Renato Dulbecco, 98 anni, addio

Dulbecco000     Da oggi non c’è più. È stato un riferimento per tanti appassionati di scienza. Da quando è stato creato questo blog, una sua frase significativa sul fumo è stata riportata nella colonna di destra.  È stato anche un torinese: ha abitato e studiato all’Università di Torino ed è stato compagno di corso di Rita Levi Montalcini. Entrambi allievi di Giuseppe Levi. Il mio piccolo, modesto omaggio a questo Grande della scienza consiste nel riportare qualche brano della sua autobiografia riferito alla scelta della facoltà e all’arrivo a Torino.

“.. Finito il liceo nel 1930, dovetti prendere due importanti decisioni: a che facoltà iscrivermi e in quale università. Mio padre aveva studiato a Torino e così si decise che avrei fatto anch’io. Tutti i miei compagni andavano a Genova, e sarei rimasto solo, ma non mi dispiaceva, mi sembrava più avventuroso trovarmi in un ambiente del tutto sconosciuto. ..

Così andai a Torino a studiare medicina. Alloggiavo in un pensionato cattolico da cui potevo facilmente arrivare all’Università in tram. Era un casone grande a quattro piani, rettangolare come tutti gli edifici torinesi del tempo, con un grande cortile nel mezzo, ricoperto di ciottoli grigi. L’intonaco era giallastro e certamente erano anni che non veniva dipinto. Ogni piano aveva un lungo balcone col pavimento di pietra e la balaustra di ferro che girava tutt’intorno. Entrando dal portone avevo sempre un’impressione di freddo perché il Sole quasi non arrivava a illuminare il cortile.

Il terribile frastuono era interrotto dall’arrivo del professore, Giuseppe Levi, che batteva furiosamente l’estremità di una lunga canna sul pavimento di legno per ottenere silenzio.

Giuseppe Levi era la personalità dominante nella scuola di medicina. Visto dai banchi alti dell’aula dove io, come matricola, sedevo, sembrava un domatore di leoni più o meno addomesticati. Era alto, eretto, portava un lungo camice grigio che quasi gli arrivava alle scarpe, teneva i capelli grigio-rossiccio tagliati a spazzola, e gli occhi penetranti dietro le spesse lenti sfidavano tutti. Le sue lezioni erano le più frequentate della facoltà, non perché vi si imparasse molto. L’anatomia si imparava studiando sui libri o facendo le dissezioni sui freddi tavoli di marmo bianco o le esercitazioni di anatomia microscopica nel vasto laboratorio al pianterreno. ..”

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