La nostra casa comune

La Santa Sede, in particolare il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, e l’Istituto per l’Ambiente di Stoccolma, hanno elaborato congiuntamente e pubblicato una guida per prendersi cura del nostro pianeta Terra. Il libretto (9 MB) in pdf si può scaricare a questo link: La nostra casa comune | SEI .

Il volumetto si ispira alla seconda enciclica di Papa Francesco, “Laudato si’, sulla cura della casa comune”, che rintraccia le radici della nostra crisi ecologica nel consumo eccessivo e negli attuali modelli di sviluppo economico. Fa riferimento al fatto che sul nostro pianeta tutto è collegato e che anche il clima è un bene comune, di tutti e per tutti e che la crisi climatica è una grave minaccia per la nostra sicurezza e per la natura. Non mancano i riferimenti all’economia dei combustibili fossili, considerata causa principale del riscaldamento globale. Si richiedono cambiamenti radicali, anche se non possono che essere graduali:

Con un’azione drastica per eliminare rapidamente le emissioni di gas serra, possiamo limitare l’aumento della temperatura e prevenire le conseguenze più pericolose. Nel 2015, quasi 200 Paesi hanno firmato un accordo a Parigi per bloccare l’aumento della temperatura a 1,5 gradi Celsius, ma non si è agito abbastanza velocemente. Il prossimo decennio sarà decisivo.

È necessario niente di meno che un cambiamento completo nelle nostre economie e società. Dobbiamo: a) fermare la deforestazione; b) cambiare il modo in cui consumiamo il cibo e coltiviamo la terra; c) produrre energia senza combustibili fossili con una conversione completa all’energia pulita”.

Di notevole importanza sono i riferimenti alla biodiversità, fondamento della sopravvivenza e del progresso umano, nonché all’acqua potabile sicura, come diritto umano essenziale, fondamentale e universale. Un altro tema centrale della pubblicazione è l’aria, con la sua composizione e l’inquinamento che uccide più di quattro milioni di persone ogni anno, senza dimenticare che l’inquinamento domestico è causa di innumerevoli malattie tra le popolazioni più povere. Molto importanti anche i riferimenti al cibo, all’agricoltura intensiva che ha rimodellato il pianeta ed ha un impatto ambientale e sociale devastante e diffuso su gran parte della Terra. La pubblicazione continua con riferimenti al modello consumistico e alle azioni necessarie da mettere in atto noi tutti per iniziare a superare l’attuale crisi ambientale e le conseguenze devastanti, anche per modelli economici sbagliati, su una parte considerevole della popolazione mondiale. Vedi: Stockholm Environment Institute: bridging science and policy (sei.org) .

Piccoli eroi di ieri e di oggi

Dante Iagrossi. Sono tantissimi i cani che, sia nel passato che in anni recenti, non hanno esitato a mettere a repentaglio la propria vita, per salvare quella non solo dei propri cuccioli ma anche di persone. A volte balzati agli onori della cronaca, a volte rimasti nell’anonimato, o dimenticati troppo presto.

Sergente Stubby, decorato

Nel Novecento ci sono stati diversi cani impiegati in guerra. Nel primo conflitto mondiale, un posto speciale spetta a Stubby, sergente mascotte del reggimento Usa 102, che partecipò a 17 battaglie nel corso di 18 mesi. L’impresa maggiore fu il salvataggio del suo gruppo da vari attacchi nemici con gas asfissianti. Un altro cane statunitense, nella stessa guerra, durante l’offensiva di Meuse-Argonne, riuscì a consegnare un messaggio decisivo, anche se i bombardamenti chimici gli danneggiarono la vista.

Balto

Invece nel 1925 Balto, Husky siberiano, cane da slitta, trasportando l’antitossina difterica, per oltre 600 miglia, salvò la vita di molti bambini della città di Nome (Alaska). Il suo valore fu riconosciuto da una statua nel Central Park di New York e con l’istituzione di una gara di corsa annuale in suo nome.

Bobby, Pitbull terrier, di Wellstone (Oklahoma) salvò le due padrone con cui viveva da un pericoloso incendio, facendo molto rumore per svegliarle e mettersi in salvo. Inoltre tornò in casa per salvare anche i cinque cani meticci che vivevano con loro.

Lefty, un altro Pitbull, si è introdotto tra il suo padrone ed un estraneo, che gli sparava con il fucile. Ha così perduto una gamba, ma è poi ritornato in salute grazie alle cure veterinarie, pagate da offerte in rete.

Frida

Frida, labrador messicano, ha salvato più di 50 persone, scavando tra le macerie di case, dopo il terribile terremoto del 2017 (da 7,1 gradi Richter), che colpì il Messico meridionale.

Rossella, femmina di Labrador, nell’attentato alle Torri Gemelle, salvò il padrone Michel, non vedente, ed anche una trentina di persone, guidandole in mezzo al fuoco, al fumo e ai detriti, per ben 80 piani, fino a terra.

Rossella col padrone

Questi cani, balzati agli onori della cronaca, insieme ad una moltitudine di altri rimasti sconosciuti, dimostrano chiaramente un coraggio indomito e decisivo in differenti situazioni difficili. Un altruismo davvero nobile e disinteressato, che li ha a volte portati persino alla morte, come nella difesa dei padroni da animali ben più grandi di loro o da serpenti velenosi o da criminali armati.

Da notare il fatto che molti di loro non avevano nessuna nessuna forma di addestramento. Evidentemente il loro istinto primordiale di sopravvivenza è stato messo da parte, mentre in noi a volte è preponderante. Dante Iagrossi, (foto da Pixabay). 

Il lago Tanganica e la sua protezione ambientale

Il Tanganica è uno dei grandi laghi dell’Africa orientale, uno dei laghi situati lungo la grande Rift Valley. È il secondo lago più profondo del mondo, con i suoi 1470 metri, dopo il lago Baikal situato in Siberia (Russia). Il Tanganika si trova al confine tra quattro Stati africani: Tanzania, Repubblica Democratica del Congo, Burundi e Zambia. Paesi che sono riusciti ad accordarsi per la protezione di questo particolare ecosistema ed un uso controllato delle sue risorse.

La decisione è particolarmente interessante e da esempio per altri Stati perché questi, pur non essendo Paesi ricchi, né in via di sviluppo come i famosi BRICS di cui tanto si è parlato nelle settimane scorse, hanno sospeso la pesca nel Tanganica per almeno tre mesi per valutare poi altre decisioni. Bisogna ricordare che il lago, con la sua fauna ittica, fornisce sostentamento ad alcuni milioni di persone che vivono lungo le sue rive. Si tratta perciò di una misura radicale e di uno sforzo enorme per le popolazioni, con lo scopo di proteggere la biodiversità del più antico lago della Rift Valley africana, infatti si è formato circa 12 milioni di anni fa ed è destinato ad essere il primo bacino d’acqua del nuovo oceano che sta nascendo in quella fossa tettonica che si estende dal Mozambico verso Nord fino al Mar Rosso e al Mar Morto del Medio Oriente.

Il Tanganica è la maggiore riserva d’acqua dolce dell’intera Africa e. secondo l’Agenzia di Stampa Congolese, è l’ambiente in cui vivono quasi 400 specie ittiche, decine di specie di gasteropodi e circa 500 specie di organismi acquatici endemici, che non si trovano in altre parti del Pianeta. Contrariamente al lago Vittoria, che fornisce le sue acque al Nilo, il lago Tanganica ha come emissario il fiume Lukuga che poi confluisce nel grande fiume Congo che sfocia nell’Oceano Atlantico.

Molti Paesi ricchi o in via di sviluppo raramente hanno fatto sacrifici tanto significativi, come quelli di questi quattro Stati, per la protezione dell’ambiente. Ma in questa regione e nel resto dell’Africa non mancano i disastri provocati dalle attività umane e/o dai mutamenti climatici in atto.

Al World Food Programme il Nobel per la Pace 2020

Il Comitato del Nobel, da Oslo in Norvegia, oggi ha annunciato che il Premio Nobel per la Pace 2020 è stato assegnato ad un’istituzione delle Nazioni Unite: Il Programma Alimentare Mondiale, “per i suoi sforzi nel contrastare la fame, per il suo contribuito nel migliorare le condizioni di pace nelle aree interessate da conflitti e per essere determinante negli sforzi di prevenzione delle guerre che sfruttano la fame come arma”.

Il Programma alimentare mondiale o World Food Programme (WFP), è un’agenzia dell’ONU che si occupa di promuovere la sicurezza alimentare nel mondo, quindi si impegna per garantire che non ci siano intere popolazioni a soffrire la fame, a causa di conflitti bellici o crisi di altro tipo. Il WFP è finanziato attraverso donazioni volontarie di governi e privati e, secondo i dati, fornisce assistenza alimentare mediamente a circa 91 milioni di persone all’anno.

Le ultime grandi crisi in cui è stato impegnato il WFP che ha sede a Roma, la stessa sede della FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura), sono state quella della Siria e quella dello Yemen e ancora adesso sta sostenendo con forza centinaia di migliaia di profughi siriani nei campi di accoglienza della Giordania. Inoltre, “In tempi di pandemia il World Food Programme ha dimostrato incredibili capacità nella lotta contro la fame nel mondo”, dichiara il Comitato del Nobel.

Contrariamente alle posizioni dell’attuale Presidente USA che ha tagliato i finanziamenti per le Nazioni Unite, il Programma alimentare mondiale fu fondato nel 1961 su iniziativa dell’allora presidente statunitense Dwight Eisenhower, e il suo primo intervento di sviluppo venne avviato nel 1963. Divenne Programma ufficiale dell’ONU nel 1965.

Riferendosi anche alle iniziative anti-ONU del Presidente USA, il Presidente del Comitato del Nobel (un gruppo di cinque persone elette dal Parlamento di Oslo) ha dichiarato che “Oggi le istituzioni internazionali come il Wfp sono in affanno a causa di populismi e nazionalismi che screditano le agenzie di cooperazione ed è difficile per loro ricevere il supporto finanziario”.

Crediti: https://www.nobelpeaceprize.org/ . https://notizie.tiscali.it/esteri/articoli/nobel-pace-00001

L’AMAZZONIA È IN FIAMME

Gli ultimi anni sono stati caratterizzati da ondate di calore, incendi e fenomeni meteorologici estremi che hanno interessato molte regioni del Pianeta. Negli ultimi giorni invece, centinaia gli incendi appiccati contemporaneamente in varie località della foresta stanno devastando l’Amazzonia, considerata il polmone verde della Terra. Oltre 74.000 incendi negli otto mesi del 2019, quasi raddoppiati rispetto al 2018.
Se il 50% circa dell’ossigeno atmosferico viene prodotto dalla fotosintesi di alghe (anche microscopiche) di oceani e mari, almeno un altro 20%, secondo gli studiosi viene prodotto dalla più estesa foresta pluviale del Pianeta, l’Amazzonia appunto. Non solo, alghe e piante terrestri ogni anno assorbono gran parte dell’anidride carbonica prodotta sul nostro pianeta in quantità sempre più massicce a causa dell’uso smodato di risorse energetiche fossili.
L’Amazzonia, estesa su diversi Paesi ma soprattutto in Brasile, costituisce anche una fondamentale riserva di biodiversità animale e vegetale da preservare a tutti i costi, anche se il Presidente brasiliano Jair Bolsonaro ha dichiarato ieri di non avere né i mezzi né gli uomini necessari per fronteggiare un simile disastro. Sulle cause degli incendi poi, ha dato la colpa sia agli agricoltori sia alle ong ambientaliste che, a suo dire, vogliono attirare l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale per vendicarsi degli tagli ai loro finanziamenti decisi dal suo governo. Una dichiarazione paradossale. Intanto Norvegia e Germania, i due principali finanziatori del “Fondo Amazzonia” destinato alla protezione di questa foresta, hanno sospeso le loro donazioni, in polemica con gli atteggiamenti e le dichiarazioni di Bolsonaro.
Poche ore fa il Presidente francese Macron ha invocato la crisi internazionale sugli incendi in Amazzonia, chiedendo di inserire il problema nell’agenda del prossimo G7 previsto tra qualche giorno a Biarritz in Francia. Ma il Presidente brasiliano ha accusato quello francese di neocolonialismo e di intromettersi in fatti interni al Brasile. Altra situazione paradossale. Intanto, mentre si litiga e in attesa di mutamenti meteorologici che possano circoscrivere gli incendi, l’Amazzonia continua a bruciare e il fumo è tale che ha oscurato il cielo di molte città, anche a migliaia di chilometri di distanza.
Video: Euronews; La Repubblica; Quotidiano.net; La Stampa. Amazzonia_roghi

L’astrofisica signora delle pulsar

Jocelyn_Bell     Si chiama Jocelyn Bell Burnell l’astrofisica che circa cinquant’anni fa scoprì le pulsar durante il suo dottorato a Cambridge, sotto la supervisione del radioastronomo Anthony Hewish. Durante le sue ricerche, individuò per caso un radiosegnale anomalo che compariva e scompariva a intervalli regolari di 1,4 secondi. Il segnale proveniva sempre dalla stessa regione del cosmo e si spostava alla stessa velocità delle stelle circostanti. Cercò di individuarne la causa e, dopo averne escluse alcune, tra le quali un segnale proveniente da entità intelligenti aliene, ipotizzò che potessero provenire da particolari stelle. Nel frattempo aveva individuato altri tre segnali simili provenienti da altre regioni dell’Universo.
Bell Burnell aveva scoperto le pulsar, stelle di neutroni quindi ultracompatte, con un’altissima velocità di rotazione e un campo magnetico molto potente. Stelle che durante la rotazione sul loro asse, anche più volte al secondo, emettono deboli fasci di luce come quelli osservabili e provenienti da un lontanissimo faro. Sulla Terra questo debole fascio di luce viene registrato come brevissime pulsazioni o frequenze, per questo furono chiamate pulsar.
La scoperta delle pulsar meritò l’assegnazione del Premio Nobel per la fisica nel 1974 che però non venne assegnato a Jocelyn Bell Burnell, ma al suo supervisore e all’altro radioastronomo britannico Martin Ryle. Secondo la maggioranza della comunità scientifica fu un’ingiustizia e una discriminazione per la ricercatrice, perché donna e perché all’epoca era ancora dottoranda, oltre che nata in Irlanda del Nord.
Poche settimane fa, come una sorta di riparazione per la mancata assegnazione del Nobel e per il suo costante impegno contro le discriminazioni accademiche di donne e giovani ricercatori, le è stato assegnato il prestigioso 2018 Special Breakthrough Prize per la Fisica Fondamentale, il premio scientifico più ricco (ma meno conosciuto) del Nobel, che prevede l’assegnazione di una somma di 3 milioni di dollari. Bell Burnell ha annunciato che il premio sarà investito per la sua battaglia contro la discriminazione scientifica e accademica, finanziando borse di dottorato per le minoranze poco rappresentate anche se meritevoli.
Il valore dello Special Breakthrough Prize è dovuto anche alla rarità della sua assegnazione: finora è stato assegnato solo altre tre volte: a Stephen Hawcking, agli scienziati del CERN di Ginevra e a quelli della collaborazione LIGO. Un premio, quindi, estremamente prestigioso.
Il Planetario di Torino Infini.TO ha organizzato per ieri sera, in Piazza Castello al Teatro Regio, un seguitissimo incontro aperto al pubblico con Jocelyn Bell.
Per saperne di più: Pulsar; Jocelyn Bell; YouTube; Jocelyn Bell Burnell at Perimeter: The Discovery of Pulsars.
Nell’immagine in basso: Foto storica (1968) della dottoranda Jocelyn Bell davanti al Mullard Observatory di Cambridge. Crediti: Daily Herald e archive/SSPI/Getty. Infini.TO. Jocely_Bell_1968

Nazca – Sudamerica: uno scontro titanico

nazca-sudamerica     La prima è una placca interamente oceanica che è ricoperta dalla parte sud orientale dell’oceano Pacifico. La seconda è una placca di maggiori dimensioni per metà circa continentale e per l’altra metà oceanica, infatti occupa tutto il Sudamerica e una parte dell’oceano Atlantico fino alla dorsale medio-atlantica. Il margine tra queste due placche è distruttivo o convergente o di compressione perché la placca di Nazca, più densa è in subduzione (inabissamento) lenta ma inesorabile sotto quella Sudamericana. Proprio questi scontri e la conseguente subduzione, che avviene con un piano di immersione (piano di Benioff) che forma un angolo di circa 45° con quello della superficie, sono i responsabili della formazione della Cordigliera delle Ande e dei frequenti terremoti e numerosi vulcani presenti in quell’area geografica. La teoria della tettonica delle placche fu formulata negli anni 60 del 1900, per merito di vari studiosi (ad esempio Harry Hammond Hess (1906-1969) con la sua teoria dell’accrescimento dei fondali oceanici) che ripresero e completarono la teoria della deriva dei continenti proposta nel 1915 da Alfred Wegener (1880-1930).

Il devastante terremoto, magnitudo 8,8 della scala Richter,  che ha colpito la costa cilena nei giorni scorsi rientra in questo fenomeno che perdura con “normalità” da milioni di anni. Si tratta del settimo più forte scuotimento nella storia sismica del pianeta. I danni e i lutti causati dal terremoto sono stati aggravati dallo tsunami che è stato prodotto dalla scossa principale nel Pacifico e che si è abbattuto sulla costa senza che la popolazione venisse adeguatamente informata e messa in allarme, per colpa, sembra, della Marina cilena. L’ipocentro, per fortuna della popolazione, è stato nell’oceano Pacifico a 35 km di profondità e a circa 113 km dalla costa e questo ha in parte attenuato i danni (se così si può dire) nelle zone abitate. Le scosse secondarie continuano tuttora, a centinaia e continueranno per mesi. Per quanto riguarda l’energia sprigionata, si parla di un valore 15.000 o 20.000 volte maggiore di quella che si è avuta con il terremoto dell’Aquila perché ad ogni aumento di 1 grado di magnitudo corrisponde un aumento di energia di circa 32 volte. Del resto Nazca e Sudamerica si avvicinano ad una velocità di circa 7 cm l’anno, in grado di accumulare una notevole quantità di energia in poco tempo. Per il nostro pianeta questa è la zona dei record, già nel 1960 c’è stato il più forte terremoto mai registrato: 9,5 della scala Richter. Anche il sisma che ha colpito Haiti circa un mese fa con centinaia di migliaia di morti rientra in questi sconvolgimenti tettonici ma non ha alcun collegamento diretto con quello del Cile. Oltre alla scala Richter, per i terremoti si utilizza anche la scala Mercalli, cosa le differenzia?

La scala Richter misura la magnitudo, con valori che vanno da zero a poco più di 9 anche se non esiste un limite superiore, che è direttamente proporzionale all’energia liberata dal sisma. Si tratta di un scala logaritmica, in simboli M = log10 (A/A0). M indica la magnitudo, A0 è un’ampiezza standard, A è l’ampiezza massima delle onde sismiche registrate.

La scala Mercalli, Cancani, Sieberg invece misura l’intensità di un terremoto, è una scala empirica e descrittiva. Comprende 12 gradi e ad ognuno di essi corrisponde una descrizione delle conseguenze del sisma sulle persone e sulle cose. Il valore dell’intensità si ricava solo a posteriori, osservando e valutando gli effetti che il terremoto ha prodotto.

L’anno della biodiversità

     Ma cosa si intende per biodiversità? La definizione più completa, forse, è quella adottata dalle Nazioni Unite, al Vertice della Terra di Rio de Janeiro del 1992: “la diversità biologica è la variabilità degli organismi viventi di tutte le fonti, incluse, tra l’altro, quelle terrestri, marine ed altri ecosistemi acquatici, nonché i complessi ecologici dei quali essi fanno parte, tra cui la diversità all’interno di ogni specie, tra le specie e degli ecosistemi”. Perciò, la biodiversità comprende, a livelli diversi, sia i caratteri genetici, sia le specie e gli ecosistemi.

Ricordiamo che un gene è un tratto di DNA cromosomico responsabile della trasmissione di un particolare carattere ereditario.

La specie invece è l’unità di base della classificazione binomia degli esseri viventi, adottata per la prima volta da Carlo Linneo e può essere definita come “un gruppo di organismi capaci di incrociarsi tra loro e produrre una prole fertile.

L’ecosistema è ununità strutturale naturale costituita da tutti i viventi (piante, animali, funghi e  microorganismi) di un’area, insieme a tutti i fattori abiotici della stessa area.

Invece il termine biodiversità è stato coniato in inglese nel 1980 e venne introdotto per la prima volta nel gergo scientifico nel 1985.

Trenta anni dopo la nascita del termine, il 2010 è stato dichiarato dalle Nazioni Unite “Anno Internazionale della Biodiversità” (International Year of Biodiversity) . La dichiarazione venne fatta dall’Assemblea Generale ONU nell’ottobre del 2006. Il logo che è stato creato fa riferimento anche alle diversità umane e potrà essere utilizzato, anche tradotto in altre lingue, dai vari Paesi per tutte  le manifestazioni legate alla celebrazione.

In quest’anno si vuole celebrare la vita in tutte le sue forme e gli ambienti del pianeta per ribadire la loro importanza anche in riferimento alla nostra esistenza. Quest’ultima infatti dipende dagli altri viventi e dalla preservazione degli ambienti naturali. Tutti i Paesi del mondo sono stati invitati a mettere in atto azioni per salvaguardare le varietà dei viventi e degli ecosistemi. Il sito ufficiale dell’International Year of Biodiversity è: http://www.torinoscienza.it/link/apri?obj_id=2996 . Tutte le manifestazioni che sono state o saranno intraprese possono essere registrate sul sito  http://www.torinoscienza.it/link/apri?obj_id=2997

A molti sembra una celebrazione quanto mai opportuna perché per troppo tempo la natura è stata considerata solo una fonte di risorse da sfruttare il più possibile per l’arricchimento economico, magari a scapito delle popolazioni che ne erano legittime proprietarie. È un’occasione per incontri, riflessioni, azioni concrete per la tutela dei viventi in tutte le loro innumerevoli varietà.

Al di la dei convegni, sono soprattutto le azioni concrete che potranno rallentare l’enorme perdita di biodiversità che si registra da alcuni decenni a causa principalmente di alcune dissennate attività umane: incendi, caccia indiscriminata, sprechi, sfruttamenti fino all’impoverimento, all’esaurimento e all’estinzione.

Se ci limitiamo alle specie, animali e vegetali soprattutto, quelle a rischio di estinzione nel mondo sono elencate nella cosiddetta Lista Rossa 2008 della IUCN  (International Union for Conservation of Nature). Per l’Italia risultano segnalate 138 specie, oltre il 90% delle quali sono animali. Pur essendo aumentate notevolmente le aree adibite a parco o comunque protette, nel nostro Paese rimane da fare ancora molto per salvaguardare la biodiversità. Pur essendo uno dei Paesi firmatari della Convenzione sulla Diversità Biologica, l’Italia, insieme ad altri 30 Stati, non ha ancora presentato un programma per la salvaguardia della biodiversità. Altri 160 Paesi hanno già presentato i loro programmi e le strategie per attuarli. Dispiace constatare che anche in campo ambientale siamo sempre nelle retrovie.

Per chi vuole approfondire l’argomento, in rete ci sono diverse risorse. Si può anche scaricare liberamente il volume “Biodiversità” edito dall’Enea, di 216 pagine in formato pdf; autori: Laura Maria Padovani, Paola Carrabba, Barbara Di Giovanni, Francesco Mauro. Ci sono molti riferimenti anche al problema dello sviluppo economico e al difficile rapporto  con la conservazione delle risorse biologiche. 

http://www.enea.it/produzione_scientifica/pdf_volumi/V2009_12-Biodiversita.pdf

 

Il flop delle vaccinazioni per l’influenza A H1N1


I dati riguardano il Piemonte: si aspettavano code di persone davanti agli ambulatori preposti alle vaccinazioni contro l’influenza A ma non è successo. Solo una piccola percentuale degli aventi diritto (le cosiddette categorie a rischio, più operatori sanitari e forze dell’ordine) ha deciso di vaccinarsi. Del resto è capitata la stessa cosa in altre regioni italiane. In particolare, entro fine novembre 2009, su 65.000 operatori sanitari se ne sono vaccinati circa 6.000, il 9,2% . Su 11.000 bambini previsti, i vaccinati sono stati circa 1.600, il 14,5%. Per quanto riguarda gli adulti a rischio fino a 65 anni, circa 206.000, se ne sono vaccinati solo 7.300, il 3,5%. Delle donne incinte, di cui non si conosce il numero, ne sono state vaccinate solo 250. Nel nostro Istituto alcuni ragazzi e ragazze per ogni classe si sono ammalati. Nessuno ha fatto il vaccino. La conseguenza di tutto ciò è un numero enorme di vaccini che rimane inutilizzato e non si sa bene dove conservarli. Inoltre che fine faranno le altre dosi di vaccino che erano state prenotate? Solo in Piemonte, si tratta di altre 90.000 dosi. Non si sa neanche dove stoccarle. Se consideriamo l’Italia intera, sono state acquistate 24 milioni di dosi dalla Novartis e altri 24 milioni sono quelle prenotate dal Ministero della Sanità. Ne sono state utilizzate meno di un milione, circa 900.000 e la campagna di vaccinazione terminerà nel mese di febbraio. Che fine faranno gli altri 23 milioni di dosi di vaccini? Quanto sono costate? Secondo i dati pubblicati dalla stampa: 184 milioni di euro sono passati dalle casse dello Stato alla Novartis. Chi ha sbagliato le previsioni? C’è stata anche polemica politica con la richiesta di un’inchiesta parlamentare ma non c’è stata. Ci sarà? Si parla addirittura di “saldi” di questi vaccini. Qualche Paese, come la Francia li aveva rivenduti sottocosto ad uno Stato africano ma, a causa delle polemiche che ne sono seguite la vendita è stata annullata (almeno secondo le notizie di stampa). Come già indicato alcuni mesi fa, la paura provocata e gli allarmi diffusi (non so se deliberatamente oppure no) per l’influenza A sono stati solo un grosso affare per molte aziende, soprattutto di farmaci e disinfettanti, a danno dei cittadini preoccupati.

All’origine della diffidenza anche alcune sostanze contenute nei vaccini (mercurio o thiomersal, squalene o adiuvante MF59), la scarsa sperimentazione e il dato di fatto che l’influenza “suina” è risultata meno pericolosa dell’influenza “normale”.

Le persone non sono convinte dell’efficacia, della necessità e soprattutto della sicurezza di questo vaccino. In altre parole hanno paura anche del vaccino stesso.

Al MRSN di Torino “La scimmia nuda”, storia naturale dell’umanità

uid_125f374a192.100.100     Il percorso inizia con alcuni personaggi piemontesi che si sono occupati di Darwinismo: soprattutto Filippo De Filippi che, nel 1864, con una lezione pubblica nel Teatro di Chimica in via Po, per primo affrontò in Italia il “delicato” problema dell’origine dell’uomo. De Filippi è stato il primo zoologo evoluzionista a Torino, fece sue le ipotesi di Darwin e le divulgò. In pratica fu anche il primo a portare il Darwinismo in Italia. L’impatto iniziale del Darwinismo nell’ambito scientifico e, soprattutto in quello sociale, è stato di rifiuto sdegnoso. Per molti aspetti non è accettato neanche oggi. I motivi sono diversi, soprattutto perché si scontrano con idee e dogmi religiosi, anche se per molti aspetti le due concezioni del mondo dei viventi possono coesistere. Anche De Filippi, come Darwin, ha fatto un viaggio, a bordo di un piroscafo (Magenta), nell’emisfero australe per lo studio delle forme viventi. Oltre a De Filippi, sono stati dedicati pannelli anche al ruolo avuto a Torino da altri studiosi: ad esempio lo zoologo Franco Andrea Bonelli (1784-1830), il naturalista e medico venariese Michele Lessona (1823-1894) che, per primo tra l’altro, ha tradotto alcuni scritti di Darwin, il geologo Bartolomeo Gastaldi (1818-1879), gli antropologi Giacomini e Sperino. Dopo il 1860 si incominciò a parlare in parallelo di uomini e scimmie non solo studiandone le caratteristiche morfologiche ma applicandovi i principi dell’evoluzione esposti da Darwin. Il percorso espositivo continua con lo studio delle caratteristiche degli scimpanzé e le varie misurazioni che venivano effettuate, ad esempio con il “mandibulimetro”. Prosegue con gli studi e le immagini su alcune popolazioni umane e i risultati ottenuti alla luce della teoria evoluzionistica. Ci sono riferimenti alla numerosità e complessità delle specie che si sono alternate sulla Terra dall’origine delle prime forme di vita ad oggi e riferimenti al tempo geologico. Naturalmente il cuore della mostra è costituito dalla parte riguardante gli ominidi e l’uomo sapiens, con particolare attenzione ad alcune sue caratteristiche: la posizione eretta, il pollice opponibile, lo sviluppo del cervello e conseguentemente del cranio, il linguaggio. Non viene tralasciato neanche l’aspetto sessuale e riproduttivo e ci sono riferimenti al patrimonio genetico che ci accumuna e che ci differenzia dagli altri primati. L’attenzione di visitatori grandi e piccoli poi viene attirata anche da video, pannelli e qualche manipolazione. Insomma non è difficile capire che tutti gli animali, uomo compreso, non sono stati creati così come li vediamo adesso. Una mostra da vedere, osservare e ricordare. Si potrà visitare ancora solo fino al 10 gennaio 2010, salvo proroghe, gratuitamente.

Si tratta di una delle tante iniziative a Torino in occasione del bicentenario della nascita di Darwin e del centocinquantesimo anniversario della pubblicazione dell’origine delle specie.

Al museo, oltre a questa e ad altre mostre (ad esempio quella sulle meteoriti), si possono osservare anche animali impagliati o meglio, tassidermizzati. Cosa significa tassidermia? È proprio la preparazione a scopo di studio e di divulgazione delle pelli degli animali, in particolare mammiferi e uccelli. Come si effettua? Innanzitutto c’è bisogno di un animale morto e poi prima di fare qualsiasi intervento vengono prese tutte le sue misure (altezza, lunghezza, diametro del torace, del ventre …). Poi si tratta di ripulire la pelle di tutta la parte interna e di ossa, grasso, tendini, ecc., conciarla e trattarla con sostanze conservanti, ad esempio a base di arsenico, per impedire che venga attaccata dai parassiti e che vada in decomposizione. Successivamente la pelle viene imbottita rispettando le forme e le dimensioni originarie e montata su un’armatura preparata con la posa che si vuole venga assunta dall’animale tassidermizzato: mentre cammina, è acquattato, è in volo, preda un altro animale, ecc.. Alla fine del processo rimane solo la pelle e il pelo (o le piume e le penne se si tratta di uccelli) imbottiti. Quindi il termine “imbalsamato” non è corretto e si riferisce al processo che utilizzavano gli egizi per la preparazione delle mummie per mezzo di balsami e unguenti vari.  Quasi tutti gli animali del museo sono stati tassidermizzati, in qualche caso invece gli animali o loro parti vengono conservati in contenitori trasparenti contenenti formalina o alcol e con chiusura ermetica.

Per approfondimenti sugli studiosi citati:

http://www.gpso.it/Bonelli.html

http://it.wikipedia.org/wiki/Michele_Lessona

http://it.wikipedia.org/wiki/Bartolomeo_Gastaldi

Per sapere quali mostre sono attualmente in corso:

http://www.regione.piemonte.it/museoscienzenaturali/mostre/temporanee.htm