Nuova sonda su Marte: InSight

InSight su Marte     Ancora una missione su Marte: la sonda Insight della NASA, l’ente spaziale statunitense, poche ore fa è scesa sul pianeta rosso affrontando con successo i terribili sette minuti di incognita attraverso la debole atmosfera marziana, senza alcuna possibilità di controllo dalla Terra. Il rover portato sul pianeta ha lo scopo di studiare ciò che c’è sotto la superficie e inviare al centro di controllo di NASA-JPL dati che permettano di capire se in passato ci sono state forme di vita. Sulla superficie di Marte sarà anche collocato un sensore in grado di registrare e inviare i dati di eventuali movimenti sismici causati da forze endogene o impatti meteoritici. Tra gli altri strumenti, anche un rivelatore di flusso di calore per avere notizie sulla struttura del mantello e del nucleo del pianeta.
InSight (Interior Exploration using Seismic Investigations, Geodesy and Heat Transport) è stato lanciato lo scorso 5 maggio 2018 e, dopo oltre 6 mesi, ha percorso circa 145.000.000 di km (poco meno della distanza media Terra – Sole, circa 400 volte la distanza media Terra – Luna) accompagnato da due mini satelliti di forma cubica: MarCO (Mars Cube One) A e MarCO B che sono restati e rimarranno in orbita intorno a Marte e hanno registrato i dati della discesa del rover. Gli impulsi che i due MarCO invieranno a Terra per due anni circa, saranno ricevuti e registrati anche dal Sardinia Radio Telescope.
L’agenzia Spaziale Italiana (ASI) e L’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) hanno contribuito con lo sviluppo e la costruzione dello strumento Larri (Laser Retro-Reflector for InSight), necessario per determinare in ogni momento la posizione del rover. Larri è simile al localizzatore portato dal lander Schiaparelli che qualche anno fa è andato distrutto per un errore del software che doveva regolare la discesa sul suolo marziano. Anche il sensore di navigazione stellare “Star Tracker” che ha permesso la navigazione fino a Marte è stato costruito in Italia, a Campi Bisenzio vicino Firenze, dagli stabilimenti della Leonardo.
Ieri sera la Mission Control Live: NASA InSight Mars Landing è stata trasmessa su youtube dalle ore 20,00, la discesa è avvenuta alle 21 circa e, appena toccato il suolo, è stata inviata la prima foto della superficie.
Crediti: Focus; NASA e Jet Propulsion Laboratory; ASI; ESA.

La cometa di Natale 2018

cometa_01     La cometa 46P/Wirtanen è stata definita cometa di Natale perché raggiungerà il perielio (la sua minima distanza dal Sole) il prossimo 12 dicembre e sarà ancora visibile durante le festività natalizie.
Per la composizione generale e l’origine delle comete, vedi: La cometa Ison, pubblicato alcuni anni fa.
46P/Wirtanen non ha grandi dimensioni, ha un diametro di poco più di un chilometro, ma nelle vicinanze del perielio la sublimazione (il passaggio da ghiaccio a vapore acqueo) di una parte del ghiaccio che la compone dovrebbe originare una coda sfumata ma grande il doppio del diametro della Luna piena, quindi visibile anche ad occhio nudo nelle aree distanti dalle città.
Questa cometa ha un periodo di 5 anni, cioè ogni 5 anni circa ripassa nelle vicinanze del Sole e si rende visibile dalla Terra. La prima volta venne osservata dall’astronomo statunitense Carl A. Wirtanen (1910-1990) nel 1948. Wirtanen lavorò presso il Lick Observatory dell’Università della California e, tra il 1947 e il 1950, scoprì anche otto asteroidi. Per questo motivo gli è stato dedicato l’asteroide 2044 Wirt.
Sulle comete, vedi il bel documentario di RAI Educational (durata: 10 min).

L’astrofisica signora delle pulsar

Jocelyn_Bell     Si chiama Jocelyn Bell Burnell l’astrofisica che circa cinquant’anni fa scoprì le pulsar durante il suo dottorato a Cambridge, sotto la supervisione del radioastronomo Anthony Hewish. Durante le sue ricerche, individuò per caso un radiosegnale anomalo che compariva e scompariva a intervalli regolari di 1,4 secondi. Il segnale proveniva sempre dalla stessa regione del cosmo e si spostava alla stessa velocità delle stelle circostanti. Cercò di individuarne la causa e, dopo averne escluse alcune, tra le quali un segnale proveniente da entità intelligenti aliene, ipotizzò che potessero provenire da particolari stelle. Nel frattempo aveva individuato altri tre segnali simili provenienti da altre regioni dell’Universo.
Bell Burnell aveva scoperto le pulsar, stelle di neutroni quindi ultracompatte, con un’altissima velocità di rotazione e un campo magnetico molto potente. Stelle che durante la rotazione sul loro asse, anche più volte al secondo, emettono deboli fasci di luce come quelli osservabili e provenienti da un lontanissimo faro. Sulla Terra questo debole fascio di luce viene registrato come brevissime pulsazioni o frequenze, per questo furono chiamate pulsar.
La scoperta delle pulsar meritò l’assegnazione del Premio Nobel per la fisica nel 1974 che però non venne assegnato a Jocelyn Bell Burnell, ma al suo supervisore e all’altro radioastronomo britannico Martin Ryle. Secondo la maggioranza della comunità scientifica fu un’ingiustizia e una discriminazione per la ricercatrice, perché donna e perché all’epoca era ancora dottoranda, oltre che nata in Irlanda del Nord.
Poche settimane fa, come una sorta di riparazione per la mancata assegnazione del Nobel e per il suo costante impegno contro le discriminazioni accademiche di donne e giovani ricercatori, le è stato assegnato il prestigioso 2018 Special Breakthrough Prize per la Fisica Fondamentale, il premio scientifico più ricco (ma meno conosciuto) del Nobel, che prevede l’assegnazione di una somma di 3 milioni di dollari. Bell Burnell ha annunciato che il premio sarà investito per la sua battaglia contro la discriminazione scientifica e accademica, finanziando borse di dottorato per le minoranze poco rappresentate anche se meritevoli.
Il valore dello Special Breakthrough Prize è dovuto anche alla rarità della sua assegnazione: finora è stato assegnato solo altre tre volte: a Stephen Hawcking, agli scienziati del CERN di Ginevra e a quelli della collaborazione LIGO. Un premio, quindi, estremamente prestigioso.
Il Planetario di Torino Infini.TO ha organizzato per ieri sera, in Piazza Castello al Teatro Regio, un seguitissimo incontro aperto al pubblico con Jocelyn Bell.
Per saperne di più: Pulsar; Jocelyn Bell; YouTube; Jocelyn Bell Burnell at Perimeter: The Discovery of Pulsars.
Nell’immagine in basso: Foto storica (1968) della dottoranda Jocelyn Bell davanti al Mullard Observatory di Cambridge. Crediti: Daily Herald e archive/SSPI/Getty. Infini.TO. Jocely_Bell_1968

Ghiaccio d’acqua ai poli della Luna

Poli della Luna con ghiaccio        Ormai la presenza di ghiaccio ai poli della Luna è stata accertata. Secondo quanto pubblicato qualche mese fa dalla rivista PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences), l’analisi dei dati raccolti dalla sonda indiana Chandrayaan-1 conferma definitivamente la presenza di ghiaccio nelle regioni polari lunari, in fondo ai crateri sempre in ombra. La sonda dell’Indian Space Research Organization ha operato sulla Luna dal 2008 al 2009. Questo ghiaccio avrebbe caratteristiche diverse rispetto ai depositi trovati ai poli di Mercurio e sull’asteroide Cerere: sarebbe misto a grandi quantità di polvere lunare e perciò meno puro.
La presenza di ghiaccio d’acqua comunque apre prospettive per futuri moduli abitativi o avamposti di transito sulla superficie lunare.
Rimangono alcuni importanti interrogativi: quanto ghiaccio c’è? Da dove proviene? È stato portato da periodici impatti di comete e/o di asteroidi? Oppure risale al periodo della formazione di questo satellite, circa 4,5 miliardi di anni fa?
Crediti immagine Poli della Luna: NASA; in azzurro i depositi di ghiaccio d’acqua nelle due regioni polari.
Breve video dello scorso anno, prima delle ultime conferme: Ghiaccio sulla Luna. Crediti: PNAS; NASA.