Distanze astronomiche

parsec01   “Una notte osservavo come al solito il cielo col mio telescopio. Notai che da una galassia lontana cento milioni di anni luce sporgeva un cartello. C’era scritto: TI HO VISTO. Feci rapidamente il calcolo: la luce della galassia aveva impiegato cento milioni d’anni a raggiungermi e siccome di lassù vedevano quello che succedeva qui con cento milioni d’anni di ritardo, il momento in cui mi avevano visto doveva risalire a duecento milioni d’anni fa.

Prima ancora di controllare sulla mia agenda per sapere cosa avevo fatto quel giorno, ero stato preso da un presentimento agghiacciante: proprio duecento milioni d’anni prima, né un giorno di più né un giorno di meno, m’era successo qualcosa che avevo sempre cercato di nascondere. Speravo che col tempo l’episodio fosse completamente dimenticato; esso contrastava nettamente – almeno così mi sembrava – con il mio comportamento abituale di prima e di dopo quella data: cosicché, se mai qualcuno avesse tentato di rivangare quella storia, mi sentivo di smentirlo con tutta tranquillità, e non solo perché gli sarebbe stato impossibile portare delle prove, ma anche perché un fatto determinato da casi tanto eccezionali – anche se si era effettivamente verificato – era così poco probabile da poter essere in piena buona fede considerato non vero anche da me stesso. Ecco invece che da un lontano corpo celeste qualcuno mi aveva visto e la storia tornava a saltar fuori proprio ora.

            Naturalmente ero in grado di spiegare tutto quel che era successo, e come era potuto succedere, e di rendere comprensibile, se non del tutto giustificabile, il mio modo d’agire. Pensai di rispondere subito anch’io con un cartello, impiegando una formula difensiva come LASCIATE CHE VI SPIEGHI oppure AVREI VOLUTO VEDERE VOI AL MIO POSTO, ma questo non sarebbe bastato e il discorso da fare sarebbe stato troppo lungo per una scritta sintetica che risultasse leggibile a tanta distanza. E soprattutto dovevo stare attento a non fare passi falsi, ossia a non sottolineare con una mia esplicita ammissione ciò a cui il TI HO VISTO  si limitava ad alludere. Insomma, prima di lasciarmi andare a una qualsiasi dichiarazione avrei dovuto sapere esattamente cosa dalla galassia avevano visto e cosa no: e per questo non c’era che domandarlo con un cartello del tipo MA HAI VISTO PROPRIO TUTTO O APPENA UN PO’? oppure VEDIAMO SE DICI LA VERITÁ: COSA FACEVO?, poi aspettare il tempo che ci voleva perché di là vedessero la mia scritta, e il tempo altrettanto lungo perché io vedessi la loro risposta e potessi provvedere alle necessarie rettifiche. Il tutto avrebbe preso altri duecento milioni di anni, anzi qualche milione d’anni in più, perché le immagini andavano e venivano con la velocità della luce, le galassie continuavano ad allontanarsi tra loro e così anche quella costellazione adesso non era più dove la vedevo io ma un po’ più in là, e l’immagine del mio cartello doveva correrle dietro. Insomma, era un sistema lento, che m’avrebbe obbligato a ridiscutere, dopo più di quattrocento milioni d’anni da quand’erano successi, avvenimenti che avrei voluto far dimenticare nel più breve tempo possibile. La migliore linea di condotta che mi si offriva era far finta di niente, minimizzare la portata di quel che potevano essere venuti a sapere. Perciò mi affrettai ad esporre bene in vista un cartello su cui avevo scritto semplicemente: E CON CIO’? Se quelli della galassia avevano creduto di mettermi in imbarazzo col loro TI HO VISTO, la mia calma li avrebbe sconcertati, e si sarebbero convinti che non era il caso di soffermarsi su quell’episodio. …”

Questo brano iniziale de “Gli anni luce” tratto dalle Cosmicomiche di Italo Calvino, con i suoi paradossi su distanze, tempo e durata della vita umana, si presta per rivedere il concetto di distanze astronomiche. A mano a mano che l’uomo ha realizzato e utilizzato cannocchiali, telescopi e altri strumenti per osservare prima i corpi del Sistema solare e poi il resto dell’Universo, sono stati adottati nuovi sistemi di misura. In particolare nel nostro corso di scienze abbiamo parlato di tre tipi di unità di misura in astronomia: l’unità astronomica (U.A.), l’anno luce (a.l.) e la parallasse al secondo (parsec).  L’U.A. si usa ancora per le distanze riguardanti i corpi del Sistema solare e corrisponde alla distanza media Terra-Sole di 149,3 milioni di Km. L’anno luce corrisponde alla distanza che la luce, alla velocità di circa 300.000 km al secondo, percorre in un anno. Equivale a circa 9461 miliardi di km (9,461 * 1012 km), valore che si ottiene moltiplicando 300.000 km per (60x60x24x365). Per esprimere distanze ancora maggiori è stato introdotto il parsec che è pari a 3,26 anni luce e a ben 206.265 U.A.! Per parallasse al secondo si intende la parallasse annua, cioè l’angolo sotto cui da una stella si vede il semidiametro dell’orbita terrestre. Per avere una vaga idea dell’enormità di questa distanza: da un corpo celeste che disti 1 parsec dal Sole, si vedrebbe la distanza Terra-Sole compresa in un angolo di 1 secondo d’arco. L’angolo P che nella figura è indicato come 1”, per motivi grafici è stato rappresentato molto, molto più grande.

 Video animazione (in inglese) sulle distanze astronomiche

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