Caccia ai buchi neri: Event Horizon Telescope

Blazing Black Holes Spotted     Grazie ad un sistema di undici radiotelescopi della rete “Event Horizon Telescope”, il prossimo 5 aprile inizierà la caccia ai buchi neri, corpi celesti enormi, sfuggenti e invisibili, la cui esistenza è stata ipotizzata cento anni fa, ma da allora non sono stati mai osservati. Gli undici radiotelescopi sono disseminati tra i vari continenti, fino all’Antartide, e saranno puntati verso una stessa regione del cosmo: il centro della Galassia per cercare di ottenere la prima immagine di un rappresentante dei più grandi mostri dell’Universo, il black hole “Sagittarius A”, il buco nero supermassiccio al centro della Via Lattea.

     I dati raccolti nell’ultimo secolo indicano l’esistenza di almeno due tipologie fondamentali di buchi neri. Alcuni “supermassicci”, enormi, con una massa superiore di milioni o miliardi di volte rispetto a quella del Sole e presenti al centro delle galassie, come quello al centro della Via Lattea. Gli altri invece sono molto più piccoli, numerosi e sparpagliati all’interno delle galassie. In entrambi i casi, questi corpi celesti “neri” hanno un’attrazione gravitazionale talmente forte da trattenere alche le particelle di luce, i fotoni, rendendosi invisibili agli strumenti ottici.

     I buchi neri rappresentano l’ultimo stadio evolutivo di stelle molto massicce che, dopo essere esplose e aver originato una supernova, hanno ancora una massa superiore a due o tre masse solari. Il collasso di questo corpo non si arresta allo stadio di stella di neutroni ma, a causa dell’enorme forza gravitazionale, prosegue fino a diventare buco nero. In alcuni casi il collasso della stella è tanto rapido da saltare lo stadio dell’esplosione e di supernova.

     I buchi neri, come anche le pulsar e le nane bianche, in quanto ultimi stadi dell’evoluzione stellare sono corpi molto vecchi, di piccole dimensioni ed altissime densità.

     L’esistenza dei buchi neri viene dedotta dalle numerose e forti perturbazioni gravitazionali provocate sulle orbite delle stelle e dei gruppi di stelle ad essi più vicine. Queste perturbazioni generano un “effetto vortice” sulla materia e sulle radiazioni circostanti, fino a distanze notevoli, definite per ciascun buco nero “orizzonte degli eventi”, oltre il quale la luce riesce a sfuggire, seppure con frequenza alterata.

     A partire dal 5 aprile, per una decina di giorni, sarà raccolta un’immensa mole di dati che opportunamente elaborata nei pressi di Boston (USA), allo Haystack Observatory di Westford, dovrebbe fornire una prima storica immagine del buco nero supermassiccio che funziona da “perno”, intorno al quale ruota l’intera Via Lattea con i suoi duecento (stimati) miliardi di stelle circa, a 26 mila anni luce dal Sistema solare. L’elaborazione dei dati potrebbe richiedere molti mesi e la prima immagine è prevista per il 2018. Il nostro Sistema di pianeti e il Sole si trovano in una zona periferica della Via Lattea, nel Braccio di Orione, ben lontani dal pericoloso centro. Il sistema di radiotelescopi dovrebbe consentire (almeno questo è l’obiettivo) di osservare la materia che si muove ruotando vorticosamente verso il buco nero, prima che essa sparisca oltre “l’orizzonte degli eventi”, il punto oltre il quale vengono assorbiti anche i fotoni e nulla più è visibile.

Crediti immagine Black Holes: JPL – NASA .

Video documentario (in inglese) della NASA: The Largest Black Hole In History .

Per saperne di più sui buchi neri: Archivio di INAF TV.