Deserti brillanti: la magia dei fiori bioluminescenti

Dante Iagrossi. Ogni volta che pensiamo ai deserti, immaginiamo dei luoghi sempre aridi e brulli, con pochi organismi, che fanno fatica a viverci. Eppure la realtà è ben diversa, poiché tante forme di vita in essi si attivano in modo sorprendente, non solo di giorno ma anche di notte. A parte i fiori che spuntano all’improvviso, appena dopo una delle rarissime precipitazioni, regalando meravigliosi tappeti multicolori, alcuni di quelli dei cactus, che si aprono di notte, addirittura emettono luce, creando suggestivi paesaggi mozzafiato.

Nella maggior parte dei casi, i cactus aprono i fiori di notte, con temperature più basse e maggior umidità. Di giorno, invece, i fiori si chiudono, per proteggersi dal caldo torrido e forti insolazioni.

In questo modo i cactus attirano gli impollinatori notturni, tra cui falene e pipistrelli, producendo un profumo intenso dei fiori: in particolare, il Selenicereus grandiflorus, “regina della notte”, li apre per poche ore, emanando un forte profumo che attrae i pipistrelli. In più, alcuni cactus notturni sono bioluminescenti, producendo una luce propria, che attira gli impollinatori, che possono individuarne i fiori più facilmente.

Quindi rispetto alle più diffuse strategie elaborate dai fiori nel corso del loro complesso processo evolutivo, alcuni cactus, oltre ai colori vivaci, gli odori intensi, alle forme e dimensioni, adatte agli impollinatori, al nettare abbondante e saporito, alle spine protettive, giocano la carta vincente ed efficace della bioluminescenza, che si esplica di notte in condizioni ottimali.

Luminosi sono pure alcune specie di funghi.

La bioluminescenza si manifesta inoltre non solo nelle lucciole, ma anche in molte larve di insetti. Comunque l’80% di organismi bioluminescenti sono acquatici: pesci, meduse, ctenofori, cefalopodi, oltre a tante specie di batteri. Inoltre, le microalghe Noctiluca producono uno straordinario bagliore blu se disturbate.

In genere la bioluminescenza è dovuta all’ossidazione di sostanze, luciferine, con produzione di energia luminosa, tramite l’azione catalizzante di certi enzimi (luciferasi). Le luci prodotte sono di vari colori: blu, nelle profondità oceaniche, verde lungo le coste, giallo, per animali terrestri e in acque dolci. L’efficienza di tali reazioni è davvero altissima, circa il 98%. Invece le vecchie lampadine a filamento disperdono proprio il 98% in calore, con un’efficienza di appena il 2%. Si spera di poter riprodurre la bioluminescenza per l’illuminazione pubblica.

Certi spettacoli naturali potrebbero essere compromessi seriamente dall’impatto umano sui loro habitat: la deforestazione, l’urbanizzazione e i cambiamenti climatici. Quindi dobbiamo fare il possibile per salvare anche le zone desertiche, istituendovi, ad es., dei parchi protetti e controllati. (foto da: Aihumboldt) Dante Iagrossi.

La vera Las Vegas è sotto gli oceani

biolumin001

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel periodo natalizio il fenomeno più appariscente, tutti gli anni, è lo scintillìo di luci nelle case, sulle finestre, sui balconi. Luci intermittenti dagli innumerevoli colori, a forma di stella, albero, renna o altro animale, a forma geometrica o senza una forma ben definita. Per un breve periodo dell’anno, nelle città occidentali sembra di essere a Las Vegas. Ma se potessimo raggruppare in uno spazio equivalente a quello di una città i miliardi di organismi marini, appartenenti ad una decina di gruppi diversi, caratterizzati dal fenomeno della bioluminescenza, la città americana con tutte le sue luci impallidirebbe. Anche Parigi, la “ville lumière” si sentirebbe ridimensionata. Come spesso accade, la natura dimostra di aver ideato e realizzato certe soluzioni centinaia di milioni di anni prima dell’uomo.

Ma cos’è la bioluminescenza? Si tratta della luce prodotta in molti organismi animali (tra cui la comune lucciola) con una reazione chimica: l’ossidazione della luciferina, una proteina, grazie all’azione dell’enzima luciferasi. Il risultato di questa reazione, oltre all’emissione di luce è l’ossiluciferina.  Questo fenomeno fu scoperto dal fisiologo tedesco Emile Du Bois-Reymond (1818-1896) nel 1885, dopo aver ipotizzato la presenza nei tessuti muscolari di molecole dotate di proprietà elettriche. Oggi si sa che, mentre nelle lucciole per far avvenire la reazione è necessario l’ossigeno, la luciferasi e una certa quantità di ATP, negli organismi marini la luciferina contenuta non ha bisogno di ossigeno per la sua attivazione. Non bisogna neanche confondere la bioluminescenza marina con la fosforescenza che è altra cosa. Gli organismi che si sono evoluti sviluppando la bioluminescenza generalmente sono piccoli e senza altri meccanismi di difesa. Talvolta usano la produzione di luce come un’esca per attirare le prede, come nel caso della “rana pescatrice” (si tratta di un pesce). Più spesso invece si tratta di un meccanismo difensivo o di comunicazione con gli individui della stessa specie. Nell’ambiente terrestre, in particolare in Italia, gli insetti bioluminescenti più diffusi sono Lampyris nocticula e Lucciola italica ed emettono luce a scopo riproduttivo, per attirare il maschio e favorire l’accoppiamento. Nell’ambiente acquatico la bioluminescenza è diffusa sia nelle acqua superficiali che in quelle profonde, sia nelle zone bentoniche che in quelle pelagiche. Ricordiamo che la prima è costituita dal fondale oceanico o marino dove vivono organismi sessili, spugne, coralli, vermi, molluschi, bivalvi, crostacei, pesci. La seconda è rappresentata dall’oceano vero e proprio dove vivono organismi che galleggiano trasportati dalle correnti o che nuotano liberamente. Sono molti gli animali marini che per l’emissione di luce sfruttano, in una relazione di simbiosi,  batteri che sono in grado di produrre bioluminescenza. Altri microrganismi, soprattutto dinoflagellati e radiolari, emettono luce in particolari periodi dell’anno, seguendo precisi ritmi circadiani, probabilmente a scopo riproduttivo o di difesa. È il caso del protozoo Noctiluca scintillans che a gruppi di milioni, i particolari periodi, determinano sulla superficie marina scie luminose che attirano pesci che si nutrono dei copepodi, suoi predatori.  Altri due gruppi caratterizzati da bioluminescenza propria sono Ctenofori e soprattutto Celenterati, ai quali appartengono le numerose meduse luminescenti, come Aglaophenia octodonta diffusa in tutto il Mediterraneo.

Negli anni ’60 del secolo scorso, lo studio della bioluminescenza nella medusa Aequorea victoria del Pacifico occidentale, portò lo scienziato Osamu Shimomura ad isolare l’equorina, una fotoproteina variante della luciferina. Successivamente venne individuata una proteina accessoria, la GFP (Green Fluorescent Protein) che trasformava la luce prodotta da blu a verde. Quest’ultima proteina ha avuto molte applicazioni mediche come marcatore cellulare per osservare con appositi strumenti i processi di crescita e sviluppo delle cellule. Queste scoperte e le applicazioni che ne sono derivate hanno portato Shimomura, Roger Tsien e Martin Chalfie a ricevere il premio Nobel per la chimica nel 2008.

Per approfondimenti: The Bioluminescence Web Page  il sito dell’Università Santa Barbara in California.  URL:  http://www.lifesci.ucsb.edu/~biolum/ 

Le due foto presentate sono tratte da: http://www.lifesci.ucsb.edu/~biolum/organism/photo.no.frame.html

 

biolumin-2-bathyctena

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

bioluminescenza0101