LE MEDUSE: FASCINO E PERICOLI

di Dante Iagrossi

Flessuose ed eleganti, le meduse sono di certo tra gli organismi più belli delle acque marine (e salmastre). Gelatinose, trasparenti, i loro colori variano dal rosa al viola, dal bianco al blu ed arancione, a seconda del cibo ingerito. Alcune sono persino fluorescenti. Se ne conoscono finora circa duecento specie diverse, ma con molte altre da scoprire, tante stupefacenti variazioni sul tema principale del corpo ad ombrello, dotato sul bordo inferiore di molti tentacoli urticanti e bocca centrale. La simmetria è radiale in quattro parti: 4 tentacoli orali (e vari urticanti) e 4 serie di organi riproduttivi.

Meduse

Questa è la struttura fondamentale, rimasta sostanzialmente uguale, da circa 600 milioni di anni, epoca a cui risalgono i loro primi resti fossili. Le dimensioni sono molteplici, dai pochi cm ai 2,5 m di diametro della Criniera di Leone, con lunghezza complessiva tentacolare di circa 35 m, e con pesi che arrivano a ben 250 kg. Presentano tre strati distinti: epidermide (esterno), mesoglea (gelatinoso, intermedio), gastrodermide (interno con cavità digerente, celenteron). La composizione è del 98% di acqua.

Rispetto alle Spugne, le loro cellule si presentano organizzate in diversi tipi di tessuti, epiteliale, muscolare e nervoso, ma senza formare organi veri. Un anello di fibre muscolari , controllate da fibre nervose, lungo il bordo del mantello, contraendosi e accorciandosi in movimenti pulsanti, espellono l’acqua fuori dal corpo e lo spingono in avanti, in genere verso l’alto. Non hanno occhi, ma organi sensoriali molto piccoli posti ad intervalli regolari sull’orlo dell’ombrello, con cui percepiscono la luce, la profondità. Si nutrono anche di meduse di altre specie, di crostacei, pesci piccoli, ma a volte possono anche proteggere sotto il loro mantello varie larve e pesci in stadi giovanili.

Nel 2010 si è verificato in Sardegna un unico caso di morte, ma dovuto alla Caravella Portoghese, che non è in realtà una medusa, ma un animale simile, un sifonoforo, costituito dal raggruppamento di molti polipi cnidari.

Pelagia noctiluca

Belle, ma pericolose, almeno alcune di quelle tropicali, di cui le australiane con veleno anche mortale. I tentacoli posseggono piccole cellule, nematocisti, con una specie di coperchio che copre una sorta di freccia, dotata di spine, azionata da un “grilletto” appena toccato. Il liquido iniettato contiene tre proteine con effetto generale anestetico, allergenico e paralizzante, a volte tossico. Invece le meduse del Mediterraneo, tra cui la Pelagia noctiluca, sono innocue, nonostante le temibili punture, piuttosto dolorose, con spiacevoli chiazze rossastre lasciate nelle zone colpite. Altre: Physalia physalis, Chrysoara Hysoscella, ecc.

Il loro ruolo ecologico è molto importante e variegato: oltre ad essere preda di molti pesci ed organismi superiori, agiscono da filtro e con i loro movimenti rimescolano le acque del mare, spostando nutrienti ed Ossigeno in zone più profonde. Le correnti marine ne sono quindi influenzate, con qualche conseguenza climatica. Negli ultimi tempi, si registra un certo aumento del numero di meduse nel Mediterraneo, a causa dello sfruttamento eccessivo, della pesca intensiva e del riscaldamento globale. Sono perciò diminuiti alcuni loro predatori. Principali nemici: cetacei, pesce luna (il più grande pesce osseo), pesce palla e tartarughe. Nel contempo sono anche aumentate le specie tropicali. Purtroppo molti altri organismi sono morti per soffocamento e ingestione di plastica, forse alcuni di essi possono scambiare per meduse gli stessi sacchetti. D’altra parte, contrariamente a quanto si credeva, anche le meduse possono ingerire plastica non biodegradabile.

Ciclo vitale delle meduse

La riproduzione è in parte sessuale con: deposizione delle uova di femmina in mare, liberazione degli spermatozoi da parte del maschio, formazione di planula sul fondo e sua trasformazione in polipo. In parte è asessuale con suddivisione di quest’ultimo in efire, giovani meduse, che poi si staccano e si muovono nelle acque.

Uno dei maggiori esperti mondiali in meduse è il Professor Ferdinando Boero, docente di Zoologia presso l’Università di Napoli, che ha scoperto e catalogato nuove specie di meduse. In particolare, ne ha intitolata una, Phialella zappai, al mitico Frank Zappa, estroso e innovativo musicista e cantante di origini italiane, che a sua volta gli ha dedicato un bel pezzo: “Lonesome Cowboy Nando”. Boero qualche anno fa ha promosso un innovativo progetto sulle Meduse, “Occhio alla medusa”, coinvolgendo molti ragazzi ed adulti in una sorta di monitoraggio sulla presenza di meduse nel Mediterraneo, in cui, oltre a quelle già note, sono state segnalate persino specie tropicali, mai trovate prima.

Turritopsis nutricola

Infine lo stesso ricercatore, già negli anni 80, con studenti e colleghi, si è dedicato allo studio della famosa Turritopsis nutricula, soprannominata “immortale”, che forse è l’unico organismo capace, in condizioni sfavorevoli, di invertire il suo normale ciclo vitale, ritornando allo stadio iniziale di polipo per poi ricominciare daccapo, per un numero indefinito di volte. Questo sarebbe forse teoricamente possibile in isolamento, ma non certo in mare, dove i predatori ne permettono solo un’esistenza normale e limitata. Pensare a qualche possibile utilizzo umano o di poter rubare il segreto dell’immortalità, è assai azzardato, poiché le meduse sono animali molto più semplici di noi. Una esistenza più lunga e sana si può ottenere solo con adeguati stili di vita, in ambienti non inquinati, e con dieta appropriata… E pensare che qualche persona di una certa età ha chiesto a Boero una pomata miracolosa per ritornare giovane, a base di medusa! Crediti immagini (in ordine): PianetaMamma.it; Atlantis Gozo; profpaolino.word.press.com; KontroKultura.it;

Interessante intervista televisiva (RAI3, Geo-Magazine) sulle meduse al prof. Ferdinando BOERO:

Prof. Ferdinando Boero (Associato ISMAR-CNR) a Geo-Magazine (RAI3)

Dante Iagrossi, Caiazzo

I MONDI SORPRENDENTI DELLE FORMICHE

di Dante Iagrossi

Aspetti generali

Si trovano in tutti gli ambienti terrestri e sono capaci di vivere persino in quelli estremi, sia molto caldi che molto freddi. Ognuno di noi in una passeggiata in campagna, ma anche in città (e talvolta in casa propria!), soprattutto da bambini, si è soffermato ad osservarle ammirato: piccole, mai ferme, mentre infaticabili trasportano pezzetti di foglie, semi, a volte da sole, a volte in lunghe file… Sono le formiche, a cui Donato Grasso, eminente entomologo presso l’università di Parma, ha dedicato un volume molto interessante, “Il formicaio intelligente”, denso di informazioni e curiosità, che ci proietta nel loro universo variegato, insospettabile, tale da fornirci anche molte prospettive e possibilità di imitazione ed impiego davvero stimolanti per il futuro.

Come tutti gli insetti, le formiche hanno un corpo ricoperto da un duro esoscheletro di chitina, ben suddiviso in capo, (con occhi semplici e composti, antenne, apparato boccale), torace (con ali in maschi e giovani regine e tre paia di zampe), ed addome (con 2 stomaci, pungiglione), ma in più sono dotate di un ulteriore pezzo, tra questi ultimi, il peziolo, che permette loro una maggiore possibilità di movimenti. Le dimensioni sono diverse, da meno di un mm di lunghezza a circa 6 cm. Grazie a speciali sostanze antigelo, alcune resistono persino a temperature di 55° sotto lo zero! A livello evolutivo, discendono dalle vespe sociali, ma le loro società sono poi diventate le più organizzate ed efficienti tra quelle degli insetti.

Fino al 2018 se ne conoscevano più di 13200 specie, suddivise in 334 generi; quelle italiane sono circa 250, oltre a quelle aliene. Il numero effettivo potrebbe essere molto maggiore, poiché se ne scoprono ogni anno altre, soprattutto in zone non esplorate delle foreste tropicali. Ogni specie ha le sue particolarità specifiche. Ci sono comunità piccole, con qualche decina di individui, altre numerosissime, fino a milioni di componenti.

Addirittura nel Giappone è stata scoperta una megacomunità di ben 45000 formicai, comunicanti con gallerie sotterranee, con più di un milione di regine e 300 milioni di operaie: straordinario esempio di unione e collaborazione, non riscontrabile in nessun altra società animale

Esercitano un impatto notevole sulle popolazioni di altri organismi, con attività diverse di predatori, parassiti, saprofagi e famelici consumatori di semi, nettari ed altre secrezioni. Ma instaurano anche rapporti ben collaudati e solidi con gli altri (batteri, funghi, piante, altri animali) di simbiosi. Durante l’estate, dentro una colonia nascono maschi e regine alate che dai vari formicai della zona si incontrano in volo, con le regine che si accoppiano con vari maschi, per avere una buona quantità di spermatozoi necessari per ottenere nuove generazioni, anche per 20 anni.

La vita delle formiche inizia da uova, che se fecondate danno femmine diploidi, altrimenti maschi aploidi. Lo sviluppo avviene quindi per metamofosi completa nelle fasi di: uovo, larva, pupa, adulto. Le larve, per lo più ferme, ricevono inizialmente cibo liquido rigurgitato nel primo stomaco, poi anche pezzi solidi di prede, semi, uova. Non tutte le formiche sono sociali.

Il loro sistema nervoso da un lato appare modulare, con unità autonome, gangli, in doppia catena, nelle varie parti del corpo, dall’altro è anche centralizzato, con la fusione nel capo di essi in masse cerebrali. Il suo funzionamento-base è del tutto simile al nostro e, come noi, posseggono neuroni di tre tipi: sensoriali, motori ed associativi.

Le loro società sono costituite da tre caste fondamentali: regine, maschi fecondi, per la riproduzione, operaie, sterili, che svolgono tantissime e variegate attività:

ricerca, comunicazione del posto e raccolta del cibo, cura continua di prole e regina, costruzione e manutenzione igienica del nido, coltivazione interna di funghi e persino di piante da semi, guerre e saccheggi di altri formicai, riduzioni in schiavitù di altre specie, allevamenti di altri insetti, ecc. Questi lavori sono in genere relativi all’età: le più giovani svolgono quelli interni al nido, le adulte quelli esterni. La durata della vita è molto diversa: le regine arrivano anche ai 30 anni, sfornando ogni giorno da 800 a 1500 uova, (per un totale teorico di più di 16 milioni!), le operaie da 1 a 3 anni, i maschi soltanto poche settimane.

Le formiche costituiscono un vero e proprio superorganismo, in cui non c’è un comando centrale a cui sottostare, ma ognuno svolge un suo ruolo specialistico, non sempre fisso nel tempo, nello stesso tempo autonomo, ma pure ben coordinato agli altri. Sembra che siano sempre in azione, ma ultimamente si sono scoperte gruppi di formiche pigre, che sul momento non svolgono nessun compito particolare, ma che poi vengono impiegate in caso di necessità, come scorta ausiliare, tipo calciatori in panchina!

Fondamentale, preciso e diversificato il loro sistema di comunicazione, basato sullo scambio di molte sostanze chimiche, feromoni, prodotte da più di 80 ghiandole esocrine in varie zone del corpo. Gli odori sono percepiti tramite le antenne, lunghe, sottili e mobili. Ma ci sono anche suoni provocati da sfregamenti, tamburellamenti sulle pareti dei nidi.

Questi possono essere di alcune principali categorie:

  1. Nel terreno, profondi fino a 7, 8 metri, con varie gallerie che collegano molte camere, per la regina, le larve, coltivazione di funghi,allevamento di afidi, persino piccoli cimiteri. Sono costruiti in modo che essendo la parte superficiale abbia correnti d’aria più veloci della inferiore, si crei un deflusso uscita di aria calda e anidride carbonica, in entrata di aria più fresca ricca di ossigeno.
  2. Acervi, cupole semiconiche, alte fino a 1,5 m, fatte di rametti ed aghi di conifere, su vecchi ceppi di albero, con orientamento non casuale, ma dal pendìo più lungo rivolto a sud, per avere più calore. In caso di situazioni climatici difficili, la parte maggiore viene scavata in terreno.
  3. Sotto pietre infossate, dal riscaldamento veloce e trasferimento di calore sotto, con monticelli (fatti di pezzi di foglie, ciottoli, legno briciato, ossa), isolanti e senza dispersione di umidità.
  4. Varie specie sono arboricole e scavano piccoli nidi dentro rami, frutti o in basi rigonfie di spine di acacia. In particolare le tessitrici costruiscono casette con foglie attaccate tra loro da fili di seta collosa, ottenuta dalle larve afferrate con mandibole. Video:

Curiosità e possibilità di Biomimetica

Nel corso dell’evoluzione, alla differenziazione dei ruoli si è accompagnata anche un accentuato cambiamento di morfologia e dimensioni. Le regine sono più grandi con un addome rigonfio per le uova, i soldati hanno le mandibole molto robuste, capaci di morsi dolorosi. In particolare le guardiane del nido che attaccano anche animali grandi, compresi noi, all’avvicinarsi ad esso, posseggono teste molto grandi. Alcune specie hanno il pungiglione, non sempre dotato di veleno, ma tutte in generale sono capaci di emettere sostanze acide e tossiche, tra cui l’acido formico, per attacchi e difese. Le operaie pur avendo un apparato riproduttivo molto minore delle regine, possono deporre uova usate come cibo per larve. Queste a loro volta trasudano una sostanza grassa, di cui le adulte sono ghiotte.

Le operaie “agricole”, dotate di una forza notevole, potendo trascinare persino pesi 60 volte il proprio, sono sempre in giro durante la giornata a raccogliere semi, pezzi di foglie, tagliate e fatte cadere dalle piante, poi portati al nido. Qui le foglie sono masticate e depositate nella camera in cui creano un subrato fertile vengono seminati funghi. I semi di grano invece vengono macinati dalle forti mandibole, e la farina impastata con saliva, da cui piccole pagnotte per le larve. Certe operaie sono “allevatrici di bestiame”: dagli afidi ospitati e da esse nutriti, con semplici tocchi di antenna, ricavano una gustosa sostanza zuccherina. Alcune operaie addirittura si prestano ad essere veri e propri “magazzini viventi” di melata: nel loro addome sacche speciali racchiudono la linfa dolce di piante. Si appendono al soffitto di una camera , con i loro addomi gonfiati a sfere, pronte a rigurgitarne gocce alle compagne, non solo per sé.

Certe formiche hanno inventato la schiavitù molto prima di noi. Le Amazzoni compiono spregiudicate azioni di saccheggio verso i nidi della Serviformica: li accerchia, penetra nelle loro gallerie con l’emissione di acido formico e feromoni che annientano le difese nemiche, per cui possono facilmente rubarne i bozzoli. Questi, portati al proprio formicaio, si schiudono e faranno da serve alle Amazzoni, non capaci di svolgere lavori “casalinghi” e neanche di nutrirsi in modo autonomo.

Le formiche sono anche capaci di ingaggiare tra loro vere e proprie guerre e combattimenti, in cui decine di migliaia di soldati si scagliano tra loro con determinazione e violenza inaudite. Esistono varie tecniche di lotta, che ricordano certe battaglie famose della storia, pur senza avere le direttive di grandi comandanti. Spesso avanzano in falangi serrate, armati di mandibole serrate simili a lame affilate e taglienti, capaci di sconfiggere anche compagini molto maggiori (e persino vertebrati) per prenderne i rifornimenti alimentari o impossessarsi di larve e pupe di altre colonie come cibo. A volte sono le esploratrici a trovare le possibili prede, lasciare tracce con feromoni e indicare il percorso preciso agli altri. In genere lo schieramento è costituito da un fronte di soldati più piccoli, poi quelli di media grandezza e infine i più grossi e resistenti. Si possono vare anche terribili corpo a corpo, o accerchiamenti locali di formiche che vengono uccise da una più grossa, anche strappandone le zampe o le antenne. In certi casi, sono usate armi a lunga gittata, di tipo chimico come spray irritanti, o persino piccoli sassi. In casi estremi, come si è osservato in foreste pluviali del Borneo, qualche soldato si può sacrificare per gli altri, come i kamikaze giapponesi o terroristi: si aggrappa al corpo del nemico, facendo fuoriuscire le proprie viscere, con sostanza velenosa, urticante e collosa, che può provocare la morte. Inoltre sono state osservate anche operie infermiere, che trasportano al sicuro compagne ferite, di cui cospargono di sostanza disinfettante lividi e ferite. Quando qualche estraneo cerca di entrare, le portinaie, grazie al loro enorme capo, chiudono il piccolo buco di accesso. Eppure alcune specie possono essere soggiogate dalla sostanza dolce prodotta da alcuni coleotteri, che così si insediano nella colonia, affidando alle operaie la cura delle proprie larve che si nutrono di quelle delle formiche. Come sottoposte a droga, le formiche non sono più lucide e in grado di svolgere le loro attività normali e il formicaio nel tempo tende a finire.

Secondo il professor Grasso, dal loro studio possiamo trarre molte ingegnose ed utili applicazioni per la nostra vita quotidiana, come:

a. gestione ordinata del traffico stradale (considerando i loro modi assai disciplinati di spostamenti in gruppi, anche molto numerosi)

b. costruzioni solide, tipo le zattere intrecciate, che formano con i loro corpi per attraversare piccoli corsi d’acqua

c. lotta biologica con l’utilizzo di certe specie di formiche, predatrici di insetti dannosi alle nostre coltivazioni

d. sostanze ricavate dal loro veleno per combattere certi batteri, molto resistenti ai normali antibiotici, o persino certi tipi di tumori

e. cibo proteico per popolazioni non solo indigene, in Thainlandia, Laos ed Australia, dove in particolare gli aborigeni sono ghiotti delle “otri di miele”, con gastro ripieno di dolce cibo liquido, preparato per le altre operaie.

Anche nello spazio in una navicella spaziale, in condizioni di microgravità, 600 formiche, dopo una incerta fase iniziale, sono riuscite ad esplorare nuove zone. Potrebbero persino indicare l’approssimarsi di terremoti, con attività più frenetiche e maggiore agitazione di notte.

Molto prima di noi le formiche, comparse circa 100 milioni di anni fa, in risposta alle difficoltà ambientali ed alle loro esigenze alimentari, hanno saputo costruire società perfettamente funzionanti, con ruoli definiti ma non sempre fissi nel tempo, adattabili alle circostanze, ammirevoli per la loro sinergia e solidarietà di gruppo. Comunque hanno anche acquisito comportamenti a prima vista negativi da un punto di vista prettamente morale, come guerre senza esclusione di colpi, con sanguinosi corpo a corpo, armi chimiche micidiali, persino di kamikaze pronti al sacrificio estremo, saccheggi di proprietà altrui, riduzioni in schiavitù. Tra l’altro sono state osservate anche lotte terribili tra regine per avere il comando del formicaio, ma tutto questo fa parte della stessa lotta per la sopravvivenza. Invece, per quanto ci riguarda, le azioni prevaricatrici sono spesso dettate solo da voglia di dominio e sopraffazione. Video:

Dante Iagrossi, Caiazzo.

Giornata internazionale degli alberi

Oggi nel mondo si celebra la giornata internazionale degli alberi. In Italia si chiama anche Festa degli alberi e venne istituita nel 2013 su iniziativa del Ministero dell’ambiente per proteggere la biodiversità presente nel nostro Paese e per sensibilizzare tutti su alcuni dei ruoli fondamentali degli alberi: dalla prevenzione contro il dissesto idrogeologico, alla produzione di biomassa, dalla produzione di ossigeno alla cattura e trasformazione chimica del diossido di carbonio in cibo per mezzo della fotosintesi.

Dopo la ratifica anche in Italia, come in altri Stati, nel 1997 del Protocollo di Kyoto, sembra esserci una maggiore attenzione al patrimonio boschivo dei vari Paesi della Terra. Con poche eccezioni, ad esempio il Brasile dell’attuale Presidente Bolsonaro, che però pesano molto perché comprendono le più vaste aree forestali del Pianeta.

Anche nel mondo dell’editoria, che annaspa dopo l’avvento dei social e il loro enorme successo tra i giovani, è aumentata la richiesta di volumi che trattano di natura, piante e alberi. Basti pensare alle pubblicazioni di Stefano Mancuso o a quelle di Peter Tompkins e Christopher Bird. Oppure a quelle di Renato Bruni, Peter Wohlleben, Giorgio Vacchiano, o anche al recente “La Terra salvata dagli alberi” di Francesco Ferrini e Ludovico Del Vecchio.

Ben vengano queste giornate, di celebrazioni sì, ma soprattutto di riflessione e consapevolezza, perché senza questi nostri compagni di viaggio lungo il percorso della vita su questo Pianeta, noi non ci saremmo. Sia per l’ossigeno e il nutrimento che hanno prodotto e producono, sia perché i primi ominidi della savana dell’Africa orientale si sono evoluti proprio da primati che vivevano sugli alberi circa quattro milioni di anni fa.

Programma Artemis: accordo fra USA e Italia

Poche settimane fa, il sottosegretario Riccardo Fraccaro della Presidenza del Consiglio dei Ministri, a Palazzo Chigi, e l’amministratore delegato della NASA Jim Bridenstine, in collegamento internet hanno firmato un accordo di collaborazione sul programma Artemis per l’esplorazione della Luna. Si tratta del primo accordo degli USA per questo progetto con un Paese europeo.

La cooperazione tende a riportare l’uomo sulla Luna e, in prospettiva, si vogliono porre le basi per l’invio di una sonda con equipaggio umano su Marte. L’accordo rafforza una collaborazione già importante in passato e si vuole predisporre una base operativa sulla Luna per successive esplorazioni spaziali. Grande soddisfazione del governo italiano, dell’Agenzia Spaziale Italiana e delle aziende del settore aerospaziale, prima fra tutte Leonardo, guidata dall’amministratore delegato Alessandro Profumo. Per le industrie italiane del settore significa investimenti di circa un miliardo di euro e lavoro specializzato per ingegneri, fisici e chimici. L’impegno italiano sarà concentrato soprattutto nello sviluppo e nella costruzione di moduli abitativi lunari e telecomunicazioni. Per il sottosegretario Fraccaro, la firma dell’accordo, “è un riconoscimento ulteriore del ruolo del nostro Paese all’interno della missione Artemis, che porterà la prima donna sulla Luna e ha l’obiettivo di stabilire una presenza continua e autosufficiente sulla superficie lunare”. Approfondimenti sul programma Artemis. Video di MEDIA INAF. Crediti: https://www.nasa.gov/specials/artemis/

SOS FORESTE: INTERVISTA AL PROF. VACCHIANO

di Dante Iagrossi

Da vari anni ormai il patrimonio forestale mondiale viene aggredito da una serie di fattori naturali (tempeste, alluvioni, …), ma soprattutto indotti dall’uomo (incendi dolosi, abbattimento e sfruttamento eccessivo di alberi, …), che ne stanno compromettendo l’estensione e le loro basilari funzioni vitali.

Il professor Giorgio Vacchiano, ricercatore e docente di “Gestione e pianificazione forestale” all’Università di Milano ha scritto in proposito un libro assai interessante “La resilienza del bosco”, ricco di informazioni, problematiche e soluzioni, in cui da un lato riconosce le enormi capacità rigenerative dei boschi, ma anche le preoccupazioni per il futuro, fornendo appropriate proposte. Contattato, molto gentile e disponibile, ha risposto in modo competente e preciso ad una serie di questioni e dubbi inerenti allo stato odierno delle foreste nel mondo.

Intervista al Prof. Vacchiano sulla situazione boschiva attuale

1) In Italia (e in Europa) la superficie boschiva è in aumento, nonostante gli incendi dolosi estivi e, soprattutto in Campania, specie nel Casertano, l’aumento e l’estensione delle cave. Ciò è dovuto anche ad un efficace rimboscimento della Forestale o solo al potere autorigenerante dei boschi?

L’espansione forestale, di circa 50.000 ettari (ha) ogni anno, è esclusivamente naturale, su terreni e pascoli abbandonati. Gli incendi percorrono in media 100.000 ha all’anno, ma non eliminano per sempre le foreste. Una foresta rimane tale anche dopo essere stata colpita da un incendio, e spesso ricresce.

2) Attualmente si fa ancora un largo uso delle Conifere? Per quali motivi e con quali conseguenze biologiche e idrogeologiche sono state usate? Perché non si piantano gli stessi alberi del territorio? Forse hanno crescite più lente?

Attualmente è molto raro che gli alberi vengano ripiantati. Si preferisce affidarsi alla rinnovazione naturale da semi, meglio adattata a condizioni locali. In passato, invece, venivano piantate molte conifere a causa del loro rapido accrescimento, della capacità di stabilirsi su terreni nudi e della qualità del legno prodotto. Tuttavia ora si trovano in condizioni critiche, incapaci di rinnovarsi ed estremamente sensibili a tempeste ed incendi.

3) Nel resto del mondo, la situazione delle foreste è invece molto preoccupante, con grosse e continue perdite, soprattutto in Africa e Sudamerica. Quali sono le cause principali? Non esistono leggi internazionali di tutela delle foreste, e leggi locali adeguate, con pene esemplari da rispettare?

In America Meridionale la diminuzione delle foreste è dovuta all’agricoltura industriale della soia, alla creazione di pascoli per mandrie da carne; in Indonesia alle piantagioni di palma da olio; in Africa all’agricoltura e allo sfruttamento del legno per la sussistenza. Molto spesso queste attività sono illegali o si basano su corruzione locale. In più ci sono Paesi che allentano (per interesse) le tutele ambientali, come il Brasile di Balsonaro.

4) In generale,sono più resistenti e duraturi i boschi con una sola specie di albero (quercia, faggio,…) o quelli con più specie?

Dove compatibili con il territorio, i boschi di più specie sono in genere più resistenti a pressioni esterne, comprese quelle dei cambiamenti climatici, e spesso più produttivi.

5) I rapporti di “solidarietà” tra alberi della stessa specie sono evidentemente finalizzati alla loro conservazione genetica; tra specie diverse ci sono invece più situazioni di “rivalità” o di “tolleranza” reciproca?

Esistono sia forti competizioni che strategie di evitamento, che consentono a specie diverse dello stesso spazio di convivere, colonizzando zone diverse dello stesso spazio aereo o sotterraneo. Anche tra individui della stessa specie, comunque, si stabiliscono rapporti di competizione, non solo di mutuo soccorso.

6) Per quali motivi le foreste tropicali, così ricche di alberi diversi, allora sarebbero molto stabili e prospere, se non subissero interventi umani negativi?

Il segreto delle foreste tropicali è nel suolo: suoli molto vecchi e completamente dilavati da sostanze nutritizie. Le piante traggono il loro nutrimento solo dalla propria sostanza organica, che cade dagli alberi e si decompone. Se l’uomo interrompe questo ciclo, i suoli senza alberi perdono la loro fertilità e non possono più ospitare una foresta per molto tempo.

7) Considerando le enormi sequoie americane, sembrerebbe che gli alberi più grandi sono anche i più forti e i più longevi: è sempre così?

Particolare di Sequoiadendron giganteum, età 132 anni, circonferenza 7,5 m, fotografata in Val D’Aosta nel 2020.

Le scoperte più recenti ci dicono che gli alberi più longevi sono quelli che crescono in modo più lento e graduale, siano essi di grandi o piccole dimensioni. Ci sono infatti alberi che raggiungono velocemente grandi dimensioni, ma esauriscono presto le loro risorse e non sono quindi particolarmente longevi.

8) In genere, gli alberi solitari hanno una vita più breve di quelli che vivono in gruppo? Si potrebbe pensare alle foreste come città vegetali, in cui sia per la rete sotterranea di funghi, sia per le comunicazioni gassose tra alberi di stessa specie, si crea un equilibrio vitale duraturo ed efficace?

Non ci sono dati in merito per confermare o smentire questa ipotesi.Alberi in gruppo possono proteggersi a vicenda da estremi eventi atmosferici, ma anche attirare più intensamente parassiti e patogeni, quindi non sono certo che l’isolamento abbia qualche effetto sulla longevità, a parità di altri fattori.

9) Negli ultimi tempi si tende a parlare di “intelligenza vegetale”, considerando le molte capacità sensoriali delle piante e conseguenti, efficaci strategie di sopravvivenza. Non si corre il rischio di “antropizzare” un po’ troppo questi organismi così diversi da noi?

Guardo con diffidenza ai tentativi di descrivere le piante in termini antropomorfi. Sono fondamentalmente diverse da noi. Secondo me, è proprio questo la loro bellezza. Detto questo, è senz’altro vero che sono reattive al loro ambiente e proattive nell’adattarsi ad esso, ma mi pare che questa sia una caratteristica comune a tutti i viventi (batteri compresi).

10) Quali proposte fondamentali ed interventi occorrono per migliorare la situazione boschiva mondiale ed europea?

Aumentare la superficie soggetta a pianificazione forestale; adottare interventi per ridurre la vulnerabilità delle foreste agli estremi climatici.

11) Possono essere utili i boschi verticali nelle grandi città o basterebbe soltanto far maggior uso di biciclette, auto elettriche o con biocarburanti?

Se si parla di ridurre le emissioni di gas, le piante non possono fare tutto da sole (verticali o orizzontali che siano i boschi). E’ difficile che assorbano più di un terzo delle nostre emissioni (pur espandendoli ovunque).

12) Sono state create foglie artificiali, capaci di produrre una certa quantità di Ossigeno: potrebbero essere impiegate anch’esse a larga scala in questi tentativi di “pulizia” atmosferica delle città più popolose ed inquinate?

E’ una prospettiva davvero molto interessante che mi affascina molto. Mi sembra però che siamo molto lontani dal poterle impiegare su larga scala per assorbire l’Anidride Carbonica, anche se la tecnologia spesso ci sorprende molto. Staremo a vedere.

Link al video del prof. Vacchiano “DAI SEMI AL SOLE”:

https://www.youtube.com/watch?v=DBMY2plNiXw . Dante Iagrossi, Caiazzo

IL NOSTRO FUTURO DISEGNATO DALLE PIANTE

di Dante Iagrossi

Stefano Mancuso, docente all’Università di Firenze, direttore del LINV, (Laboratorio Italiano di Neeurobiologia Vegetale), uno dei massimi esperti mondiali di questa nuova disciplina, in ogni pubblicazione ha mostrato il suo entusiasmo viscerale per il mondo delle piante, evidenziandone le insospettabili capacità e notevoli potenzialità. Il suo “Plant Revolution”, in una veste grafica davvero accattivante ed elegante, costituisce un’esplorazione appassionata di vari aspetti dell’universo vegetale, alla ricerca di prospettive positive per il futuro. Comunemente considerate come passive ed insensibili, in realtà le piante addirittura sembrano possedere una specie di memoria tutt’altro che breve, presupposto fondamentale di apprendimento e quindi di “intelligenza”. Ad esempio, certe piante come la Mimosa pudica, se toccate richiudono le foglie, forse per una forma di difesa, ma poi, dopo vari contatti, non lo fanno più, come se consapevoli della mancanza di vero pericolo.

Mimosa pudica

Anche se in generale non si possono spostare, comunque sono in grado crescere e muoversi, in risposta alle varie condizioni ambientali, con molti tipi di tropismi, verso la luce, l’acqua, la gravità, ricercando le sostanze utili e rifuggendo da quelle nocive nel terreno. Ispirati da esse sono stati ideati e costruiti dei robot, plantoidi, aventi nella parte superiore cellule fotovoltaiche per la produzione di energia, in quella inferiore appendici-sensori, come radici, capaci di esplorare territori anche lontani e difficili, come il suolo di Marte. Alcune piante, in particolare la Boquilla trifolata, dimostrano inoltre notevoli capacità mimetiche, cambiando la forma delle foglie, tra altre di specie diverse, per ottenere più protezione da insetti nemici. Appare probabile che certe piante, come la Veccia, dai semi somiglianti alla lenticchia, e la Segale, con spighe molto simili al grano, nel corso dell’evoluzione siano persino diventate non facilmente distinguibili da quelle più coltivate, forse per ottenere più cura ed acqua come esse. Oltre ai movimenti attivi, dovuti a flussi osmotici nelle membrane cellulari, come l’apertura di stami e fiori e quelle di piante carnivore, ci sono quelli passivi, causati da variazioni di umidità di parti della parete cellulare, come l’apertura di pigne in ambienti secchi e la loro chiusura in quelli umidi. Probabilmente la pianta più sorprendente è l’Erodium, che non solo arriva a far “esplodere” i suoi semi, ma anche ad “infilzarli” ad una certa profondità nel terreno.

Erodium cicutarium

Le piante hanno anche stabilito varie alleanze con gli insetti per l’impollinazione e dispersione dei semi regalando, loro il nettare dolce e nutriente dei loro fiori. Eppure ci sono molte specie che producono altro nettare extrafloriale, cioè esternamente ai fiori. Il motivo fu spiegato dal grande botanico Delpino, che non approvava una spiegazione errata di Darwin: attrarre insetti amici, ma predatori di quelli nemici della pianta. Addirittura in questi nettari sono state trovate anche sostanze che agiscono come droghe, con cui le piante inducono una specie di dipendenza! Quindi a volte le piante si comportano in modo insospettabile e astuto, se non proprio spregiudicato, per la loro sopravvivenza: assicurarsi guardiani fedeli, che arrivano persino a nutrirsi di piante concorrenti vicine!

Una delle differenze sostanziali tra animali e piante è la diversa organizzazione del corpo, centralizzata nei primi e modulare nelle altre, che consente ad esse possibilità di vita molto maggiori in caso di usure e perdite di parti. In particolare l’apparato radicale, nell’esplorazione dei terreni, si comporta come gli sciami di insetti sociali, sistemi perfettamente funzionanti e coordinati senza alcun centro di comando, tipo efficienti reti Internet.

La struttura di certe piante, come quella delle nervature di foglie della Victoria amazzonica, ha già ispirato le costruzioni suggestive di vari architetti. Straordinarie sono anche le particolari capacità delle piante di adattarsi ad ambienti estremi come i deserti, sottoposti a temperature molto alte di giorno e molto basse di giorno. Hanno infatti risolto il grave problema della traspirazione, trasformando le foglie in spine, che nelle ore notturne riescono a condensare l’umidità, procurando l’acqua necessaria. Da qui un architetto italiano ha realizzato il Warka Water, dalla forma di un fico gigante, racchiuso da reti speciali per la raccolta di acqua condensata dall’umidità.

Si parla da tempo di prolungate permanenze nello spazio e su Marte e, secondo Mancuso, questo non sarà possibile se non affidando il nutrimento a lungo termine alle piante, per cui sono stati fatti vari esperimenti su di esse in condizioni di microgravità: esse hanno mostrato di adeguarsi anche in queste situazioni estreme.

Nell’ultimo capitolo si parla delle piante alofite che riescono a sopravvivere usando solo acqua salata. Questa loro caratteristica importante potrebbe essere utile tra non molto tempo, quando le già esigue riserve di acqua dolce potrebbero ulteriormente ridursi.

Mancuso insieme ad una coppia innovativa di architetti ha costruito un dispositivo galleggiante, il Jellifish Barge, che permette di coltivare ortaggi usando soltanto acqua marina, dissalata per evaporazione e condensazione, tramite la sola energia solare. Purtroppo finora questa macchina prodigiosa ed ecologica, con risparmi enormi di energia, non ha avuto un adeguato supporto dai possibili investitori industriali. Dante Iagrossi, Caiazzo.

Crediti Erodium: https://en.wikipedia.org/

Nane brune a 30 anni luce dal Sole

A circa 30 anni luce dal Sole, o poco meno, sono state scoperte numerose nane brune. Si tratta di stelle mancate, piccole e fredde, che non hanno mai raggiunto la massa necessaria ad innescare le reazioni di fusione nucleare che, trasformando l’idrogeno in elio, emettono grandi quantità di energia sotto forma di luce e calore. Sono corpi celesti particolari quindi: più grandi dei pianeti che conosciamo ma più piccoli del Sole.

La stella vera più vicina al Sole è Proxima Centauri, una nana rossa situata a circa 4,2 anni luce in direzione della costellazione del Centauro, scoperta nel 1915 da Robert Innes dallo Union Observatory del Sudafrica.

Le nane brune identificate quest’anno sono quasi un centinaio e sono state rilevate e osservate solo adesso a causa delle loro deboli emissioni di radiazioni: hanno una temperatura superficiale di soli 27 °C.

La scoperta è stata fatta da un gruppo di ricercatori, prevalentemente astronomi amatoriali volontari, che hanno analizzato i dati raccolti da due telescopi: il Mayall di Kitt Peak in Arizona e il Blanco di Cerro Tololo in Cile. La verifica è stata poi effettuata con la Infrared Array Camera del telescopio spaziale Spitzer, che oltre ad averne confermato l’esistenza ha determinato la loro esatta temperatura superficiale.

Il corposo articolo (circa 50 pagine, ricche di dati e molto tecniche) che illustra la scoperta è stato pubblicato su arXiv.org: https://arxiv.org/pdf/2008.06396.pdf lo scorso 17 agosto.

Per saperne di più sulle nane brune in generale: https://www.astronomiamo.it/DivulgazioneAstronomica/Area/Le%20stelle/Le-nane-brune . Nell’immagine, la posizione (in basso a destra) delle nane brune nel diagramma Hertzprung-Russell.