordarsi per la protezione di questo particolare ecosistema ed un uso controllato delle sue risorse.

La decisione è particolarmente interessante e da esempio per altri Stati perché questi, pur non essendo Paesi ricchi, né in via di sviluppo come i famosi BRICS di cui tanto si è parlato nelle settimane scorse, hanno sospeso la pesca nel Tanganica per almeno tre mesi per valutare poi altre decisioni. Bisogna ricordare che il lago, con la sua fauna ittica, fornisce sostentamento ad alcuni milioni di persone che vivono lungo le sue rive. Si tratta perciò di una misura radicale e di uno sforzo enorme per le popolazioni, con lo scopo di proteggere la biodiversità del più antico lago della Rift Valley africana, infatti si è formato circa 12 milioni di anni fa ed è destinato ad essere il primo bacino d’acqua del nuovo oceano che sta nascendo in quella fossa tettonica che si estende dal Mozambico verso Nord fino al Mar Rosso e al Mar Morto del Medio Oriente.

Il Tanganica è la maggiore riserva d’acqua dolce dell’intera Africa e. secondo l’Agenzia di Stampa Congolese, è l’ambiente in cui vivono quasi 400 specie ittiche, decine di specie di gasteropodi e circa 500 specie di organismi acquatici endemici, che non si trovano in altre parti del Pianeta. Contrariamente al lago Vittoria, che fornisce le sue acque al Nilo, il lago Tanganica ha come emissario il fiume Lukuga che poi confluisce nel grande fiume Congo che sfocia nell’Oceano Atlantico.

Molti Paesi ricchi o in via di sviluppo raramente hanno fatto sacrifici tanto significativi, come quelli di questi quattro Stati, per la protezione dell’ambiente. Ma in questa regione e nel resto dell’Africa non mancano i disastri provocati dalle attività umane e/o dai mutamenti climatici in atto.

Meno foreste, più deserti

Dante Iagrossi. I nostri boschi e le grandi foreste svolgono funzioni fondamentali per noi e gli altri viventi. Purtroppo, da vari decenni sono a rischio, soprattutto per certe sconsiderate attività umane, anche se ci sono valide iniziative per preservarle, con risultati positivi, ma ancora non risolutivi a livello globale.

Importanza delle foreste

Le foreste sono innanzitutto enormi produttrici di ossigeno e assorbono anidride carbonica, regolano il clima e sono formidabili scrigni di biodiversità, oltre che fonti immense di legno e piante usate nei modi svariati (alimentazione, farmaci, colori, ecc.).

Cause principali di desertificazione

Le grandi foreste del mondo stanno diminuendo significativamente le loro estensioni, soprattutto per tre gravi motivi:

  • creazione di nuove superfici soprattutto per agricoltura ed allevamento; in misura minore, per scopi minerari ed edilizi.
  • Uso di legno come combustibile: circa un terzo della popolazione mondiale ha bisogno ancora del legno per il riscaldamento.
  • Richiesta di legname pregiato (mogano, ebano, ecc.) per costruzioni e artigianato, soprattutto in Messico, Brasile, Colombia, Cile, Nigeria, India, e altri Paesi del Sud Est asiatico.

Conseguenze basilari

Il disboscamento intenso e progressivo causa la diminuzione notevole del manto vegetale terrestre, per cui maggiori quantità di Anidride Carbonica nella fotosintesi non vengano più trasformate in Ossigeno e glucosio. Quindi si registra un incremento dell’effetto serra e del conseguente riscaldamento globale: si stima che ogni anno ci siano 1,6 miliardi di tonnellate di Carbonio in più per il disboscamento e ben 6 per le combustioni.

Si riducono anche le popolazioni di animali ospitati e delle stesse popolazioni di indigeni e diventano più probabili eventi estremi negativi. Infatti, lo sfruttamento intensivo delle coltivazioni e la siccità, per la diminuzione di piogge, insieme alla desertificazione, che accompagna certe zone disboscate, stanno creando notevoli disagi per la sopravvivenza di milioni di persone, costrette a migrare verso i Paesi europei.

Il caso dell’Amazzonia e dell’olio di palma

Quella amazzonica è la più estesa foresta del mondo, ma in un solo anno, tra l’agosto 2020 e il luglio 2021, la sua deforestazione è aumentata di quasi il 22% rispetto al periodo precedente, per un totale di 13.235 kmq perduti. In alcune zone dell’America del Centro e Sud, Africa, e Asia tropicale l’espansione dei campi coltivati con palme ad olio ha determinato la diminuzione di foreste e torbiere, con incendi e rilascio di rilevanti quantità di gas serra. Nel solo decennio 1990-2000, secondo un rapporto della FAO, sono andati persi in tutto circa 420 milioni di ettari di foreste. Inoltre, secondo l’Atlante Mondiale della Desertificazione, oltre il 75% della superficie terrestre è già degradato e si potrebbe arrivare al 90% nel 2050. Nella sola UE circa l’8%, in 13 Stati, è a rischio.

Accordi internazionali

Nel 2014 a New York, durante il vertice Onu Climate Summit, per contrastare la deforestazione, è stato deciso lo stop al taglio di alberi nel 2030 e il ripristino di oltre 350 milioni di ettari di foreste e campi coltivati. Nel COP26 di Glasgow del 2021, 110 nazioni, che coprono l’85% dell’intero patrimonio forestale mondiale, hanno avuto la promessa di 15 miliardi di sterline per ripristinare le foreste. Il 2011 è stato l’Anno internazionale delle Foreste e, dal 1997, il 17 giugno è stato dichiarato giornata mondiale della lotta alla desertificazione.

Non ci sono “ricette” globali per combattere la desertificazione, ma è stato approvato il progetto della “Grande muraglia verde” in Africa, enorme “corridoio” verde dal Senegal al Corno d’Africa, lungo 7.800 km e largo 15 km, che nel 2030 potrebbe catturare 250 milioni di tonnellate di Anidride Carbonica dall’atmosfera. Alcune associazioni e privati si impegnano a piantare molti alberi all’anno. Si dovrebbe anche anche attuare un’agricoltura nuova, con aumento di produzione accompagnata da una gestione sostenibile, oltre ad un equilibrio tra quantità di emissioni ad effetto serra e assorbimento da foreste. Dante Iagrossi (foto da Pixabay)

COP27 e i dati dell’emergenza climatica mondiale

Tre settimane fa, prima che in Egitto si svolgesse la COP27 sulla crisi climatica, su Le Monde (quotidiano francese fondato a Parigi nel 1944) è stato pubblicato un articolo di Audrey Garric relativo alla necessità di risarcire i Paesi del sud del mondo per poter portare avanti la lotta ai cambiamenti climatici. Per dimostrare la gravità dell’emergenza, sono stati pubblicati alcuni grafici i cui dati sono stati ricavati ed elaborati da prestigiosi Enti scientifici internazionali.

I dati riguardano l’aumento della temperatura media del Pianeta, l’aumento della concentrazione di CO2, l’innalzamento del livello degli oceani, l’aumento del calore assorbito dagli oceani, la diminuzione dell’area coperta dai ghiacci dell’Artico, la perdita di massa dei ghiacciai. Tutti i dati sono concordi e dimostrano quanto sia urgente intervenire per contenere il riscaldamento globale della Terra. I dati sono disponibili anche in italiano sulla rivista settimanale Internazionale n. 1486 del 11-17 novembre 2022. Nel frattempo la COP27 si è conclusa con poche luci e molte ombre.

Secondo l’ultimo rapporto sulle emissioni di gas serra del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, senza decisioni più drastiche e coraggiose, il nostro pianeta è destinato ad un aumento di temperatura di 2,6 °C entro la fine di questo secolo, accompagnato da danni, devastazioni e disastri sempre più gravi. Quello di pochi giorni fa a Casamicciola nell’isola di Ischia è solo uno dei tanti.

I risultati della COP27 sono stati modesti per vari motivi. Innanzitutto per l’assenza di colossi dell’inquinamento come Cina, India e Russia e poi per la presenza di ben 636 rappresentanti di potenti gruppi industriali legati all’estrazione di petrolio e carbone, come ha segnalato il settimanale tedesco Der Spiegel pochi giorni fa. La potenza economica di questi gruppi industriali si fa sentire molto sui rappresentanti di molti governi, tanto che nel testo finale del vertice c’è solo un riferimento generico alla necessità di ridurre l’impiego dei combustibili fossili, senza alcuna indicazione su come farlo.

Qualche risultato positivo c’è stato: l’istituzione di un fondo a favore dei Paesi più vulnerabili alle conseguenze del riscaldamento globale, che sono anche i Paesi più poveri e meno responsabili delle emissioni di gas serra. Il fondo, alimentato dai Paesi più ricchi, dovrà aiutare quelli più poveri a fronteggiare i danni sociali ed economici causati dai fenomeni meteorologici estremi sempre più intensi e frequenti.

Conferenza ONU sul clima: Cop 26 a Glasgow

La conferenza mondiale sul clima a Glasgow in Scozia è iniziata oltre una settimana fa , un’altra grande opportunità per prendere grandi e impegnative decisioni per rallentare il riscaldamento globale in atto. Sarà sprecata? Il Regno Unito sta coordinando i lavori delle varie delegazioni, provenienti da oltre 190 Paesi. Per la riuscita della conferenza e l’assunzione di impegni che contrastino i mutamenti climatici causati prevalentemente dal consumo massiccio di combustibili fossili, saranno cruciali il comportamento e l’impegno dei più grandi paesi inquinanti, come Stati Uniti, Cina, India, Unione Europea e Russia, sulla riduzione delle emissioni di anidride carbonica (CO2), il principale gas serra.

L’accumulo in atmosfera di questi gas serra, impedisce alla Terra di disperdere il calore che riceve dall’irradiazione solare. Ciò sta determinando i mutamenti climatici con numerosi e nefasti fenomeni connessi: aumento degli eventi atmosferici sempre più estremi, desertificazione di estese zone del pianeta, scioglimento del permafrost nelle zone polari e subpolari, scioglimento fuori controllo dei ghiacci, innalzamento lento ma continuo di mari e oceani e altro ancora.

Sul ruolo dell’aumento di CO2 come causa fondamentale del riscaldamento globale ormai c’è unanimità tra gli scienziati e certamente quest’aumento è causato dalle attività umane. Il fisico teorico statunitense Lawrence M. krauss, autore del recente volume The physics of climate change, uno dei maggiori esperti sui mutamenti climatici, in un articolo di pochi giorni fa sulla rivista Prospect (Regno Unito) ha scritto che “Nella scienza del cambiamento climatico restano ancora molti aspetti da chiarire. Ma quello che sappiamo con certezza è più che sufficiente a smentire chi mette in discussione la necessità di adottare subito misure radicali”.

Il testimone dei lavori è stato passato a Glasgow dalla riunione del G20, con i 20 Paesi economicamente più avanzati e tra i più inquinanti, conclusa una settimana fa a Roma. Sui temi ambientali purtroppo la riunione di Roma non ha portato a impegni chiari e netti sulla riduzione delle emissioni di diossido di carbonio e sul contenimento dell’aumento della temperatura media globale: è stato stabilito di contenere l’aumento della temperatura media entro 1,5 °C per la metà di questo secolo. A Roma e Glasgow hanno deluso l’assenza dei Presidenti di Cina e Russia che riduce la credibilità di quest’impegno.

A Glasgow, Xi Jinping, il presidente cinese e Vladimir Putin, il presidente russo, hanno mandato le loro delegazioni. Non è stata la stessa cosa e gli impegni assunti e che saranno ancora presi, senza la Cina che emette in atmosfera il 28% della CO2 totale, avranno scarsa efficacia. Nei prossimi giorni si capirà la portata degli impegni che saranno assunti. L’Unione Europea intanto si mostra in prima fila: ha approvato una legge per ridurre entro il 2030 le proprie emissioni di gas serra del 55% rispetto ai livelli del 1990.

Un altro allarme e l’invito a non rinviare decisioni efficaci e vincolanti è arrivato dall’Organizzazione meteorologica mondiale dell’ONU che, in un recente rapporto, ha indicato gli ultimi sette anni come i più caldi che siano mai stati registrati, inoltre il 2021 ha visto un maggiore aumento del livello di mari e oceani.

Tra i timidi passi in avanti assunti dalla maggioranza dei Paesi della COP 26 ci sono:

a) Lo stop ai finanziamenti sulla ricerca, l’estrazione e il consumo di combustibili fossili; ma senza la Cina ed altri Paesi che basano la loro produzione energetica prevalentemente sul consumo di carbone, quali effetti produrrà quest’accordo?

b) La riduzione delle emissioni di metano, il secondo gas serra dopo il diossido di carbonio. Ma qui, oltre a Cina e Russia si è tirata indietro anche l’India. Questi tre giganti insieme sono responsabili di un terzo delle emissioni di metano. Rimangono USA, UE e altri Stati con emissioni più modeste.

c) Più di 100 Paesi che ospitano l’85% dei boschi e delle foreste del pianeta, si sono impegnati a ridurre la deforestazione e poi incrementarla. Tra questi anche Brasile (? sarà vero? Non c’era il presidente Bolsonaro) e Congo che sul loro territorio hanno le due maggiori foreste equatoriali del mondo e che, negli ultimi anni hanno proceduto a gran ritmo alla loro riduzione. Gli altri Stati hanno promesso compensazioni di alcuni miliardi di dollari. Tutti hanno dato la disponibilità ad incrementare le coltivazioni arboree (naturali o artificiali) per per far aumentare la cattura della CO2 da parte delle piante con la loro fotosintesi. A questo scopo i leader hanno firmato la “Dichiarazione di Glasgow sulle foreste e l’uso dei suoli”. Piccoli passi in avanti. Poco, ma meglio di niente. Gli impegni fondamentali della Dichiarazione:

1.   Conservare le foreste e altri ecosistemi terrestri e accelerare il loro ripristino;

2.  Facilitare il commercio e le politiche di sviluppo, a livello internazionale e nazionale, che promuovano lo sviluppo sostenibile e la produzione e il consumo di beni sostenibili, che lavorino a beneficio reciproco dei paesi e che non portino alla deforestazione e al degrado della terra;

3. Ridurre la vulnerabilità, costruire la resilienza e migliorare i mezzi di sussistenza rurali, anche attraverso la responsabilizzazione delle comunità, lo sviluppo di un’agricoltura redditizia e sostenibile, e il riconoscimento dei molteplici valori delle foreste, riconoscendo al contempo i diritti delle popolazioni indigene, nonché delle comunità locali, in conformità con la legislazione nazionale e gli strumenti internazionali;

4.  Attuare e, se necessario, ridisegnare le politiche e i programmi agricoli per incentivare l’agricoltura sostenibile, promuovere la sicurezza alimentare produrre benefici per l’ambiente;

5.   Riaffermare gli impegni finanziari internazionali e aumentare significativamente i finanziamenti e gli investimenti da un’ampia varietà di fonti pubbliche e private, migliorandone anche l’efficacia e l’accessibilità, per permettere un’agricoltura sostenibile, una gestione sostenibile delle foreste, la conservazione e il ripristino delle foreste, e il sostegno alle popolazioni indigene e alle comunità locali;

6.  Facilitare l’allineamento dei flussi finanziari con gli obiettivi internazionali per invertire la perdita e il degrado delle foreste, assicurando allo stesso tempo che siano in atto politiche e sistemi solidi per accelerare la transizione verso un’economia che sia resiliente e promuova gli obiettivi relativi alle foreste, all’uso sostenibile delle terre, alla biodiversità e al clima. Crediti: https://www.qualenergia.it/ http://www.alternativasostenibile.it/.

Giornata della Terra 2021

Come negli anni scorsi, sono molte le iniziative, in tutt’Italia e nel mondo, per celebrare la giornata odierna e per sensibilizzare i cittadini di ogni età per i problemi climatici e ambientali in atto.

A livello internazionale, il Presidente degli USA Joe Biden dopo aver chiesto il 19 febbraio scorso il rientro dei suoi stati negli accordi di Parigi, ha organizzato un vertice virtuale di 48 ore per oggi e domani a cui partecipano 40 capi di Stato e di Governo. Per l’Italia partecipa Mario Draghi e interverrà anche Papa Francesco.

L’Unione Europea si presenta con i suoi vertici e con l’approvazione del taglio delle emissioni dei gas ad effetto serra, rispetto ai valori del 1990 del 55% per il 2030. Un impegno molto forte che, se si riuscirà a mantenere, porterà a raggiungere la neutralità emissioni/riciclo nel 2050.

Ma come in passato sono importantissimi gli impegni che vorranno assumere Stati Uniti e Cina che da soli sono responsabili del 42% delle emissioni di gas serra. Le buone intenzioni (almeno a parole) del Presidente cinese e l’inversione di rotta di Joe Biden rispetto alle politiche di Trump che aveva annullato gli impegni del Presidente Obama inducono all’ottimismo.

Euronews

Fiera Klimahouse 2021: Lezione di Luca Mercalli

Circa due mesi fa, nell’ambito della Fiera Klimahouse, c’è stato l’incontro con le scuole superiori (a distanza) e la lezione sul clima di Luca Mercalli, climatologo ben conosciuto anche dal pubblico televisivo e presidente della Società Meteorologica Italiana.

L’intero incontro è stato registrato e reso disponibile in rete. L’evento divulgativo rientra nel ciclo di convegni Isola Ursa di Fiera Klimahouse, dedicata ai professionisti della progettazione ambientale relativa al risparmio energetico e ai problemi collegati al surriscaldamento ambientale in atto.

Il video, dopo una breve introduzione di Sara Zapparoli, propone l’efficace lezione di Luca Mercalli sui cambiamenti climatici con l’ausilio di diverse slide. Durata: 1 h e 40 min.

Assisi: Manifesto per il clima e un’economia a misura d’uomo

Manifesto Assisi     Alcune personalità di rilievo del panorama economico, sociale e politico italiano hanno elaborato un documento denominato “Manifesto di Assisi per un’economia a misura d’uomo”. Tra i promotori, il Custode del Sacro Convento, Padre Mauro Gambetti, il Presidente della Fondazione Symbola, Ermete realacci, il Presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, il Presidente di Coldiretti, Ettore Prandini.
Oggi, insieme ai promotori, il documento è stato firmato anche dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e dal Presidente del Parlamento Europeo David Sassoli. In poche ore ha raccolto oltre 2100 firme, prevalentemente di rappresentanti del mondo delle imprese. Il “Manifesto di Assisi” fa riferimento alle sfide della crisi climatica, al problema delle ecomafie, alle funzioni fondamentali dei piccoli comuni per la salvaguardia del territorio, alla responsabilità sociale delle imprese, al rapporto tra innovazione, tecnologie e società. Il testo:

“Affrontare con coraggio la crisi climatica non è solo necessario ma rappresenta una grande occasione per rendere la nostra economia e la nostra società più a misura d’uomo e per questo più capaci di futuro. È una sfida di enorme portata che richiede il contributo delle migliori energie tecnologiche, istituzionali, politiche, sociali, culturali. Il contributo di tutti i mondi economici e produttivi e soprattutto la partecipazione dei cittadini. Importante è stato ed è in questa direzione il ruolo dell’enciclica Laudato Si’ di Papa Francesco. Siamo convinti che, in presenza di politiche serie e lungimiranti, sia possibile azzerare il contributo netto di emissione dei gas serra entro il 2050. Questa sfida può rinnovare la missione dell’Europa dandole forza e centralità. E può vedere un’Italia in prima fila. Già oggi in molti settori, dall’industria all’agricoltura, dall’artigianato ai servizi, dal design alla ricerca, siamo protagonisti nel campo dell’economia circolare e sostenibile. Siamo, ad esempio, primi in Europa come percentuale di riciclo dei rifiuti prodotti.
La nostra green economy rende più competitive le nostre imprese e produce posti di lavoro affondando le radici, spesso secolari, in un modo di produrre legato alla qualità, alla bellezza, all’efficienza, alla storia delle città, alle esperienze positive di comunità e territori. Fa della coesione sociale un fattore produttivo e coniuga empatia e tecnologia. Larga parte della nostra economia dipende da questo.
I nostri problemi sono grandi e antichi: non solo il debito pubblico ma le diseguaglianze sociali e territoriali, l’illegalità e l’economia in nero, una burocrazia spesso inefficiente e soffocante, l’incertezza per il presente e il futuro che alimenta paure. Ma l’Italia è anche in grado di mettere in campo risorse ed esperienze che spesso non siamo in grado di valorizzare. Noi siamo convinti che non c’è nulla di sbagliato in Italia che non possa essere corretto con quanto di giusto c’è in Italia.
La sfida della crisi climatica può essere l’occasione per mettere in movimento il nostro Paese in nome di un futuro comune e migliore.
Noi, in ogni caso, nei limiti delle nostre possibilità, lavoreremo in questa direzione, senza lasciare indietro nessuno, senza lasciare solo nessuno. Un’Italia che fa l’Italia, a partire dalle nostre tradizioni migliori, è essenziale per questa sfida e può dare un importante contributo per provare a costruire un mondo, civile, gentile.”

Per firmare il testo: Eco dalle città; oppure Symbola.net.