Fotovoltaico contro agricoltura, paesaggio e agriturismo?

prod-fotovoltaico-italia      Il 2011 è l’anno di tante cose, nel settore energetico-ambientale è l’anno del disastro dello tsunami e della centrale di  Fukushima in Giappone e, in Italia, quello della riduzione degli incentivi per il fotovoltaico.

Gli anni 2009 e 2010 sono stati molto difficili sul piano economico, industriale e per l’occupazione, ma in Italia il fotovoltaico ha avuto un vero boom. Il consuntivo del 2010 parla di oltre 100.000 impianti installati, tra piccoli e grandi. Sicuramente è potuto accadere anche grazie agli incentivi economici (circa 900 milioni di euro) che sono stati messi in campo dallo Stato e dalle amministrazioni regionali. Questi interventi hanno prodotto anche 20.000 nuovi posti di lavoro rendendo un po’ meno pesante, se possibile, il tracollo occupazionale di altri settori.

Questa impennata del fotovoltaico ci ha avvicinati ad altri due Paesi che si sono incamminati in questo settore prima di noi: la Germania e la Spagna. Però ha innescato anche polemiche e preoccupazioni. Polemiche per l’impatto ambientale di pannelli che in alcune zone occupano distese di diversi ettari (ricordiamo che 1 ettaro corrisponde a 10.000 m2). Preoccupazioni soprattutto perché questi impianti riducono le superfici coltivabili, che nel nostro Paese certo non abbondano,  talvolta in zone adatte all’agricoltura intensiva o ad alta vocazione agrituristica come la Toscana.

D’altra parte, chi ha potuto permettersi l’investimento ha avuto assicurato, anche grazie ai contributi “conto energia”, un rendimento finanziario certo, perché si rientra del capitale investito e delle spese di manutenzione in meno di dieci anni e ne rimangono almeno altrettanti di guadagno netto. Questi contributi, fino al 31 dicembre 2010 sono stati tra i 34 e i 47 centesimi a kwh, ma da quest’anno e per i prossimi è prevista una netta e graduale diminuzione. Perché? Perché erano più alti dei contributi di qualsiasi altro Paese europeo, ad esempio più del doppio dei contributi tedeschi. Ma eravamo in forte ritardo rispetto agli altri (come spesso ci capita) e questo ha permesso di ridurre il gap, senza considerare che la spesa è ampiamente giustificata anche dal ritorno occupazionale che c’è stato. In questi mesi invece assistiamo alla crisi di molte piccole e medie aziende legate alle energie rinnovabili. Anche la grande Tecnimont chiude la sede di Torino e alcuni lavoratori dovranno licenziarsi, mentre altri dovranno spostarsi a Milano. Si tratta di una diretta conseguenza  della riduzione degli incentivi e della volontà di proseguire con il programma nucleare, tra innumerevoli polemiche politiche.

Il Sole rende. Certo, alcune preoccupazioni sono concrete: l’impatto visivo di ettari di terreno riempiti di pannelli può essere forte, ma non è da meno quello delle ormai dismesse centrali nucleari, senza considerare i rischi che esse comportano. Sono passato spesso nelle vicinanze della centrale del Garigliano e di quella ancora più grande di Montalto di Castro (peraltro mai entrata in funzione e costata un patrimonio in lire) oggi parzialmente convertita in termoelettrica. Riguardo alla riduzione del suolo agricolo, ci sono zone d’Italia incolte perché manca l’acqua o è molto costoso raggiungerla con i pozzi oppure perché si tratta di vere e proprie pietraie. Lì certamente gli impianti fotovoltaici non toglierebbero quasi nulla all’agricoltura. Del resto in questo settore è sempre stato difficile conciliare la grande fatica nei campi con i magri guadagni, oggi per chi ha la possibilità di fare l’investimento e dispone di terreni in posizione favorevole è difficile resistere al richiamo del fotovoltaico. Ma in genere non si tratta di contadini o privati cittadini bensì di società e gruppi industriali. Ci sono società a caccia di terreni da acquistare per poter poi investire nell’installazione di questi impianti. Fin’ora i pannelli solari utilizzati provengono in gran parte dalla Cina. Anche in questo settore, la progettazione, lo sviluppo e la costruzione di materiali italiani o almeno il loro assemblaggio, fanno fatica a competere con i prodotti asiatici. I motivi sono i soliti: dal differente costo del lavoro, alle diverse norme di sicurezza sui luoghi di lavoro, spesso la qualità dei manufatti.

Probabilmente anche il fotovoltaico si dimostrerà un grande affare solo per pochi: grandi e medi gruppi industriali e/o finanziari. I condomini, le case indipendenti, i capannoni, le serre, le pensiline di parcheggi o altre strutture ricoperte da pannelli sono una parte modesta delle superfici totali degli impianti realizzati o in fase di realizzazione. E paradossalmente, gli impianti piccoli installati sono molti più al nord che al sud, ad esempio sono circa 8000 in Lombardia e solo 2700 in Sicilia. Probabilmente la disparità dipende da una diversa cultura imprenditoriale e da fattori sociali. Ma con questo boom degli ultimissimi anni, quanto incide il fotovoltaico sul nostro fabbisogno energetico nazionale? Purtroppo solo per l’1%! Non è il caso di fare uno sforzo ulteriore nelle energie rinnovabili se vogliamo diversificare le nostre fonti energetiche e non dipendere quasi esclusivamente da quelle fossili? La scelta del nucleare richiede tempi lunghissimi, almeno dieci anni, ed è stata messa fortemente in crisi dall’ultimo gravissimo e inaspettato disastro della centrale di Fukushima in Giappone. Che senso ha temporeggiare? Le centrali nucleari obsolete nel mondo sono centinaia e soprattutto rimane irrisolto il problema più grave: le scorie. Ma alcuni non sono abbastanza contenti di lasciare debiti e inquinamento ambientale a figli, nipoti e pronipoti, preferiscono aggiungere anche le scorie nucleari la cui pericolosità durerà migliaia di anni.

I dati per il grafico sono stati ricavati dal Gestore Servizi Energetici. Quelli riferiti al 2010 sono parziali perché riguardano solo i primi 10 mesi.