Ambiente gasato e cittadini gabbati

     Lo scandalo delle centraline elettroniche “truccate” del colosso economico-industriale Volkswagen, che si attivano per ridurre le emissioni inquinanti solo durante i test di controllo, non è solo un fatto economico che probabilmente sposterà equilibri nella produzione e commercializzazione delle automobili. È anche molto altro: la crisi del mito della tecnologia e del rigore morale di una nazione e dei suoi cittadini. Montare sulle auto un impianto di manipolazione della centralina per eludere i controlli e falsare i test non è solo illegale: è disprezzo per la salute dei cittadini e dell’ambiente in cui vivono.

     Nonostante i sospetti che anche altre case automobilistiche possano aver usato software per ingannare i controlli e i cittadini, lo scandalo internazionale di oltre dieci milioni di auto “truccate” ha investito in pieno la multinazionale tedesca, i suoi dirigenti e l’immagine di tutta la Germania.

     Non basteranno le dimissioni dell’amministratore generale, lo scandalo ormai coinvolge direttamente non solo gli USA ma anche altri Paesi, compresa la stessa Germania e gli altri Stati europei. Inchieste che si aprono un po’ dappertutto, gruppi di avvocati e cittadini pronti a chiedere risarcimenti per l’inganno, magari senza profonde motivazioni ambientali, solo per approfittare della situazione e rifarsi dell’inganno subìto.

     Intanto le amministrazioni UE cercano di salvare la propria immagine dichiarando di essere state all’oscuro del “trucco” delle centraline elettroniche Volkswagen e promettendo modifiche nell’accertamento delle emissioni di gas e controlli anche per le auto delle altre case automobilistiche. Un modo anche per sminuire la portata dello scandalo delle auto del marchio tedesco. Anche i governi nazionali fanno sentire la loro voce ma qualcuno pensa anche alle possibili ripercussioni sui posti di lavoro dell’indotto auto.

     La manipolazione dei veicoli, che risultano più inquinanti rispetto a quanto dichiarato ufficialmente da venti a quaranta volte, ha comportato una distorsione del sistema della concorrenza del settore auto, un grave danno all’ambiente e un trattamento da “parco buoi” dei cittadini acquirenti. Proprio l’ambiente sembra essere quello meno tutelato: su un canale televisivo nazionale ho già sentito un “esperto” di emissioni dei motori delle auto dichiarare che “gli ossidi di azoto emessi in concentrazione quaranta volte superiore a quanto dichiarato non sono un problema”. Insomma, per alcuni va tutto bene. D’altra parte gli ossidi di azoto sono già presenti nell’ambiente (vedi il ciclo dell’azoto). Queste stesse persone dovrebbero sostare all’aperto in qualche grande città afflitta dallo smog per buona parte dell’anno: probabilmente si accorgerebbero che qualcosa non va nell’aria che respirano, nel suo odore, nei suoi fumi, nelle invisibili particelle che dalle narici entrano nei polmoni e danno una sensazione di malessere. Tutti composti che agiscono prevalentemente sul nostro apparato respiratorio e sulle malattie ad esso connesse.

    Questi “esperti”, se sono tali, fanno finta di ignorare che i principali componenti che contaminano l’atmosfera sono da una parte le polveri sottili e dall’altra numerosi composti, residui delle attività umane. Questi composti sono principalmente:

a. composti solforati (diossido e triossido di zolfo);

b. composti azotati (monossido e biossido di azoto, ammoniaca);

c. composti ossigenati (monossido e biossido di carbonio, ozono);

d. composti alogenati (fluoruro di idrogeno e cloruro di idrogeno);

e. composti organici, prevalentemente idrocarburi;

f. composti radioattivi (gas e aerosol radioattivi).

     La maggiore percentuale di ossidi di azoto (NOx) è prodotta proprio dai motori del trasporto su strada. Se si bara così pesantemente su questi inquinanti, si crea un danno serio alla salute di tutti. Per un veloce approfondimento sugli ossidi di azoto, propongo un breve documento scritto dell’Arpa della Regione Emilia Romagna.

Vedi anche un video esplicativo sugli ossidi di azoto, la loro produzione e pericolosità, dell’Istituto sull’Inquinamento Atmosferico (Consiglio Nazionale delle Ricerche).

Crediti immagini: delreysmog.com e www.interactive-biology.com .

Eclissi della Superluna

     Ciclicamente ritornano. Le eclissi avvengono probabilmente fin da quando Terra (raggio medio 6371 km) e Luna (raggio medio 1738 km) si sono formate. Come ho già scritto (vedi Le eclissi), le eclissi avvengono quando c’è un allineamento Sole-Terra-Luna oppure Sole-Luna-Terra.

     L’eclissi che segnalo è quella del prossimo 28 settembre (notte tra il 27 e il 28), un’eclissi di Luna che capita quando quest’unico satellite naturale della Terra si troverà alla minima distanza da noi. La distanza media Terra-Luna è di 384.400 km circa, quella massima è di 406.700 km e si ha quando la Luna è in apogeo, quella minima (nel perigeo) è di 364.000 km. Le differenti distanze sono dovute all’orbita ellittica intorno alla Terra, percorsa dalla Luna in rotazione sincrona, cioè con la durata identica di rotazione intorno al proprio asse e rivoluzione intorno alla Terra: 27 giorni, 7 ore e 43 minuti. Le diverse distanze della Luna, durante la sua orbita intorno al nostro Pianeta, sono state calcolate in base al tempo impiegato da un fascio di raggi laser per percorrere il tratto Terra-Luna e ritorno, dopo essere stato riflesso da un particolare specchio lasciato sulla Luna dagli astronauti dell’Apollo 11.

     Il 28 settembre la Luna si troverà in opposizione e allineata all’asse Terra-Sole e in prossimità del perigeo, mostrandosi più luminosa e con un disco lunare (Luna piena) più grande del 15% rispetto alla media. In questa situazione, l’americano Richard Nolle nel 1979 la definì “Superluna”. Chi osserva raramente e distrattamente gli astri, probabilmente non si accorgerà di alcuna differenza con altre situazioni di Luna piena. Anche la colorazione tenderà al rosa-rossastro per semplici fenomeni fisici dovuti alla riflessione della luce solare, che in minima parte la raggiunge riflessa anche dall’atmosfera terrestre.

     Chi ha voglia di osservare questa Superluna e la sua eclissi dietro l’ombra proiettata dalla Terra deve sperare che la notte tra il 27 e il 28 settembre sia sgombra di nubi. C’è poi un altro particolare: l’eclissi durerà tre ore circa, tra le tre e le sei del mattino. Ore non proprio ideali per svegliarsi e posizionarsi sul balcone o all’aperto per l’osservazione.

     Chi non può o non ha voglia adesso non si preoccupi: il 21 gennaio 2019 l’eclissi lunare ritornerà, ma saremo quasi nei “giorni della merla”, ancora meno adatti per stare fuori di notte a fare osservazioni. Per quella di un’altra superluna invece bisognerà aspettare il 2033.

     Nelle immagini, due momenti di Luna (quasi) piena del 27 agosto scorso. Nel primo caso è visibile la colorazione tendente al rosso. Sono distinguibili i principali crateri da impatto dovuti al bombardamento di meteoriti, che hanno i nomi di personaggi storici (Keplero, Copernico, Platone, …). Le zone chiare sono aree irregolari chiamate terre alte (costituiscono il 78% della faccia visibile della Luna), ricche di rilievi. Le zone più scure, alternate a quelle chiare, sono estese depressioni dette mari e ricoperte da uno strato più o meno spesso, a seconda delle zone, di detriti e polveri fini detto regolite.

Per approfondire: anteprima del bellissimo Atlante Fotografico della Luna, curato da Walter Ferreri, con immagini originali della NASA.

Nuova specie di ominide: Homo naledi

Evolution-of-man-300x248     Qualche giorno fa sono stati resi pubblici i risultati di uno studio su circa 1500 reperti fossili relativi ad una quindicina di individui che costituivano una specie di ominidi non conosciuta. La specie è stata chiamata Homo naledi e la datazione dei suoi fossili non è ancora chiara: tra due milioni e centomila anni fa.

     I resti fossili sono stati trovati nella grotta Rising Star, nella regione settentrionale del Sudafrica, non molto distante dall’area geografica denominata “Culla dell’umanità” e proclamata dall’UNESCO patrimonio mondiale. Le caratteristiche anatomiche dei reperti hanno permesso di attribuirli con certezza al genere Homo, ma molti tratti ne rendono difficile la collocazione precisa nell’albero evolutivo dei primati che ha condotto alla specie Homo sapiens.

     A grandi linee, da quanto è stato pubblicato sul http://www.telegraph.co.uk/ , nella storia evolutiva umana, l’Homo naledi (datazione ancora incerta, alto 1,50 m e massa corporea di 45 kg circa) andrebbe collocato dopo il genere Australopithecus (3,5 – 2,5 milioni di anni fa, alto circa 1,10 m e con una massa corporea di 40 kg circa) e dopo l’Homo abilis (2,3 – 1,8 milioni di anni fa, alto 1,60 m e con una massa corporea di 50 kg circa). Precederebbe invece l’Homo erectus (1,9 – 0,4 milioni di anni fa, altezza 1,60 m e massa 50 kg), che a sua volta precede l’Homo Neanderthalensis (150.000 – 35.000 anni fa, alto 1,65 m e massa di 80 kg circa) e l’Homo sapiens (120.000 anni, alto circa 1,70 m e massa di 70 kg circa).

Professor-Lee-Berger-300x187     Il prossimo numero del National Geographic proporrà un articolo dettagliato sulla scoperta fatta dal gruppo guidato dal Professor Lee Berger, ma molti interrogativi rimarranno. L’evoluzione è un processo complesso e i fossili che si trovano costituiscono una percentuale molto molto bassa delle specie che hanno effettivamente popolato parti del nostro pianeta. Bisogna rassegnarsi a conoscenze sempre parziali della realtà che è stata e che saranno comunque soggette a modifiche nel tempo.

Per approfondimenti sull’evoluzione umana: VideoLa straordinaria storia dell’uomo” da Ulisse, di Alberto Angela (dura ben tre ore!). Documentario “Evoluzione degli ominidi”. Vedi anche “La culla degli ominidi”, proposto cinque anni fa.

Crediti immagini: http://www.telegraph.co.uk/ . Sopra: Lee Berger is photographed inside the Rising Star cave in the Cradle of Humankind in South Africa  Photo: Greatstock / Barcroft Media.

Atmosfera e ozono

Cloro_ozono     L’atmosfera terrestre, la sfera d’aria che avvolge il nostro Pianeta, in base alle variazioni di temperatura con l’altezza (e per comodità di studio) si può immaginare composta a strati. Come riportato in tutti i testi di geografia generale, partendo dal basso si ha:

– la troposfera, la fascia più densa, dove si concentra il 90% circa dalle massa dei gas, che va dalla superficie fino agli 8-10 km sopra i poli e fino ai 16 km in corrispondenza dell’Equatore; la temperatura decresce in media di 6,4 °C ogni km verso l’alto, fino a raggiungere i -60 °C sull’Equatore e -80 °C sui poli;

– la stratosfera, che termina ad un’altezza di oltre 50 km, con aria molto rarefatta i cui gas sono disposti in strati. Tra questi strati, è fondamentale per la vita sul pianeta quello di ozono, un gas formato da tre atomi di ossigeno (O3). Questo strato ha la massima concentrazione di gas tra 20 e 25 km d’altezza e rappresenta una vera e propria protezione solare, un “parasole” che assorbe gran parte delle radiazioni ultraviolette dannose per i viventi. I movimenti verticali dell’atmosfera diffondono una parte dell’ozono fino al suolo, ed è più abbondante nella fredda e instabile aria polare. Nella stratosfera la temperatura cessa di diminuire e incomincia ad aumentare perché l’aria viene riscaldata dall’alto, dai raggi solari diretti e dal calore che si ottiene durante la formazione delle molecole d’ ozono;

– la mesosfera, compresa tra 50 e 80 km circa, con ulteriori diminuzioni di temperatura e caratterizzata da vari fenomeni, tra cui le meteore e le nubi nottilucenti, visibili all’alba o al tramonto. Sono piccoli bagliori causati dal riflesso della luce su minuscoli cristalli di ghiaccio;

– la termosfera, da 80 km a 500 km, in cui la temperatura aumenta decisamente fino a 2000 °C. Questo strato blocca una parte dei raggi cosmici, particelle ad elevata energia che investono la Terra. Inoltre contiene la ionosfera, formata da particelle di gas che per effetto delle radiazioni solari si trasformano in ioni, cioè diventano cariche elettricamente. In questa fascia avviene sia il fenomeno delle aurore polari, osservabile ad alte latitudini, sia la riflessione delle onde radio verso la superficie terrestre;

– l’esosfera, oltre i 500 km, composta da gas molto, molto rarefatti che intorno ai 2500 km sfumano con il “vuoto” interplanetario.

Tra uno strato e l’altro si individuano varie “pause”: tropopausa, stratopausa, mesopausa.

     Ritornando all’ozono, negli ultimi decenni a partire dalla fine degli anni ’70, i satelliti artificiali hanno permesso di appurare che in corrispondenza dei poli, in particolare di quello antartico, questo strato si era notevolmente “assottigliato”. La causa è stata individuata in diverse sostanze inquinanti, tra cui i CFC, che provocano la trasformazione della molecola triatomica di ozono O3in molecole di ossigeno biatomico O2. Dopo la presa di coscienza del problema e la sensibilizzazione delle opinioni pubbliche dei Paesi più industrializzati, sono state prese decise misure (vedi il Protocollo di Montreal del 1987) per ridurre le emissioni di CFC e gas simili.

Contrariamente a quanto sta accadendo per altri trattati, ad esempio quello di Kyoto sulla temperatura dell’aria e le variazioni climatiche, quello di Montreal è stato abbastanza efficace e ha avuto effetti concreti: un’inversione dell’assottigliamento dello strato d’ozono.

I risultati sono osservabili dai satelliti e sono stati confermati da uno studio specifico dell’Università inglese di Leeds.

     Il protocollo di Montreal vedrà la sua applicazione completa entro il 2030, quando sarà operativa la messa al bando totale di vari clorofluorocarburi: CFCl3 (tricloromonofluorometano); CF2Cl2 (diclorodifluorometano); C2F3Cl3 (triclorotrifluoroetano); C2F4Cl2 (diclorotetrafluoroetano); C2F5Cl (cloropentafluoroetano).

Crediti immagini: atmosfera e ozono (www.dima.unige.it ); cloro_ozono (www.geography.hunter.cuny.edu ).

Video: Allarme NASA buco ozono (2011); Il buco dell’ozono (2015); lo strato di ozono in ricostruzione (2014). Atmosfera-e-ozono

 

 

 

 

Visita virtuale delle grotte di Frasassi

     Qualche anno fa ho già scritto sulla formazione delle grotte carsiche, dei cunicoli e delle altre strutture sotterranee (stalattiti, stalagmiti, colonne, …) che si originano per l’azione delle acque, più o meno ricche di diossido di carbonio, che determinano la trasformazione del carbonato di calcio in bicarbonato secondo l’equazione: CaCO3 + CO2 + H2O  <—> Ca(HCO3)2 .

     A tal proposito vedi: Grotte carsiche in provincia di Como. Ultimamente, grazie alla tecnologia Google Street View, anche questi fenomeni sotterranei sono visitabili virtualmente. In particolare sono stati messi in rete i video e le immagini relativi alle spettacolari grotte di Frasassi nelle Marche. Grotte di origine carsica, formatesi attraverso il fenomeno segnalato nell’altro post, scoperte nel settembre del 1971 da un gruppo speleologico del Club Alpino Italiano di Ancona. Tra pochi giorni si festeggeranno i quarantaquattro anni della preziosa scoperta.

     Per saperne di più: http://www.frasassi.com/(tour virtuale, con indicazioni varie sui percorsi e sulla visita); notizie utili anchesu Wikipedia.

L’immagine è stata tratta dalla “Sala Infinito” del sito ufficiale delle grotte.