L’UCCELLO ESTINTO E L’ALBERO RICOMPARSO

di Dante Iagrossi

Mammut feroci, pinguini giganti, tigri con denti enormi, elefanti pelosi… Sono solo alcuni dei tanti animali del passato che si sono estinti, sia prima che dopo l’arrivo dell’uomo sulla Terra. Scomparsi, o per gravi calamità naturali, come glaciazioni improvvise o altri eventi climatici estremi, o per interventi negativi umani, diretti, come la caccia eccessiva, e indiretti, come l’inquinamento e il deterioramento dei loro ambienti di vita. Purtroppo questa tendenza pericolosa continua ancora oggi e molte altre specie viventi, sia vegetali che animali, vanno scomparendo.

Esemplare di Dodo

Ad esempio da circa tre secoli e mezzo non c’è più il Dodo, uno strano pennuto tipo piccione, pesante, non più capace di volare, piuttosto lento e goffo, (in portoghese il suo nome significa “sempliciotto”), spesso affamato, che si trovava soltanto nelle isole Mauritius, al largo del Madagascar. Aveva un singolare becco ricurvo ad uncino, che gli permetteva di aprire le noci di cocco, belle penne molto ricercate e zampe gialle. Oltre a quello comune, c’era pure il bianco, nella sola isola di Réunion.

Purtroppo i Portoghesi nel ‘600, oltre a cacciare questi docili animali, penalizzati anche dalla mancanza di volo e dai nidi fatti a terra, introdussero maiali, cani e topi, che ne divennero predatori. L’estinzione del Dodo si colloca nella seconda parte del 1600. Questi animali in precedenza avevano vissuto senza grossi problemi nel loro ambiente naturale, dove si alternava una stagione secca ad una umida, in cui essi facevano riserva di grassi. Si nutrivano in particolare dei frutti di un albero tipico di quelle isole, la Calvaria major, i cui semi racchiusi da un involucro durissimo, nel passaggio attraverso i loro organi digerenti, si ammorbidivano e, portati più lontano dalle feci, potevano facilmente germogliare. Quindi si era stabilita una vera relazione di simbiosi tra Dodo e Calvaria. Allora, quando si notò che gli esemplari di Calvaria erano tutti molto antichi, risalenti al 1700, se ne dedusse che ciò fosse legato all’estinzione dell’uccello, dello stesso periodo.

Calvaria major, foglie e semi

Il provvedimento fu di far fare lo stesso “lavoro” dei Dodo ai piccioni moderni, in modo che i semi vecchi, una volta ammorbiditi, potessero permettere poi lo sviluppo di alberi nuovi. Per il ritorno dei Dodo, non è però ancora detta l’ultima parola. Infatti alcuni ricercatori, utlizzando le nuove tecniche di ingegneria genetica, vorrebbero tentarne la “de-estinzione”. Non è affatto facile: con la tecnica del CRISPR del genoma, bisognerebbe raccogliere frammenti di DNA dell’uccello dai pochi resti disponibili, ricomporli e poi introdurli in punti precisi del DNA dei nuclei nelle uova di una specie affine di oggi, come il piccione, dopo averne estratto le parti corrispondenti. In questo modo si potrebbero riavere alcune caratteristiche peculiari del dodo andate perse. Tale procedura si potrebbe fare per i mammut e persino per l’uomo di Neanderthal, mentre è già iniziata per una particolare rana, la Rheobatractus silus, che risulta estinta di recente in Australia negli anni ‘80 del secolo scorso: aveva la straordinaria capacità di far sviluppare le uova, prima ingerite, nel proprio stomaco fino allo stadio adulto. Purtoppo il tentativo di riproduzione si è fermato allo stadio di gastrulazione. Molti oppongono remore di tipo morale e di ordine anche pratico: ormai gli ecosistemi sono cambiati e ci sarebbero grosse difficoltà di riadattamento, quindi sarebbero pratiche inutili e fini a se stesse. Secondo altri invece, permetterebbero lo studio interessante di animali che non ci sono più.

Ancora una volta è da deprecare l’impatto devastante dell’uomo, portatore solo in apparenza di civiltà, ma in realtà, a volte causa di rottura di equilibri ecologici assestati nel tempo, con conseguenti danni irreversibili sulla biodiversità. Crediti immagini: it.Wikipedia.org/, postsritzum.it .

Simpatico video animato, con interventi del prof. Telmo Pievani:

Dante Iagrossi, Caiazzo