C’è vita nelle rocce dei fondali oceanici

bacteria on stones     Un gruppo di ricercatori dell’Università di Tokyo lo scorso 2 aprile ha pubblicato un articolo in Communications Biology della rivista Nature: Deep microbial proliferation at the basalt interface in 33.5–104 million-year-old oceanic crust”. La ricerca iniziò dieci anni fa, nel 2010, nelle acque dell’Oceano Pacifico a nord della Nuova Zelanda. I ricercatori, con un tubo metallico lungo oltre 5 km, collegato a una trivella, prelevarono dal fondale alcuni campioni di roccia fino a 125 m di profondità dalla superficie del fondale. I campioni riguardavano età differenti delle rocce, da circa 13 milioni di anni a 104 milioni di anni.

     Nelle fratture delle rocce basaltiche del fondale sono stati identificati numerosi batteri aerobi, in grado di proliferare grazie alle sostanze nutritive e all’ossigeno che arriva con l’argilla della superficie del fondale. Solitamente numerose forme di vita si osservano sui fondali in prossimità di sorgenti idrotermali o emissioni di gas di origine vulcanica. Questo caso invece non erano presenti neanche correnti che avrebbero potuto trasportare i batteri, inoltre in rocce di differente età erano presenti specie batteriche simili.

     Forme di vita trovate in posti inaspettati e l’applicazione di una nuova tecnica di indagine hanno impreziosito la ricerca. Anziché frantumare e polverizzare i campioni di roccia estratti, il team di ricerca ha analizzato esclusivamente le fenditure del basalto, applicando una resina indurente che manteneva forma e dimensioni naturali delle fessure. In tal modo, tagliando sottilissime “fettine” del materiale delle fessure, le hanno analizzate con tecniche e coloranti che evidenziavano la presenza di molecole di DNA e, indirettamente, le forme di vita ad esso associate. In questo caso, batteri.

     I batteri sono un vasto regno (Bacteria) di organismi procarioti unicellulari diffusissimi sul Pianeta, di dimensioni variabili da 0,2 micron a 30 micron. Il regno Bacteria, insieme al regno Archaea, costituisce il dominio Prokariota, secondo la classificazione proposta nel 2003 da Thomas Cavalier-Smith. L’altro dominio è quello degli Eukaryota che comprende eucarioti unicellulari e pluricellulari. Nella precedente tassonomia (1969), di Robert Whittaker, ancora seguita da alcuni autori, i batteri costituivano il regno delle monere.

     Secondo gli autori della ricerca, l’argilla delle fessure delle rocce basaltiche dei fondali oceanici ha una composizione mineralogica, un pH e temperature basse simili a quelle del suolo marziano. Se è vero che è impossibile trovare forme di vita, anche arcaiche, sulla superficie del suolo di Marte, bombardato da radiazioni cosmiche, i risultati della ricerca giapponese lascia aperta la speranza di poter trovare eventuali forme di vita (archei o batteri) alcuni metri o decine di metri sotto la superficie di quel pianeta, associate alla presenza di acqua, anche solo sotto forma di umidità. Qualche probabilità, niente di più, inutile creare suggestioni e attese. Le storielle sulla vita marziana servono solo ad alimentare la fantasia dell’opinione pubblica e condizionare la politica per giustificare l’investimento di enormi capitali economici per realizzare le missioni umane su Marte. Crediti immagine iniziale: Shutterstock.com . Sedimenti_fondale_oceanico

Il batteri più pericolosi secondo l’OMS

 

Antibiotici: belli, invitanti ma potenzialmente pericolosi. Da utilizzare solo se prescritti dal medico.

     Meno di un anno fa, alla vigilia del G20 di Berlino di marzo 2017, l’Organizzazione Mondiale della Sanità per richiamare l’attenzione sul grave problema della diffusione del fenomeno della resistenza batterica agli antibiotici, pubblicava la lista dei dodici tipi di batteri più pericolosi per l’uomo. Questo per spingere la ricerca verso nuovi tipi di antibiotici e per sollecitare la popolazione e la comunità dei medici ad un utilizzo “oculato”, mirato e attento degli antibiotici, solo nei casi di effettiva necessità, in considerazione dell’elevata capacità di modificazioni geniche dei batteri che ne sviluppano la resistenza. Il problema è aggravato dall’uso di antibiotici a scopo preventivo negli allevamenti intensivi (bovini, suini, avicoli soprattutto) da carne.

     L’elenco è diviso in tre categorie di batteri, a seconda dell’urgenza e della necessità di nuovi antibiotici. Si hanno così le tre priorità: fondamentale, elevata, media.

     Appartengono al primo gruppo, i più pericolosi perché resistenti a molti antibiotici: Acinetobacter, Pseudomonas e batteri della famiglia delle Enterobacteriaceae (Klebsiella, E. coli, Serratia e Proteus). Resistenti a più farmaci, possono causare infezioni gravi o mortali, spesso anche in ospedali e case di cura. Seguono gli altri due gruppi.

Ecco l’elenco segnalato dall’OMS:

Priorità fondamentale

Acinetobacter baumannii, resistente ai carbapenemi

Pseudomonas aeruginosa, resistente ai carbapenemi

Enterobacteriaceae*, resistente ai carbapenemi , resistenti alle ciclosporine di 3a generazione.

Priorità elevata

Enterococcus faecium, resistente alla vancomicina

Staphylococcus aureus, resistente alla meticillina, intermediato e resistente alla vancomicina

Helicobacter pylori, resistente alla claritromicina

Campylobacter, resistente ai fluorochinoloni

Salmonella spp., resistente ai fluorochinoloni

Neisseria gonorrhoeae, resistenti alle ciclosporine di 3a generazione, resistente ai fluorochinoloni.

Priorità media

Streptococcus pneumoniae, non suscettibile alla penicillina

Haemophilus influenzae, resistente all’ampicillina

Shigella spp., resistente ai fluorochinoloni.

Il documento completo dell’OMS con le raccomandazioni del gruppo di lavoro. Crediti: https://amr-review.org/ ; http://www.who.int/en/ .

Considerando che quest’inverno, solo in Italia, l’influenza ha colpito alcuni milioni di persone, più degli altri anni, e che spesso è stata accompagnata da complicanze batteriche che nei casi più gravi hanno provocato il decesso dei pazienti, bisognerebbe dare il giusto rilievo all’allarme sui batteri resistenti agli antibiotici.

 

Combattere le zanzare col Bacillus thuringiensis

B_thurigiensis     Ovunque c’è dell’acqua stagnante, sottovasi sui balconi, contenitori d’acqua per gli orti, le zanzare vanno a nozze. Qui depongono le loro uova da cui si sviluppano le larve a migliaia, che diventeranno zanzare adulte dopo la metamorfosi.

     In questo periodo, gli scaffali degli ipermercati sono pieni di vari prodotti per combattere questi fastidiosissimi insetti. Contro le larve sono in commercio anche efficaci prodotti biologici: è il caso del Bacillus thuringiensis, un batterio scoperto oltre un secolo fa e utilizzato da alcuni decenni in agricoltura biologica. Infatti è stato constatato che vive normalmente nel terreno e, se ingerito da molte specie di insetti, soprattutto lepidotteri e ditteri (a cui appartengono anche le zanzare) libera tossine che danneggiano il tratto digerente delle larve provocandone la morte.

     Una specie di batterio particolarmente utile per l’uomo, anche perché secondo la letteratura di settore è innocuo per il nostro organismo, in caso di ingestione. Il pH gastrico molto basso e la mancanza di specifici enzimi digestivi importanti per l’attivazione delle tossine, secondo gli studiosi ci pongono al sicuro nei confronti di questo Bacillus.

     Per essere efficace nei trattamenti contro le larve di zanzara, il prodotto non deve essere scaduto né essere stato conservato alla luce diretta del Sole o a temperature oltre i 25°C.

     La varietà di Bacillus thuringiensis più utilizzata nelle disinfestazioni civili (città, giardini, zone industriali) e agricole (risaie) contro le zanzare è la israelensis. La varietà Kurstaki invece è utilizzata per la lotta alla processionaria che colpisce varie specie vegetali e le cui larve rappresentano un pericolo anche serio per le persone più sensibili.

Larve_zanzara     Come per tutti i batteri (organismi procarioti, molto più semplici degli eucarioti), il genoma del B. thuringiensis è facilmente manipolabile in laboratorio e, negli USA, i geni che codificano la tossina sono stati estratti e utilizzati per ottenere piante transgeniche che, durante la loro crescita, producono anche la tossina in grado di combattere gran parte degli insetti parassiti. In diversi Paesi, in agricoltura si fa un ampio ricorso alle tecniche di manipolazione geniche e clonazione, per ottenere varietà vegetali in grado di resistere a determinati agenti patogeni. In genere, per per introdurre nuovi geni in cellule vegetali che poi saranno “coltivate” fino ad ottenere l’intero individuo, si usano i plasmidi. Questi ultimi sono piccoli anelli di DNA, che si trovano nei procarioti e nei lieviti, in grado di duplicarsi autonomamente rispetto al cromosoma principale. Tali plasmidi sono utilizzati come vettori di geni estranei da introdurre nella cellula.

     Negli USA, almeno il 50% del mais e il 75% circa del cotone e della soia coltivati, sono stati ottenuti con tecniche di manipolazione genetica (dati: Campbell, Reece, Taylor, Simon, Dickey, 2012, www.linxedizioni.it . In altri Paesi, tra cui l’Italia, ci sono molti problemi di carattere etico e normativo sull’utilizzo di piante geneticamente modificate, per cui anche la ricerca in questo settore purtroppo è molto limitata.

Per saperne di più sul Bacillus thuringiensis: http://www.bt.ucsd.edu/ e http://www.polumetla.com/research/bacillus-thuringiensis/ (in inglese).

Crediti immagine B. thuringiensis: www.polumetla.com . N.B. Le immagini non sono in proporzione! In realtà il batterio è migliaia di volte più piccolo delle larve di zanzara.

Video: Larve di zanzara. Video della NPIC (USA): https://www.youtube.com/watch?v=3aLj1WmzL98 .  

SOS ulivi: arginare la diffusione della Xylella fastidiosa

     Come capita spesso, piove sul bagnato. L’annata 2014 per l’olivicoltura è stata una delle peggiori degli ultimi decenni, con una netta diminuzione della produzione. Non bastava l’attacco di Xylella fastidiosa che sta falcidiando gli olivi del Salento, in Puglia; l’annata particolarmente piovosa ha facilitato la diffusione della mosca Bactrocera oleae. Questo parassita ha praticamente dimezzato la produzione di olive e olio nell’Italia centrale.

     In queste Regioni però il problema della mosca olearia è temporaneo, stagionale, ben diverso dalla gravità degli attacchi di Xylella che rischiano di distruggere o far abbattere gran parte degli ulivi anche secolari della Puglia. La Xylella fastidiosa è un batterio (in realtà sono diverse varietà di batteri) che attacca l’ulivo e le viti, in grado di spostarsi su altre specie di piante, veicolato da alcuni insetti, soprattutto Philaenus spumarius. Come agisce la Xylella? Prolifera e si diffonde nei vasi xilematici delle piante colpite e li ostruisce fino a provocare la morte dei rami ad essi collegati.

     Il batterio è arrivato da pochi anni in Europa, si pensa nel 2008, determinando l’imbrunimento delle chiome e la conseguente morte delle piante colpite. Da una parte, il calo della produzione di olive ed olio ha determinato un aumento dei prezzi per i consumatori, dall’altra la rapida diffusione del batterio patogeno nel Salento sta cambiando il paesaggio delle zone colpite: decine di migliaia di ulivi morti, motoseghe che lavorano a pieno ritmo per l’abbattimento di quelli colpiti dall’epidemia.

     Per arginare l’infezione o ridurne la velocità di diffusione e consentire la ricerca di efficaci metodi di prevenzione e cura (oggi non ne esiste alcuna) delle piante colpite, alcuni comuni hanno deciso di eliminare le piante infette o in fase di infezione, con specifiche ordinanze. Si tratta di un piano anti-epidemia predisposto dal commissario Giuseppe Silletti che ha ricevuto il benestare delle varie Istituzioni e un finanziamento di circa 13 milioni di euro, da attuare fino al prossimo otto agosto.

     La zona definita infetta, più una zona “cuscinetto”, corrisponde al territorio di tutta l’ex Provincia di Lecce. Sperando che gli abbattimenti da una parte e i trattamenti chimici contro gli insetti che lo trasmettono dall’altra, siano efficaci. Le conseguenze di queste decisioni sono drammatiche sulle popolazioni che vivono di olive, olio e turismo, sul bellissimo paesaggio del Salento, ma non intervenire farebbe estendere il dramma al resto della Puglia e progressivamente alle altre Regioni.

     Intanto i centri di ricerca fitosanitaria si stanno attivando per cercare possibili rimedi chimici e biologici, per sperimentare l’utilizzo di varietà di piante autoctone e verificare se sono resistenti al batterio parassita. La riduzione della biodiversità agricola degli ultimi decenni purtroppo facilita la diffusione di eventuali specie dannose. Tra le pratiche agricole utili a contrastare la diffusione dei vettori del batterio si suggerisce anche l’aratura dei campi delle zone infette, o sospettate di essere infette, in tempi brevi. Sono stati predisposti anche interventi a base di insetticidi entro il 30 maggio e entro il 30 luglio. Il contrasto dell’epidemia potrebbe richiedere anni, anche perché alcuni ritengono che sia meglio non fare nulla, aspettando che la natura stessa permetta di sviluppare una resistenza nelle piante colpite. Mi ritorna in mente la diffusione della “grafiosi dell’olmo” della seconda metà del secolo scorso, provocata dal fungo ascomicete Ophiostoma ulmi che ha portato alla morte in Italia del 100% degli esemplari adulti di olmo campestre (Ulmus campestris, U. minor). Sopravvivono le piccole piante, arbustive e alcune specie esotiche, tra cui l’olmo siberiano, Ulmus pumila,utilizzato nelle alberate urbane e nei parchi.

     L’olmo però non ha la stessa importanza economica, paesaggistica, affettiva e agro-forestale dell’ulivo, perciò si spera che per difendere gli ulivi e le viti si attivi la ricerca di rimedi efficaci e che si pongano subito in atto idonee pratiche di prevenzione. Intanto la domenica delle palme, il prossimo 29 marzo, nel Salento sarà celebrata senza i tradizionali ramoscelli di ulivo, per non facilitare la diffusione del contagio.

Per approfondire: Opuscolo della Regione Lazio sulla Xylella fastidiosa .

Opuscolo della Regione Toscana .

Video:Zona di Parabita; video tutorial di Coldiretti Puglia;

In alto: foglie e rameti di ulivo sani; sotto: foglie, rametti e frutti secchi a causa della Xylella. 

Batteri patogeni: Clostridium difficile

In ospedale si va quando si sta male, si va per guarire. Qualche volta però in ospedale ci si ammala e si può anche morire. È capitato anche di recente: sei o sette persone ricoverare per motivi diversi in un ospedale, nello stesso letto nell’arco di alcuni mesi sono morte. In un’altra Regione d’Italia, alcuni pensionati mi raccontavano che diversi loro conoscenti, ricoverati in condizioni non gravi in una clinica privata, sono morti in successione, in pochi mesi.

batterio_struttura     Riguardo il primo episodio è in atto un’indagine interna dell’ospedale e una della magistratura per accertare i fatti. Secondo l’agenzia AdnKronos negli ultimi tre anni, solo in Italia ci sono stati almeno 22.000 morti per infezioni contratte in ospedale. Ma perché in ospedale a volte ci si può ammalare e morire? Naturalmente si tratta di un luogo dove si concentrano molti tipi di malattie e di microrganismi che le determinano, soprattutto batteri e virus. Molti di questi batteri vivono tranquillamente nel nostro intestino e sulla nostra pelle, senza proliferare in modo incontrollato.

batteri-legionella-239x300     Ma può capitare che le difese immunitarie siano molto deboli oppure che, in seguito ad una massiccia dose di antibiotici,  alcuni batteri (utili) si riducano di numero e lascino proliferare in modo massiccio quelli potenzialmente pericolosi.

Uno di questi ultimi è il Clostridium difficile, presente nell’intestino umano e anche nelle acque contaminate da rifiuti organici. Quando la loro quantità aumenta in modo notevole nell’intestino, rilascia tossine che possono attaccare la mucosa intestinale prima e altri distretti dell’organismo poi.

Il primo indiziato per le morti in ospedale, quando queste persone non erano entrate in condizioni molto gravi, è proprio questo batterio a forma di bastoncello (bacillo) appartenente alla famiglia delle Clostridiaceae.

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Dal punto di vista didattico, gli eubatteri (o bacteria, da non confondere con gli archeobatteri o archea) possono essere classificati in vari gruppi, soprattutto a seconda della loro forma. Oltre ai bacilli, se la forma è sferica si hanno i cocchi, i diplococchi, gli streptococchi se riuniti in catene, gli stafilococchi se formano colonie tabulari. Se hanno forma di virgola sono denominati vibrioni, se hanno una forma a spirale sono detti spirilli. Altre modalità di classificazione tengono conto della loro dipendenza dall’ossigeno atmosferico, perciò possono essere aerobi o anaerobi. Se invece si considera il modo in cui ricavano l’energia per sopravvivere, possono essere autotrofi (chemiosintetici o fotosintetici) oppure eterotrofi. Se si considera la loro reazione alla colorazione di Gram (Hans Christian Gram, 1853-1938, medico danese) possono essere suddivisi in Gram positivi e Gram negativi.

Alcuni esempi: Bacillus anthracis è responsabile dell’antrace o carbonchio; Streptococcus pyogenes è responsabile di molte faringiti e può determinare anche gravi complicazioni; Vibrio parahaemolyticus può infettare molluschi e crostacei che se consumati crudi causano seri problemi intestinali; Spirillum minus è un comune parassita del tratto respiratorio di alcuni roditori.

Col passare degli anni si è scoperto che i batteri presenti all’interno e sulla pelle del nostro corpo hanno un ruolo insospettato e molto importante per la nostra vita. Dal 2007 i National Institutes of Health statunitensi hanno promosso lo “Human Microbioma Project” per chiarire il ruolo del microbioma umano. Fino ad oggi sulla pelle sana delle persone sono state individuate oltre cinquecento specie di batteri! Sicuramente molti di loro svolgono una funzione difensiva del nostro corpo rispetto a quelli patogeni.

Il medico di famiglia potrà senz’altro essere più chiaro sull’argomento, in caso di infezioni. Questo breve post ha solo fine divulgativo e in nessun caso può considerarsi diversamente.

In questo blog, a proposito di batteri, vedi anche “Una resistenza pericolosa”, “Il colera dopo il terremoto”.

Nelle immagini: struttura generale di un batterio (credit: chsweb.lr.k12.nj.us); batteri della legionella (credit: lne.eu); clostridium difficile (in rosso, credit: news.bbc.co.uk).

 

Su Marte trovati gli ingredienti per la vita

curiosity_Marte-300x199      Si tratta di uno dei maggiori successi della missione che ha portato il rover Curiosity su Marte. In un insieme di sei articoli della rivista americana Science, presentati dall’Unione Geologica Americana qualche giorno fa a San Francisco, si conferma che nel cratere Gale il rover della NASA ha trovato carbonio, azoto, idrogeno, fosforo e zolfo. Tutti elementi che rendono plausibile l’ipotesi che su Marte ci sia stata qualche forma di vita. Potrebbe essersi trattato di batteri che avremmo classificato nel dominio Archea, molto primitivi, chemiolitoautotrofi in grado di ricavare energia dalle sostanze chimiche presenti nelle rocce della crosta marziana.     Altri indizi indicano che nel cratere in passato c’è stata acqua con un pH neutro e una bassa salinità. Gli archeobatteri che conosciamo sulla Terra sono organismi unicellulari con cellule procariote che vivono negli ambienti estremi del pianeta: sorgenti idrotermali, saline, fondali marini e oceanici in prossimità di fuoriuscita di materiali lavici o gassosi provenienti dall’interno della crosta oceanica.

Su Marte, pur non essendo state trovate direttamente forme di vita, sono stati trovati gli ingredienti necessari e un ambiente adatto per forme semplici di vita. Poiché l’area esplorata è molto, molto piccola rispetto all’intera superficie del pianeta rosso, siamo autorizzati ad ipotizzare la presenza di molti altri siti adatti per la vita microbica. Allo studio, oltre alla NASA, hanno partecipato l’Istituto di Scienze Planetarie di Tucson (Arizona) e il famoso Caltech (California Institute of Technology). Intanto l’attività di ricerca e analisi di Curiosity continua: saranno analizzate altre rocce per ulteriori conferme sull’eventuale presenza passata di elementari forme di vita.

Referenze per l’immagine di Curiosity: NASA/JPL-Caltech.

Video dei festeggiamenti NASA-Caltech e di Curiosity al lavoro su Marte, dopo un anno dall’arrivo (NASA-JPL).